Mese: Ottobre 2014
Intercity 791. Ester Castano: cronista che scoprì la ‘ndrangheta nel milanese, oggi al bivio tra Burger King e 30 euro (lordi) ad articolo
Pensate a una ragazza appassionata di giornalismo. Immaginate che la stessa, colta da un grande senso di giustizia e mossa dai valori più nobili, decida che il suo futuro dovrà essere in Sicilia, terra d’origine della sua famiglia certo, ma soprattutto terra di mafia. Dove lei reputa indispensabile continuare quel percorso iniziato molti anni prima con l’associazionismo antimafia che seguì le stragi degli anni ’80 e ’90.
La giornalista Ester Castano |
L’ex Sindaco di Sedriano Alfredo Celeste. Oggi imputato nel processo sui rapporti tra politica e ‘ndrangheta in Lombardia |
Ester Castano premiata da l direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli |
La “lunga marcia” fino al permesso di soggiorno cinese
Flessibilità, approccio user-friendly, rapidità. Tutte queste sono qualità che NON appartengono alla burocrazia cinese, e nella fattispecie, al processo di ottenimento di un permesso di soggiorno per motivi di studio.
Ma andiamo con ordine.
Quest’anno sono tornato a Beijing, presso l’ormai familiare Beijing Language & Culture University, per un corso di lingua cinese della durata di un anno accademico.
La scelta di un periodo di studio maggiore ai sei mesi ha fatto sì che rientrassi in una categoria di immigrato diversa rispetto a quella del semestre passato. Ciò ha comportato una percorso burocratico da seguire del tutto diverso a quello previsto per gli iscritti a un corso di lingua di durata semestrale (qui tutte le informazioni e i consigli in tal caso).
Per il mio ritorno alla rubrica “Al di qua della Grande Muraglia”, ecco quindi una serie di consigli, informazioni e semplici racconti di esperienza vissuta, per venire in aiuto e preparare psicologicamente coloro i quali hanno intenzione di proseguire i propri studi in Cina per più di un semestre.
Come sempre, la pazienza sarà la virtù dello studente straniero in Cina, basterà tenere a mente delle semplici accortezze per ottenere con soddisfazione il proprio residence permit.
Il visto
Le cose cambiano fin dalla richiesta del visto, che va effettuata con giusto anticipo prima della partenza. Stavolta, occorrerà richiedere un visto di tipo X1, tramite consegna di passaporto, lettera di ammissione dell’università ospitante, biglietto aereo, modulo di richiesta visto e due fototessere presso il centro VisaforChina.
L’ultimo passo verso il residence permit
Una volta ottenuti ( o certificati) i risultati delle visite mediche , basterà consegnarle insieme al passaporto, lettera di ammissione dell’università ospitante e fototessera all’ Administrative Department of Entry-Exit of Beijing Public Security Bureau, situato nelle vicinanze del Lama Temple, o Yonghegong.
Anche in questo caso, un apposito ufficio dell’università ospitante potrà effettuare quest’ultima procedura in nostra vece, senza andare di persona all’ufficio immigrazione. La procedura per l’emissione del permesso di soggiorno può durare da un minimo di due settimane a un mese, al termine del quale basterà pagare le spese burocratiche (500 RMB,poco più di 50 euro) e ritirare il proprio passaporto, all’interno del quale sarà presente il nostro residence permit.
Va tenuto a mente che uno dei benefici del residence permit è quello di poter tranquillamente entrare e uscire dalla Cina senza dover richiedere nuovi visti, oltre che la possibilità di emettere lettere di invito per permettere ad amici o famigliari di entrare in Cina, senza dover richiedere un visto turistico (di breve durata).
Dopo un buon mesetto sotto il giogo della burocrazia cinese, eccovi liberi e formalmente residenti al di qua della Grande Muraglia! Buona permanenza!
Lasciatevi incantare
Dal grande marasma dei clarinetti popolari eccovi il flauto degli incantatori di serpenti.
L’incantatore di serpenti è una figura tipica del folklore indiano che campeggia sia per le città sia su gran parte delle copertine delle guide turistiche per l’India. Negli ultimi anni il governo indiano ha cominciato ad applicare una legge (del 1972) che vieta l’utilizzo di animali col fine di farne profitto, accusando gli incantatori di provocare ai rettili malattie e menomazioni.
«Abbiamo fatto danzare i nostri serpenti davanti a telecamere tv e a capi di Stato – ha gridato un incantatore durante una manifestazione di protesta a Delhi – e siamo stati chiamati in emergenza quando un gruppo di hindu minacciò di gettare serpenti velenosi durate una partita di cricket contro il Pakistan. Ma ora ci trattano come seviziatori di animali. Non è giusto».
Ormai lo sappiamo tutti che i cobra sono sordi che in realtà non vengono incantati ma semplicemente si sentono minacciati dal flauto di turno. In tutto questo trambusto, non vi siete mai chiesti nulla del piffero in questione? Io sì.
Viene chiamato pungi (in lingua hindi) o been, o tiktiri (in sanscrito) ed è uno strumento importante nella musica popolare indiana. È appunto il cosiddetto “flauto degli incantatori di serpenti” ma si suona anche in rituali legati al culto di Shiva (che è tra le tante cose il Re della danza). In India esiste uno strettissimo legame tra musica e religione, documentato tra l’altro nei libri sacri Veda nei quali vengono distinti due generi musicali: la musica vocale sacra dedicata al culto del dio Brahma e la musica strumentale profana collegata al dio Shiva.
Il tiktiri è uno strumento che fa parte dei clarinetti popolari ed è costituito da due canne inserite in una zucca “a bottiglia”; una canna ha sette fori (sei davanti e uno dietro) e crea la melodia, mentre l’altra (a due fori ) è il bordone. Una peculiarità degli strumenti a fiato popolari è proprio questa, mentre viene suonata la melodia con una canna, l’altra produce una nota (o un accordo) di accompagnamento tenuto per tutto il brano. I due fori della canna di bordone vengono chiusi in parte con della cera per raggiungere l’intonazione desiderata. Avete presente le cornamuse o le launeddas sarde? Quel ronzio perenne di sottofondo (a volte fastidioso)? Ecco, quello è il bordone.
In una classificazione ufficiale, serie e rigorosa, diremmo che il tiktiri è un aerofono ad ancia semplice. Questo perché solitamente viene tenuto conto del modo in cui viene prodotto il suono per decidere in quale categoria piazzare un determinato strumento. Aerofono, perché per produrre il suono serve l’aria insufflata dal suonatore; ad ancia, perché per produrre il suono, lo sappiamo tutti, ci vuole una vibrazione e in questo caso se sventrassimo il tiktiri troveremmo all’imboccatura di entrambe le canne una piccola lamella di bambù: l’ancia. Semplice, perché ce n’è solo una per canna (l’ancia doppia è costituita da due piccole ance singole legate insieme, che troviamo per esempio nell’oboe e nel fagotto).
Bun venit la Bucuresti: l’arrivo in città
Volo di sola andata per Bucarest. Cappuccio della felpa prontamente tirato fin sopra gli occhi, braccia conserte e gambe allungate; sono quasi giunta alla soglia dell’inconscio quando sento il familiare rumore della lattina di birra aperta: sono i miei vicini rumeni, che tra una chiacchiera e l’altra, fanno colazione… ho già detto che l’orario di partenza era previsto per le 8.30?
Questa rubrica nasce dalla volontà di scoprire un Paese che da sempre viene identificato tramite pregiudizi talmente risaputi che non mi do la pena di trascrivere. Purtroppo, essendo anch’io figlia di questo tempo, non posso fare a meno di prescindere da essi ma posso tuttavia decidere di riconoscerli, aggirarli o scavalcarli a piè pari. Iniziamo dunque a curiosare tra le strade di Bucarest con occhi che da principio non possono che essere inevitabilmente turistici, per poi ambientarci e conoscere i veri rumeni, la vera Bucarest e la vera Romania.
Divenuta capitale nel 1862 grazie alla strategica posizione tra occidente e oriente, nel XX secolo Bucarest si aggiudica il titolo di “Parigi dell’Est” o “piccola Parigi”, grazie alla costruzione di edifici neoclassici e alla realizzazione di eleganti giardini su modello parigino a fine degli anni ’30. Al giorno d’oggi, però, di tale splendore rimane gran poco: i bombardamenti degli alleati durante la seconda guerra mondiale, il terremoto del 1940, il secondo terremoto nel 1977 che causò 1391 vittime e il massiccio programma di risanamento realizzato negli anni ’80 dal dittatore Nicolae Ceauşescu cancellano definitivamente l’elegante passato di Bucarest. Un esempio è il Palazzo del Parlamento, la famigerata opera di Ceauşescu. Secondo edificio al mondo per dimensioni dopo il Pentagono, è costituito da 12 piani e da 3100 stanze ed è l’attuale sede della camera dei Deputati, di quella del Senato e dal 2004 dell’ecletticoMuseo di ArteContemporanea. Il 20 settembre 2014 la città ha spento la sua 555esima candelina e per l’occasione sono stati proiettati sulla facciata del Parlamento ben cinque performance multimediali raffiguranti la storia e lo spirito di Bucarest.
A voi le cinque performance. Al minuto 25.50 la mia preferita, direttamente dalla Polonia.
Procedendo verso Nord si giunge a Lipscani, centro storico della città, che prende nome dalla sua via principale. Tra i vicoli stretti, caratterizzati per lo più da edifici degli anni Ottanta non del tutto ristrutturati, si trova l’Antica Corte Principesca di Vlad Ţepeş, meglio noto come Dracula, risalente al XV secolo e in seguito lasciata in stato di abbandono, ma oggi visitabile e in futuro soggetta a lavori di restauro.
A scrivere il vero, il centro storico è famoso per la sua vita notturna costituita da kebab aperti ventiquattro ore su ventiquattro, da un numero ignoto di club e discoteche ad entrata libera e da spogliarelliste in vetrina che si divertono senza ritegno a prendere in giro gli sguardi accattivanti dei clienti. La maggior parte degli edifici proietta per la strada e per tutta la notte, alba inclusa, le loro luci e musiche composte prevalentemente da un misto di rock, pop e commerciale.
Consumando un po’ di suola e continuando a risalire Calea Victoriei si giunge a Piaţa Revoluţiei, una zona della città segnata dalla caduta del regime comunista. E’ qui, difatti, che Ceauşescu pronunciò l’ultimo discorso dal balcone dell’ex Comitato Centrale del Partito Comunista il 21 dicembre 1989, per poi scappare in elicottero tra le grida di «Abbasso Ceauşescu!», mentre i suoi uomini sparavano sulla folla. Adesso l’edificio è sede del Ministero dell’Interno e di fronte al palazzo si erge il Monumento alla Rinascita: un obelisco bianco circondato da una corona simile a un cesto di dubbia bellezza estetica.
Ma non c’è solo il cemento! Bucarest permette ai suoi abitanti e ai suoi visitatori di riposare membra e occhi nei suoi molteplici parchi, come il più antico parco pubblico della città: il Giardino Cişmigiu, datato 1847.
Aix-en-Provence e Marseille: la Bella Addormentata e la sua sorellastra cattiva
«Aix en Provence è sempre stata la Bella Addormentata della Provenza» così mi dice una signora mentre visito la maison di Cezanne… Ci rifletto su un po’, ma non posso che darle ragione se penso al fascino, all’eleganza, a quest’aura da sogno che si respira.
Vi faccio qualche esempio: la vita quotidiana di ogni Aixoise comincia dalla Rotonde, che è la monumentale fontana ottocentesca decorata dalle tre statue dei simboli di Aix: la Giustizia, l’Agricoltura e le Belle Arti. Già qui si presenta un paesaggio da favola!
Tra le cose più pittoresche della ville ci sono i mercati, dove le verdure sono impilate con ordine sui banchi che spesso sono decorati con i fiori di campo; uomini e donne si servono da soli e ripongono le loro spese nelle tradizionali sporte di paglia (credo che tutte le signore ne possiedano almeno una). Per quanto siano sempre affollati questi mercati mi danno l’impressione di essere silenziosi, in particolare quello dei libri antichi che si svolge ogni prima domenica del mese.
Aix è anche una città sofisticata infatti, nella parte moderna, vi è il grande polo culturale che comprende il nuovissimo Conservatoire di Kengo Kuma, le Grand Théâtre de Provence, le Centre Chorégraphique National e la bellissima Cité du Livre, sede della Bibliothèque Méjanes costruita all’interno di una ex-fabbrica di fiammiferi.
Di sera il centro assume un volto diverso perché essendo città universitaria si riempie di studenti che fanno festa soprattutto nella zona di place Cardeurs e rue de la Verrerie.
Ho avuto la fortuna di assistere alla Bénédictions des Calissons, la festa tradizionale che si svolge la prima domenica di settembre, durante la quale vengono distribuiti i Calissons, dolcetti alla mandorla simbolo della liberazione dalla peste del 1630; in questa eccezionale occasione ho percepito quanto gli Aixoise siano affezionati alle loro tradizioni: tutti, sia giovani sia anziani, conoscono le canzoni e le danze popolari.
Aix si trova a trentatrè chilometri dalla seconda città più popolosa della Francia: Marseille. Se si è residenti o giovani sotto i 25 anni si può fare il biglietto per il bus-navetta che costa solo due euro andata/ritorno. Solo trentatrè chilometri ma tutto cambia.
I mercati diventano come dei Suq, gli odori che si sentono sono molto più pungenti e si è immersi nel rumore delle macchine che passano sulle strade principali, della gente che parla lingue che non posso riconoscere e del vento che ha il sentore di porto.
Qui tutto si muove: le macchine sfrecciano anche nel centro e ci sono operai dappertutto che puliscono (male), aggiustano, demoliscono perché è una città che sta cercando il riscatto dalla sua cattiva fama. Nel 2013 è stata insignita del titolo di “Capitale europea della Cultura”; ora è in lizza per diventare “Capitale europea dello Sport” nel 2017.
La Bibliothèque de l’Alcazar ben rappresenta lo stile della città: è infatti immensa e contaminata da suggestioni di vario tipo. L’Alcazar era nato a metà ottocento come teatro (dove si poteva anche bere e fumare in libertà) dall’architettura in stile moresco.
A me piace immaginare Aix come la Bella Addormentata e Marseille come la sorellastra che fa fare le avventure più pericolose, stravaganti, eccessive e che ha il fascino irresistibile delle bad girls.
Tosca: la recensione
«Puccini è un invito all’amplesso»
(Mosco Carner)
È il 14 gennaio 1900: il sipario del Teatro Costanzi di Roma si alza sulla pucciniana Tosca.
Destinata a diventare uno dei capolavori più rappresentativi del teatro verista, Tosca continua ad avere successo e presa sul pubblico di tutto il mondo e a Bergamo ricorre dieci volte nei cartelloni operistici del teatro Donizetti, in un arco temporale di un secolo circa, tra la prima del 1903 e l’ultima rappresentazione del 2002.
E sempre al Donizetti di Bergamo è tornata, lo scorso 1 ottobre, nell’ambito del IX Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti, kermesse che sta coinvolgendo palcoscenico, orchestra e pubblico in un serie di eventi che interessano i nomi del panorama performativo; in contemporanea L’Altrofestival anima la città con rassegne, concerti, conferenze ed eventi pensati per un pubblico giovane, non rigidamente operistico.
Ma chi era Tosca? E qual è la sua storia? Ve ne presentiamo una sinossi per conoscerla meglio.
L’opera, composta tra la primavera del 1896 e l’ottobre 1899, venne rappresentata per la prima volta al teatro Costanzi di Roma nel 1900. È tratta dall’omonimo dramma storico di Victorien Sardou e ambientata in una Roma dall’atmosfera tesa a causa dei tumulti rivoluzionari francesi appena avvenuti e dalla caduta della prima Repubblica Romana: è sabato 14 giugno 1800, il giorno della Battaglia di Marengo (Napoleone sbaraglia l’esercito dell’Impero d’Austria, si prende un bel pezzo di nord Italia e fa prendere la strizza a re e regine). I tre luoghi romani dove si svolge questa storia di gelosia, vendetta, amore e morte, sono la chiesa di Sant’ Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo.
I personaggi principali sono Floria Tosca, una cantante innamorata follemente di Mario Cavardossi, un pittore che ricambia il sentimento; il cattivone di turno è il Barone Scarpia, il capo della polizia che vuole impedire il loro amore. Alla fine tutto si complica e come in tutte le opere liriche qualcuno muore: la bella e fragile protagonista. La vicenda è divisa in tre atti e in ognuno troviamo una romanza importante, un momento in cui l’azione si ferma, si cristallizza e il personaggio si abbandona alle sue emozioni (erano quei pezzi che tutti conoscevano e che magari cantavano mentre si lavavano nella tinozza, le hit del momento).
Andante lento e appassionato molto è l’indicazione per i musicisti dell’orchestra circa come interpretare l’ultima romanza: è un momento tragico in cui Cavardossi sta per andare incontro alla sua condanna a morte e ripensa al suo legame con la sua amata Tosca, ma lo ripensa in termini così sensuali che in questi versetti c’è l’unica scena di spogliarello dell’opera lirica:
E lucean le stelle… e olezzava/la terra…stridea l’uscio/ dell’orto… e un passo sfiorava la rena./Entrava ella, fragrante,/ mi cadea fra le braccia. Oh! Dolci baci, o languide carezze,/ mentr’io fremente/ le belle forme disciogliea dai veli!/ Svanì per sempre il sogno mio d’amore…/ L’ora è fuggita/ E muoio disperato!…/ E non ho amato mai la vita!
Il tenore in questo momento è come se stesse sognando a occhi aperti e, mentre lui canta sulla stessa nota i primi versi, l’orchestra sta già definendo in sottofondo la melodia che esploderà sui dolci baci, quando voce e musica eseguono lo stesso motivo. Questo per mostrarvi un piccolo esempio della complessa macchina musicale che è Puccini e di tutti gli elementi che raccoglie, incastra e amalgama il genere musicale del melodramma.
In copertina, immagine dalla Tosca in scena al Teatro Donizzetti di Bergamo.
Moderni Odisseo alla scoperta di Corfù
«[…] A Te la via
Additerò della città ed il nome
De’ popoli dirò. Tengono questa
Città i Feaci ed il paese: io nacqui
Dal magnanimo Alcìnoo a cui la somma
Del poter e’ commisero e la forza.»
Così la bella Nausicaa dalle nivee braccia accoglie lo straniero Odisseo sull’Isola dei Feaci, che nell’iconografia del mito è identificata con l’odierna Corfù. Dopo che l’eroe multiforme l’ha paragonata ad un germoglio di palma, uno dei più belli e dolci complimenti che siano mai stati scritti o proferiti, Nausicaa soccorre Odisseo e lo conduce nella sua casa, secondo le leggi e la tradizione dell’ospitalità che ancora oggi, dopo migliaia di anni, caratterizza il popolo greco.
Oggi Corfù, di Grecia, perlomeno quella antica, conserva poco: sull’isola, situata a pochi kilometri dalle coste dell’Albania, sono presenti più che altro resti romani, una chiara impronta bizantina e veneziana e qualche lascito della breve dominazione inglese. Proprio da numerosissimi inglesi è visitata l’isola, molti dei quali hanno eletto Corfù a buen retiro o a vera e propria residenza.
L’isola, la seconda per grandezza delle isole ioniche, da scoprire noleggiando un’automobile, perché non ci si può fidare della puntualità o addirittura dell’esistenza dei mezzi pubblici corfioti, alterna mare e montagna, concedendo ampia scelta sia per gli amanti della pigra vita da spiaggia sia per gli appassionati di trekking: le spiagge sono divise abbastanza equamente fra lidi in stile Rimini, con una lunga striscia di sabbia invasa da ombrelloni e lettini, e scogli e sassi che danno una sensazione di selvaggio con acque limpide e cristalline.
Di quest’ultimo tipo non si può fare a meno di menzionare Kassiopi e la spiaggia di Batarìa, a nord dell’isola, direttamente affacciata sulle coste albanesi. Più affollate sono le spiagge di Agios Georgios e Agios Gordis, immerse comunque nella natura.
Paleokastritsas invece viene considerata dai corfioti il posto più bello del mondo, dove s’incontrano l’elemento della natura montana a quello dal mare e della spiaggia. La vera bellezza, potendosi permettere il noleggio di una barca o di un motoscafo, è scoprire le minuscole e splendide calette di questa località, che nascondono un’acqua limpida e azzurra da sogno.
Aldilà della vita da spiaggia, Corfù offre inestimabili bellezze estetiche: Kérkyra, o Corfù Town, capoluogo dell’isola, ha un centro storico chiaramente di influenza veneziana, dichiarato patrimonio dell’Unesco nel 2007. Gli amanti della cultura non rimarranno a bocca asciutta in questa città: le numerose chiese bizantine e i musei, tra cui quello di arte asiatica e il museo bizantino, meritano davvero una visita; così come l’Achilleion, la villa estiva fatta costruire dalla principessa Sissi, situata a sud del capoluogo.
Visitata di sera, Kérkyra colpisce soprattutto per la Spianada, la piazza principale circondata dai numerosi locali e ristoranti sotto i portici ai piedi della Fortezza Antica, di epoca bizantina. Nei locali potrete bere la tipica birra greca Mythos (pessima) e la tradizionale bevanda corfiota tzizimbirra, limonata fredda aromatizzata allo zenzero (gradevole, ma non eccezionale). Il centro della movida notturna si trova nell’estremo sud dell’isola, a Kavos, rinomata per le discoteche e i locali notturni.
Corfù è senz’altro un’isola stupenda per una vacanza estiva, ma ancora di più probabilmente per una vacanza in bassa stagione, quando è possibile entrare nel vivo dell’isola e osservare da vicino le abitudini e le tradizioni greche, così come i luoghi più caratteristici e tipici, che spesso nella calura e nella frenesia dell’estate passano inosservati.