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Mese: Aprile 2014

Copenhagen: più bella da vivere che da visitare

Secondo il World Happiness Report del 2013 la Danimarca è il posto più felice del mondo. Come molte altre nazioni nord europee, la Danimarca si distingue per un’ottima qualità della vita e potrebbe in effetti essere questo il motivo per cui la sua popolazione è gentile, disponibile e fiduciosa, facendo della capitale Copenhagen una città fatta da e per persone oneste: l’educazione e cortesia tipica dei suoi cittadini, si rispecchia sulla città stessa, rendendola una della migliori in cui vivere.
E per il turismo?
Di origine vichinga, Copenhagen assomiglia a molte delle città che si possono trovare nel Nord: città marittima, case colorate che si affacciano sui canali o sul porto, ordine e pulizia.
Tutto qui? Niente affatto, Copenhagen è ricca di monumenti storici e di interesse turistico che la rendono una città molto viva, al centro di una vasta area metropolitana collegata con la Svezia, grazie ad un ponte ultimato nel 2001 che dalla città danese giunge fino alla città svedese di  Malmö.
Prima nelle classifiche di equilibrio tra vita e lavoro, per un turista Copenhagen può essere una città molto costosa: per tentare di ridurre almeno in parte i costi si può acquistare la Copenhagen Card che al costo di 48€ fa accedere a 72 tra musei e principali attrazioni della città e usufruire di tutti i mezzi pubblici, battelli compresi, per 24 ore.
Oltre alla rinomata e famosissima statua della Sirenetta, ispirata alla celebre favola di Hans Christian Andersen, sono molto visitati dai turisti il Municipio di Copenhagen, un edificio in stile neorinascimentale che domina l’omonima piazza e che soprattutto di notte offre una visuale di sé molto suggestiva, e il castello di Rosenborg, costruito come residenza reale che si trova al centro della città e che ci offre uno spaccato d’origine rinascimentale della capitale danese.
Castello di Rosenborg
Castello di Rosenborg
Castello di Rosenborg
Castello di Rosenborg

Il Museo Nazionale Danese (Nationalmuseet København) era in precedenza una residenza della famiglia reale, convertito poi in museo per conservare gli esempi migliori della civiltà danese comparata ad altre civiltà, dall’arte antica a quella contemporanea: un panorama culturale che va dalle origini fino ai giorni nostri coprendo qualsiasi ambito di vita, da quello del focolare domestico fino alle guerre intraprese nei secoli.

Skeletter del Nationalmuseet
Skeletter del Nationalmuseet

Addentrandosi nella città, uno degli edifici più importanti da visitare è la Rundetaarn, letteralmente dal danese ‘torre rotonda’, l’antico osservatorio della metà del XVII secolo che ora offre dalla cima una vista completa e suggestiva su tutta la capitale.

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Al centro della città si trova la Holmen Kirke, da visitare anche solo per l’altare in legno che richiama splendidamente l’arte barocca.

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La Cattedrale di Nostra Signora è il principale luogo di culto luterano della città, costruita nel 1829 e ornata da preziose sculture dell’artista danese Bertel Thorvaldsen, a cui per altro è dedicato uno dei musei d’arte della città.

Cattedrale di Nostra Signora
Cattedrale di Nostra Signora

Avvolta nel suo ‘diamante nero’, una costruzione del 1999 in marmo nero e vetro affumicato, la Biblioteca Reale spicca nel panorama visibile dal percorso in traghetto che permette di osservare la città dal mare. E’ una delle biblioteche più grandi della Scandinavia e fu fondata a metà del XVII secolo.

Sempre in tema di istruzione, l’Acquario di Copenhagen è tra i più grandi d’Europa, aperto dagli anni ’40, con più di 70 vasche.
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Infine per combattere il freddo e il vento che batte la città anche a primavera già iniziata, è interessante una visita al birrificio-museo Carlsberg, che permette una visita nella storia dell’azienda e un assaggio della birra prodotta.
Carlsberg Museum
Carlsberg Museum

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Intervista a Fra.Biancoshock, a Milano la Street Art diventa “effimerista”

Articolo e fotografie di Martina Balgera

e Francesca Gabbiadini

Continua il nostro percorso tra i muri e gli oggetti di Milano reinventati dalla Street Art: dai colori e sorrisi pop di Pao passiamo ora al lato concettuale dei graffiti urbani e al loro ambizioso obiettivo di proporre un’arte volta a far girare le rotelline dei cervelli cittadini.

Blu all'entrata del Padiglione d'Arte Contemporanea (PAC).
Blu all’entrata del Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC).
Urban solid.
Urban solid.

Incontriamo, dunque, l’artista emergente Fra.Biancoshock, considerato dallo stesso Pao uno dei nomi più interessanti e promettenti a Milano.

Fra ha realizzato più di 400 interventi urbani in Italia, Spagna, Portogallo, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Malesia e Stato di Singapore, privilegiano uno stile che si allontana dalla pittura per adoperare gli oggetti stessi come mezzo artistico.

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Quali necessità ti hanno portato ad approcciarti alla Street Art?

«In primis il bisogno di comunicare con il resto del mondo in un modo diverso. Provenendo dal mondo del writing mi sono ovviamente reso conto che la strada era il mio palcoscenico naturale e ho iniziato così a sperimentare degli interventi che potessero esprimere i propri messaggi in un contesto urbano».

Dal punto di vista artistico Fra ha sempre cercato e creato un percorso creativo unico e altamente soggettivo, che non si ricollegasse a lavori altrui o a scuole di pensiero definite in una corrente esplicitamente riconoscibile. I suoi mentori arrivano direttamente dalla Street Art, come Brad Downey, Elfo, The WA, Mathieu Tremblin, SpY, Vladimir Turner e Evan Roth.

Nel nostro precedente articolo ci siamo occupate dell’artista Pao: sicuramente lo conosci, ma non sappiamo cosa ne pensi e se ti sei ispirato a lui.

«Io e Pao ci siamo conosciuti di persona nell’ultimo anno. Penso sia un precursore della Street Art milanese, che abbia una sua coerenza artistica ma preferisco dire quello che penso di lui come persona: centrato, disponibile, professionista.

Detto che lavoriamo entrambi in strada e a volte su complementi di arredo urbano, credo di non essermi ispirato a lui, più che altro perché i mie interventi cercano sempre di cambiare mezzi, media, messaggi, soggetti e situazioni

All’inizio del suo percorso artistico Fra.Biancoshock decise di portare avanti la provocazione Sorry this artist does not exist nei confronti dell’arte in generale e dei suoi sistemi, ma:

«A un certo punto ho capito che questa provocazione si era esaurita. Proseguire con quel “claim” sarebbe stato ipocrita e avrebbe rischiato di diventare un’etichetta “commerciale”. Non riconoscendomi in categorie specifiche tipo street art, urban art, etc etc. ho deciso di dare personalmente un nome a ciò che faccio, mettendo a fuoco una serie di elementi che han sempre fatto parte del mio iter creativo. I miei lavori sono sempre stati rivolti alle persone comuni, a quel punto ho ritenuto indispensabile cercare un confronto con Silvia (Silvia Butta Calice, sua Art producer n.d.r.), ovvero una persona che avesse un’esperienza diversa da quella artistica e che, allo stesso tempo, potesse darmi una visione imparziale ed estranea al mio concept per capire i punti di forza e le lacune di questa mia nuova visione: da qui è nato Ephemeralism.

E dato che ho martoriato questa ragazza con interminabili discorsi che spaziavano dai massimi sistemi dell’Arte fino al puro Non-Sense, ho deciso di spiegare tutto questo attraverso una personale, di cui Silvia è la curatrice.»

manifesto mostra

Dopo numerosi progetti quali “Antistress for free”, “Graffiti is a religione” e “Someone”, per citarne solo alcuni, Fra crea e promuove l’avanguardia artistica Ephemeralism, ovvero Effimerismo: attraverso il dialogo tra la praticità della Street Art e le modalità espressive dell’arte concettuale, l’artista promuove una corrente in cui gli oggetti artistici esistono in un tempo limitato nello spazio, ma che persistano illimitatamente attraverso la fotografie, il video e la viralità tipica dei social network. Utilizzando questi strumenti le riflessioni che impone con i suoi lavori passano dall’essere  effimeri all’essere “ephemeralism”.

Ingresso alla 77 Art Gallery
Ingresso alla 77 Art Gallery
Strumenti d'artista
Strumenti d’artista

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All’inizio di marzo del corrente anno, in Corso Porta Ticinese a Milano, Fra ha presentato la sua prima personale milanese nello spazio 77 Art Gallery: in relazione alla tua prima personale a Milano, come spieghi il connubio fra arte di strada e lo spazio chiuso dell’esposizione?

«Credo che la galleria d’arte intesa come galleria-gallerista-critico-scaffali di opere di artisti-elitè-inaugurazione la domenica pomeriggio non sia per il mio tipo di approccio la location ideale in cui esprimermi. Poi vi sono realtà diverse, come ad esempio al 77 Art Gallery, che operano con logiche diverse, più attuali e più stimolanti per gli artisti.

Io avevo bisogno di presentare questo progetto e avevo bisogno di uno spazio chiuso in cui le persone possano vedere quello che negli altri 364 giorni esprimo per strada. In questi anni molti hanno scritto che sono molto viral ma che di mio in giro si vede fisicamente poco. Dato che è vero, mi sembrava carino pensare a questo momento per esibire un po’ di esperienze effimere.»

Opera effimera esposta alla mostra
Opera effimera esposta alla mostra

A differenza di Pao, che ha un retroscena culturale del miglior teatro milanese, l’arte di Fra.Biancoshock nasce e si forma attraverso le strade, dialogando sì con il cittadino medio ma chiedendogli uno sforzo interpretativo maggiore.

La causa di questo sforzo non risiede nel messaggio, ma nello stile: la tecnica adoperata prevarica il linguaggio semplice e immediato, con la volontà di combinare stili appartenenti a più arti e metodi espressivi altamente contemporanei. In questo modo, rimaniamo in una Street Art di nicchia, aperta solamente alle giovani generazioni: vecchietti e adulti con menti ristrette, difatti, possono sicuramente osservare i suoi interventi urbani, ma non potrebbero mai recepire il passaggio successivo della sua corrente artistica, ovvero la possibilità di essere reiterata infinitamente grazie all’utilizzo di fotografie e video caricati su internet, canale comunicativo contemporaneo per eccellenza.

Pensando agli effetti sul fruitore si può fare di nuovo un confronto tra Pao e Fra. Le opere di Pao suscitano un sorriso corale perché ridanno slancio vitale a tristi elementi urbani, mentre Fra  utilizza più spesso il pirandelliano “sentimento del contrario” con il quale ci mostra le contraddizioni della società, tant’è che le sue opere umoristiche fanno provare anche un certo disagio.

angioletto che beve

Intervista a Pao, a Milano la Street Art diventa “pop”

di Martina Balgera

e Francesca Gabbiadini

Panettoni trasformati in pinguini, lampioni reinventati in chupa chups, alberi ornati da ricami di lana, cartelli stradali invasi da omini stilizzati, cabine ed edicole su cui spuntano teste di gallo, tubature che diventano bastoni da appoggio per vecchietti e, ancora, crepe da cui si scorgono mondi visionari: le creature della Street Art invadono le strade delle città di tutto il mondo, mutandone gli elementi.

Specialmente in ambienti grigi e alienanti, l’arte fuoriesce dalla tela, dal marmo e dalla pellicola per invadere la quotidianità dei cittadini e strappare sorrisi, suggerire spunti, creare provocazioni: e a Milano?

galletto
Parco Marinai d’Italia
Quartiere Isola
Quartiere Isola
Quartiere Isola
Quartiere Isola

Uno degli Street Artists più conosciuti e operanti nel capoluogo lombardo è senza ombra di dubbio Pao, coi suoi popolari pinguini e personaggi di fantasia provenienti dal mondo dei fumetti.

Dopo aver lasciato la facoltà di giurisprudenza al primo anno, decide di iniziare un’esperienza lavorativa con la compagnia teatrale di Dario Fo e Franca Rame. Si trasferisce poi a Londra in cerca di lavoretti e si accorge che le cose lì, non sono come le aveva immaginate. Qui vengono gettati i semi della sua riflessione sugli spazi urbani perché attorno a lui vede telecamere, sistemi di sicurezza e polizia ovunque, inizia a sentirsi come in 1984 di Orwell, ne prova un vero senso d’angoscia.

Quale necessità ti ha portato ad approcciarti alla street art?

«Quando ho iniziato, stavo passando un brutto periodo, ero particolarmente depresso, un anno di vita a Londra mi aveva completamente alienato. L’idea di dipingere per strada sui paracarri mi è arrivata quasi per gioco, subito mi sono accorto che funzionava come terapia, non solo per me ma per tante persone che approcciandosi alle mie opere ritrovavano il sorriso. Proprio l’apprezzamento delle persone mi ha spinto a continuare e a intraprendere questa difficile strada».

Ha avuto la fortuna di essere apprezzato da due delle personalità più note nell’ambito della Street Art, Marco Teatro e Paolo Buggiani, che lo hanno appoggiato e ispirato con il loro carisma. Un aneddoto esemplificativo dello spirito a cui Pao si sente realmente affiliato: proprio Paolo Buggiani , ormai agé, invitò Pao a Roma e durante una tranquilla passeggiata in Trastevere salì con una scala su un albero per collocare uno dei suoi coccodrilli spiazzando il giovane.

Paopao studio
Paopao studio
Ancora Paopao studio
Ancora Paopao studio
Pao
Pao

Nell’arte di Pao si può affermare che la cifra stilistica sia la capacità di far scaturire un sorriso, un ricordo d’infanzia. I suoi personaggi sono spesso legati al mondo dei fumetti, e ultimamente per le strade di Milano si può incappare, oltre che in Hello Spank, anche in Mister Magoo e uno Snoopy sonnecchiante sulla sua casetta rossa.

Kyle

Mr Magoo

Paolo è attivo dal 2000 nella sua città natale perciò nasce la curiosità di sapere, quali e dove sono i lavori che ti hanno appassionato di più e perché?

«Di lavori belli a cui sono affezionato ce ne sono molti, per diversi motivi. Diciamo che in 14 anni di tempo ho avuto modo di realizzare tante opere, ma sicuramente ce ne sono alcune che per un motivo o per l’altro sono più significative. Le prime rimangono nel cuore perché da lì tutto è iniziato, quasi inaspettatamente.

Piazza Arcole a Milano, dove c’era una rotonda di 22 panettoni tutti dipinti; via Cesariano, dove ho dipinto l’intera piazzetta con l’aiuto dei residenti e dei negozianti; ma anche la tela esposta nel 2007 al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano, ndr), i nuovi lavori di Street Art con tematiche nuove, le tele concave che sto dipingendo…».

Il suo ultimo intervento in città è POP, un disegno creato sul ponte che collega via Lagrange a via Gola sul Naviglio Pavese, nell’ambito dell’iniziativa Bridge Festival prodotta da Evoluzioni Urbane.

pontePOP

Proprio l’esposizione collettiva dei talenti della Street Art milanese al PAC nel 2007 gli permette di affermarsi e di essere riconosciuto per i suoi lavori negli spazi pubblici urbani ma non bisogna dimenticare che parallelamente coltiva la pittura su tela ed espone in varie gallerie italiane e straniere.

Utilizzi linguaggi diversi per le tue opere in galleria rispetto a quelle che vediamo in strada?

«Sì, utilizzo linguaggi molto diversi. In strada cerco di portare un po’ di ironia, di colore e allegria. Mi rivolgo a un pubblico vastissimo, quindi l’opera deve avere un grado di leggibilità molto elevata; utilizzo quindi speso citazioni dall’immaginario collettivo, come personaggi dei fumetti, della tv o dei videogiochi. I colori che uso sono accesi e brillanti, perché devono competere con lo smog e con la sovrabbondanza di stimoli visivi della segnaletica e della pubblicità. L’intenzione è quella di portare in città qualcosa di positivo e migliorare lo spazio pubblico.

In studio e in galleria mi concentro su quanto in strada non potrebbe funzionare. La ricerca sui quadri è più complessa, profonda e intimista. Quando dipingo in studio cerco di esplorare il mio mondo interiore. I quadri dimostrano diverse possibilità percettive. Le due ricerche si stimolano e completano a vicenda e anzi, mi piacerebbe riuscire a trovare una sintesi tra queste due tendenze».

Nei suoi interventi urbani, dunque, Pao sostiene un messaggio artistico che si snoda fra l’immediatezza e la semplicità, privilegiando i sensi del cittadino e accantonando opere di respiro più concettuale e raziocinante. Operando in questo modo viene fruito facilmente da tutti, opera una scelta artistica altamente consapevole che si potrebbe definire prendendo a prestito la terminologia musicale (proprio come fa lui stesso nel suo ultimo lavoro) “pop”, in quanto ha radici nella cultura underground  ma si affida a canali ufficiali e diffonde il suo stile “leggero” stereotipandolo.