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Mese: Dicembre 2014

Fine estate al lago Balaton

Per i più appassionati, il Lago Balaton è sinonimo di musica, tanta musica. Sulle spiagge nei dintorni di Siòfok, durante l’estate si tengono famosissimi festival, come il Balaton Sound dove gli stili variano, dall’elettronica al pop, dal rock all’hip hop.

Cosa succede quando l’estate si avvia al termine, le casse sono spente e i giovani mitteleuropei hanno ripreso la normale attività?

La parte nord-est del lago, che si estende per 594 km ad ovest di Budapest è quella che i fieri abitanti del luogo definiscono la migliore. Il giro parte proprio da Siòfok, il principale centro della zona, mediante un traghetto si arriva a Tihàny, villaggio di porcellana situato su un promontorio sulla riva nord. A seguire Veszprèm, con il suo Vàr, le vallette che solcano la città e le viste dalla cima delle colline, dove si produce vino delizioso che si abbina molto bene alla squisita cucina locale. Infine Balatonàlmadi, un elegantissimo salotto appoggiato alla riva, con bellissime spiagge erbose.

Del lago Balaton si può dire che sia un ambiente dove, quando non martellano i bassi, la vita si annusa, gusta, vede, sente e ode nel più dolce dei modi.

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Tributo a Kiev

Ho avuto la fortuna di arrivare a Kiev per la prima volta, quasi per caso, nell’estate del 2011, dopo un viaggio in treno di venti ore da Cracovia. La capitale ucraina accoglie magistralmente i suoi turisti: i biglietti della metropolitana sono dei bellissimi gettoni di plastica azzurri!

Ancora meglio dei gettoni è arrivare nel weekend, quando il Khreschatyk, l’enorme viale centrale a otto corsie, è chiuso al traffico e invaso dai pedoni.

Il viale Khreschatyk, arteria del centro di Kiev.
Il viale Khreschatyk, arteria del centro di Kiev.

Lungo il viale si trovava una nostalgica statua di Lenin, abbattuta proprio quest’anno. Il Khreschatyk conduce alla celebre Majdan Nezaležnosti – piazza dell’Indipendenza – una delle piazze più grandi e stupefacenti d’Europa.

Scorcio di Piazza Majdan.
Scorcio di Piazza Majdan.

Un enorme arcobaleno d’acciaio attira l’attenzione, specialmente di notte quando è illuminato: è un monumento sovietico dedicato all’Amicizia dei Popoli. Sotto l’arcobaleno una terrazza panoramica si affaccia sul fiume Dnepr: la schiera sterminata di palazzoni bianchi della riva opposta lascia senza fiato.

Risalendo le stradine a nord di Majdan si scorgono le tredici cupole a cipolla della Cattedrale di Santa Sofia. A poche centinaia di metri luccicano altre cupole dorate, quelle dell’azzurrissimo monastero di San Michele.

A Kiev ci sono tornata anche d'inverno: questa è Santa Sofia innevata.
A Kiev ci sono tornata anche d’inverno: questa è Santa Sofia innevata.

Al calar della sera è un piacere passeggiare nella tranquilla zona dell’Università di Kiev, intitolata al poeta nazionale Taras Shevchenko: lì vicino c’è un bellissimo parco ed eleganti palazzi si affacciano su vie dai nomi illustri, come via Lev Tolstoj.

La vita notturna di Kiev non ha nulla da invidiare alle altre città: birra a poco prezzo e la buonissima vodka Nemiroff non mancano mai nei pub e nelle discoteche del centro. Tuttavia, per vivere un’esperienza davvero ucraina si deve andare all’Hydropark, una specie di luna park notturno con tanto di spiaggia sul fiume e musica house a livelli imbarazzanti.

Dopo i bagordi della notte di Kiev c’è bisogno di un po’ di spiritualità: di mattina presto ci si reca al Monastero delle Grotte di Kiev, uno dei centri più importanti del mondo ortodosso. In superficie ci si perde in un parco fra chiese e chiesette dalle cupole d’oro, per poi trovare l’accesso alle grotte sotterranee. E’ obbligatorio acquistare delle candele prima di scendere: gli stretti tunnel del sottosuolo sono infatti illuminati solo dalle fiammelle dei fedeli, che venerano le reliquie dei santi poste lungo le pareti.

Il Monastero delle Grotte di Kiev, o Lavra, e il parco che lo circonda.
Il Monastero delle Grotte di Kiev, o Lavra, e il parco che lo circonda.

Altrettanto suggestiva ma di tutt’altro genere è la statua della Madre Patria, un colosso in titanio alto 102 metri, protagonista del parco dedicato alla memoria della Grande Guerra Patriottica (la Seconda Guerra Mondiale). Il memoriale è un trionfo al realismo socialista: statue, carri armati e canzoni dell’esercito rosso diffuse nell’aria fanno scendere una lacrimuccia.

La Grande Madrepatria e le statue dei soldati.
La Grande Madrepatria e le statue dei soldati.

Come ultima chicca da scoprire rimane il quartiere ai piedi della collinetta su cui è posta la stupenda Chiesa di Sant’Andrea. La stradina che si arrampica in cima è il lato bohème di Kiev, con bancarelle di quadri e paccottiglia sovietica: cosa c’è di meglio che lasciare la città con delle cartoline ingiallite scritte a mano e una maglietta con raffigurati dei cosacchi?

La salita verso la Chiesa di Sant'Andrea in una giornata nevosa.
La salita verso la Chiesa di Sant’Andrea in una giornata nevosa.

Kiev non merita di essere associata solo ai tragici fatti di quest’anno: questo articolo e le fotografie sono il mio modesto tributo ad uno dei luoghi più belli d’Europa.

Film sotto l’albero

Articolo di Jessica Pompili e Ludovico Lanzo

Le feste natalizie sono arrivate e cosa è meglio di un bel film di Natale per gustarle a pieno? I titoli a disposizione sono tantissimi, ma per i più indecisi noi di Pequod abbiamo stilato una lista di sei pellicole assolutamente da vedere…e altrettante assolutamente da evitare!

Buon Natale a tutti e buona visione!

 

Consigliati

Joyeux Noël (voto 10):

Scritto e diretto dal francese Christian Carion, il film è una delicata pellicola natalizia ispirata a fatti realmente accaduti durante la prima guerra mondiale, quando soldati francesi, scozzesi e tedeschi sospesero le operazioni la notte della Vigilia di Natale del 1914 per festeggiare insieme.

A Christmas Carol (voto 9):

Riadattamento in CGI e motion capture del classico di Charles Dickens Il Canto di Natale. Nel cast Jim Carrey, Colin Firth e Gary Oldman. Molto fedele all’originale, il film mostra come unica debolezza una grafica troppo sbilanciata a favore del 3D.

Nightmare before Christmas (voto 9):

Scordatevi le solite storie sul Natale, accantonate alberi e festoni e godetevi l’avventura di Jack Skeletron, la quale dal 1993, grazie al genio di Tim Burton e la regia di Henry Selick, è divenuta un cult senza tempo e soprattutto senza pari. Nonostante il pubblico sia ormai abituato a tecniche di animazione “evolute”, Nightmare Before Christmas rammenta sempre il fascino e l’eleganza della stop-motion, fotogramma dopo fotogramma, i personaggi vengono mossi dagli animatori, la cui cura per il dettaglio è assoluta. Un gioiello del cinema da vedere e rivedere.

Nightmare before Christmas

Natale in affitto (voto 8):

Divertente commedia interpretata da Ben Affleck e ispirata al film spagnolo Familia (al quale si ha preso spunto anche l’italiano Una famiglia perfetta con Sergio Castellitto). La storia è quella di un giovane e ricco manager che decide di affittare una famiglia per le feste di Natale.

Mamma, ho perso l’aereo (voto 8):

Indimenticabile e, a giudicare dalle programmazioni Tv natalizie, dovrei dire intramontabile è la commedia con incassi da capogiro diretta da Chris Columbus e interpretata da Macaulay Culkin (ai tempi d’oro).  La pellicola è divenuta, nel corso degli anni, un vero e proprio “rito celebrativo” che appassiona ancora oggi generazioni di spettatori, un livello eguagliato solo da Una poltrona per due. Le gag del giovane Kevin che deve vedersela con due loschi ladri, i grandissimi Joe Pesci e Daniel Stern, non passano mai e poi mai di moda. Vederlo per la prima volta è stata una gioia per me, quindi il film deve meritare almeno una sufficienza.

Il Grinch (voto 7):

Nessun Nonsochì, o un altro che non so, deve per forza sapere chi è il Grinch, che vive a Chinonsò. Come vedete pensare a questo film mi mette proprio di buon umore. Il buffo personaggio verde è ormai un idolo indiscusso durante le feste natalizie, un protagonista ben costruito e appassionante per via della sua diversità. Isolato, burbero ma geniale è il personaggio interpretato da Jim Carrey nel film di Ron Howard. Il Grinch, vincitore di un premio Oscar per il miglior trucco, riesce sempre a strapparti una risata e tenerti compagnia. Un classico per gli amanti della coperta di lana e della cioccolata calda.

Mamma ho perso l’aereo

 

 Sconsigliati

Lo Schiaccianoci 3D (voto 5):

Il regista Andrej Koncalovskij aveva una missione, rovinare la fiaba di Natale per eccellenza. Ci riesce nel 2010, portando sul grande schermo il più assurdo riadattamento del celebre racconto di Hoffmann. La favola è rivista alla luce di un nascente mondo tecnologico, costruita ad hoc per il 3D e inserita in una cornice che strizza malamente l’occhio al musical. A peggiorare il tutto il personaggio dello zio Drosselmeyer, inspiegabilmente divenuto il fisico Albert Einstein. Insomma un pessimo esperimento cinematografico che vi farà rimpiangere di non aver prenotato un posto al balletto!

Santa Clause (voto 4):

Era il lontanissimo 1994 quando Tim Allen indossava per la prima volta i panni del peggior Babbo Natale di sempre nel film Santa Clause. Non contento del danno causato, tornò a impersonarlo altre due volte in Che fine ha fatto Santa Clause? e Santa Clause è nei guai. Quando si dice l’ostinazione!

Natale in Africa (voto 4- ):

Inserire un cine-panettone tra i film di Natale che sconsiglio sarebbe un po’ come sparare sulla Croce Rossa, ma è un bene sapere che un film, nel bene o nel male, può lasciarti un segno e a volte, come in questo caso, può fare alzare la tua autostima. Per vederlo finire bisogna avere una gran forza d’animo ma, come sappiamo, ciò che non ci uccide ci fortifica. Vi risparmio i dettagli sulla trama, basta solo prendere il film dell’anno precedente, ambientarlo in Africa e pensare a Belén. Nel caso in cui tra i lettori di questa classifica ci fosse un aspirante regista, amico mio ricordati che ci sarà sempre e dico sempre un film che ha fatto più schifo del tuo, in bocca al lupo.

Santa Clause

Elf (voto 3):

Se non odiate gli elfi, con questo film imparerete a odiarli. La storia è quella di Buddy, insopportabile abitante del Polo Nord che scopre all’improvviso di non essere un vero elfo, ma un essere umano. Parte così la ricerca delle sue origini. Un atroce Will Ferrell, salva qualcosa Zooey Deschanel.

Una promessa è una promessa (voto 3):

Domanda: si può fare un film con Schwarzenegger senza inserire morti ovunque o esplosioni apocalittiche? La risposta è si, ma ditemene uno senza pensarci per più di dieci secondi. Sarò sincero, io ci ho pensato a lungo, finché non mi è venuto in mente Una promessa è una promessa, un film che, scusate ma è doveroso dirlo, non promette niente di buono neanche dal titolo (italiano si intende). Insomma c’è un tizio muscoloso (tirate a indovinare) che vuole recuperare il suo rapporto col figlio fino a quando non ci riesce, fine. Dimenticavo, il protagonista compra un giocattolo. Il film ci spiega che…che… insomma ci spiega qualcosa e se riuscite a capirlo commentate qui sotto vi prego, io passerò il resto delle vacanze a pensarci. Nel frattempo Happy Christmas!

Conciati per le feste (voto 2):

Due padri suonatissimi decidono di farsi la guerra per dimostrare al vicinato di avere gli addobbi natalizi migliori. Gag banali a raffica e noia assicurata per andare sempre sul sicuro!

Elf

Vigilia di Natale: musica per le strade italiane

Addobbi e lucine per le strade vi stanno facendo capire che il Natale sta arrivando? L’albero c’è, il presepe pure, non ci resta che aspettare la magia (o l’abbuffata) della Vigilia. Personalmente la passerò suonando per le strade del mio piccolo paesino sui colli bergamaschi; è infatti tradizione molto radicata nel territorio lombardo, quella delle bande musicali dei vari paesi, di andare a suonare casa per casa la notte del 24 dicembre. Ovviamente ogni banda ha il suo stile e i suoi brani preferiti: si spazia dalle cosiddette pastorelle tradizionali (brani a carattere popolare pastorale), alle più recenti canzoni natalizie.

Il tradizionale Baghèt Natalizio del Corpo Musicale Città di Treviglio
Il tradizionale Baghèt Natalizio del Corpo Musicale Città di Treviglio

 

Sempre la sera della Vigilia, non è strano sentire i suoni dei baghèt che rimbalzano di paese i paese. Sono le cornamuse bergamasche (abbandonate durante la seconda metà degli anni Cinquanta con la crisi della società contadina) che sono tornate ad avere una posizione centrale nella musica popolare di tradizione negli anni Ottanta, grazie alla spinta delle nuove ricerche del folk-revival. Questo strumento è stato da sempre un po’ il simbolo del periodo delle vacanze natalizie, anche perché i contadini lo sfoderavano solo con l’arrivo dell’inverno, quando il lavoro diventava scarso e nei campi non c’era quasi niente da fare. Vero è che, oltre alle pastorali natalizie, questo strumento è essenziale per molti brani che accompagnano la danza e tantissime altre canzoni del repertorio popolare.

 

 

Diffusa in tutto in nord Italia, la cornamusa, assume nomi diversi in base all’area geografica (musa dell’Oltrepò pavese, piva ticinese, piva appennina) o a delle piccole differenze strutturali; in generale è formata da un serbatoio d’aria in cui ci soffia il suonatore, che nel frattempo fa pressione con il braccio facendo uscire l’aria dalle canne. Solitamente troviamo una canna per la melodia (con i fori per le dita), detta chanter, e le canne di bordone prive di fori. Il suono viene prodotto da un’ancia (doppia nel chanter e singola nelle canne di bordone) inserita all’interno delle canne che viene fatta vibrare dall’aria.

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Tradizione simile la troviamo nelle regioni dell’Italia meridionale, dove però al posto dei suonatori di cornamusa troviamo gli zampognari (solitamente accompagnati da un suonatore di ciaramella); in particolare suonano durante il periodo della Novena, dell’Immacolata concezione e quello del Natale. Questa, di suonare per le strade, è una tradizione che nei centri urbani si riscontra quasi esclusivamente durante il periodo natalizio, mentre nei piccoli centri rurali questo strumento accompagna la maggior parte delle festività durante tutto il corso dell’anno.

 

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La zampogna funziona sostanzialmente come la cornamusa, la differenza è strutturale: oltre che avere una sacca per l’aria notevolmente più grande di quella della cornamusa, invece che avere diverse canne separate, presenta un unico “ceppo” ligneo da cui partono sia le canne della melodia sia quelle di bordone. La ciaramella invece è un oboe popolare ad ancia doppia, che raramente viene suonata da solo, solitamente è in coppia con una zampogna.

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Quest’anno, se sentite una melodia lontana o qualcuno che sta suonando nella vostra via, aprite la finestra e ascoltate, lanciate un saluto a chi sta suonando al freddo per regalarvi un augurio musicale.

 

In copertina: Banda natalizia in provincia di Bologna [ph. Rosapicci CC BY-SA 4.0/Wikimedia Commons]

A Finnish in Southern France

Name and Surname: Liisi Filppa

Age: 25

Country: Finland

Nationality: Finnish

City: Tuusula

 

SOMETHING ABOUT YOUR COUNTRY

  1. Which is the form of government ruling in your country?

Finland is a republic with a presidential system of government.

  1. Do you believe corruption exists in your country? How much do you think it influences political life and your private life?

I think corruption exists in various fields in Finland, but it does not affect the everyday life. In Finland you cannot for exemple bribe public workers. Doctors may prescribe and use the medications that medical companies have promoted. And among politicians there exists some form of corruption, but it’s not the main issue and they are rare and usually such cases end up in the papers.

  1. Do you consider yourself European?

I don’t consider myself European. I think Europeans are for example the French, the Belgians, the Italians, etc.

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Liisi Filppa

WHAT ABOUT EUROPE?

  1. Which is your national language? Do dialects exist in your country? If they do, are they used/known by young people?

My mother tongue is Finnish, but in Finland there are two official languages, Finnish and Swedish. There are dialects in different regions. I think everyone in Finland speaks a dialect, but some say that near the capital there is a more standardized way of speaking.

  1. Who do you believe to be the cultural icon of your country?

I think our former president Tarja Halonen could be one icon. And I was thinking of the poet Eino Leino, but he is more of a romantic poet. The poet and author Uuno Kailas has a more pessimistic and realistic way of writing, so he might represent better the Finnish mentality. Also the composer Jean Sibelius is one icon.

 

  1. Are you able to name a person that you consider symbolic for European culture?

I’m not able to name one, I think there are many possibilities. Alexandre Dumas, Érasme, Hans Christian Andersen, Mozart, etc.

 

(Non) tutte le strade portano al Veneto

Le bandiere rosse e gialle col leone di San Marco sventolavano nell’aria. Le lacrime di commozione bagnavano gli occhi di gioia, mentre inni patriottici si levavano dalla piazza di Treviso tuonando “Viva il Veneto indipendente”. E’ questa una delle ultime immagini che le cronache hanno riportato in relazione al movimento degli “Indipendentisti del Veneto”: coloro che auspicano la nascita di una Repubblica Veneta.

Tuttavia l’universo Indipendentista è in realtà molto più complesso ed eterogeneo di quanto si possa pensare. Si esprime in una serie di movimenti differenti non solo per le modalità operative, ma spesso anche per il fine perseguito. C’è chi mira alla creazione di uno Stato Indipendente, chi ricerca forme di autogoverno, chi agisce in maniera poco ortodossa, a metà tra il folklore carnevalesco e l’impeto insurrezionalista (si ricordi il caso del tanko dei Serenissimi) e chi con referendum inapplicabili giuridicamente, come quello del Marzo 2014, ritiene già di aver messo la parola fine al Veneto regione, per iniziare una nuova Era di prosperità ed autonomia nel Veneto Stato.

Autogoverno del Popolo Veneto – Stato delle Venetie è una realtà alla quale ci siamo rivolti per cercare di capire meglio il quadro. Ci teniamo subito a sottolineare che Loris Palmerini, presidente del Governo delle Venetie, prende le distanze da chi persegue l’indipendenza in maniera violenta o illegittima. Non è persona che basa il proprio incarico su toni tribunizi o su una retorica aggressiva, bensì su una pacata e accurata ricostruzione storica dell’Italia e del Veneto. La tesi sostenuta si basa prima di tutto su un’illecita appropriazione che la nascente Italia avrebbe compiuto nei confronti dello stato Lombardo-Veneto. Nel 1866 il referendum che avrebbe dovuto consentire ai Lombardo-Veneti di decidere liberamente sull’annessione allo Stato italiano sembra essere stato condotto con metodi impropri ed illegali. Gli studi compiuti da Palmerini in questo senso mettono alla luce una serie di irregolarità che rivelano la natura manipolatoria di un plebiscito volto a assoggettare prima e ad annettere poi lo Stato Lombardo Veneto contro la sua volontà. Senza mezzi termini questo movimento interpreta il processo unitario come un’azione di illecita sottomissione, di dominio, di feroce invasione.

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Partendo da questo presupposto l’Autogoverno del Popolo Veneto, fondato nel 1999 in concomitanza con la prima anagrafe del popolo veneto, si investe il compito di dimostrare in sede legale l’illecita presenza dello Stato italiano sul territorio LombardoVeneto. Nel 2008 Palmerini stesso ha presentato la questione al tribunale di Venezia chiedendo se poteva essere riconosciuta la giurisdizione dello Stato Italiano sul suddetto territorio. La sentenza fu che sussisteva un difetto assoluto di giurisdizione e ciò potrebbe voler dire che il giudice non è competente in materia. Così la questione è stata presentata alla Corte Internazionale dei Diritti dell’Uomo, ma l’Autogoverno intende presentarla alla Corte Internazionale poichè che la vicenda riguarda i rapporti fra due Stati, quello italiano e quello del Lombardo-Veneto.

Il movimento si appella al Principio di Autodeterminazione dei Popoli per sostenere l’identità del Popolo Veneto come realtà etnico-culturale vittima dell’invasione dell’Italia. Ma è proprio per la volontà di avanzare un processo di autonomia del popolo veneto, e non del territorio regionale, che questo movimento si distingue dagli atri. Alla luce di ciò la famosa iniziativa referendaria di marzo (conclusasi con la proclamazione dell’Indipendenza veneta a furor populi nella piazza di Treviso) portata avanti da altri movimenti, appare illegale e controproducente per una semplice ragione: non si può perseguire l’indipendenza del Veneto, in quanto regione, dato che l’articolo V della Costituzione italiana lo vieta. Inoltre il referendum non può essere indetto su questioni di materia internazionale, come i rapporti di potere fra gli Stati. Invece si può far valere l’autodeterminazione di un popolo a partire dai suoni connotati qualificanti.

Sempre da questo punto altri prendono le mosse nei confronti dei partiti Italiani che da anni sventolano la bandiera del federalismo: “Liberano migliaia di delinquenti con lo “Svuota-carceri” e arrestano chi vuole l’indipendenza. Siamo alla follia”, ha dichiarato, lo scorso aprile, il segretario della Lega Nord Matteo Salvini.

E’ diretto Palmierini nel sostenere che “noi non siamo un movimento politico, siamo un governo provvisorio, di transizione, e partiamo dal presupposto che la presenza dello Stato italiano su questo suolo sia illecita. Il fatto è che l’intera Lombardia (regione dello stato Lombardo-Veneto) non ha nemmeno mai votato per diventare Italia. Chi promette l’indipendenza attraverso il referendum compie un atto ridicolo e giuridicamente illecito, come chi vuole il ritorno alla Repubblica Veneta, poiché questa è inserita nello stato Lombardo –Veneto, di cui noi vogliamo riaffermare l’indipendenza”. E continuai Partiti fanno più confusione che altro”.Sul tavolo di Zaia c’è la richiesta di attuare le norme europee sulle minoranze nazionali, è lì da più di un anno ma non ha avuto seguito”. Palmerini ripete che “l’indipendenza non la può fare la regione per statuto, perché è contro lo statuto, ma la può ottenere il popolo veneto (che sta in più regioni) in sede internazionale: così si spazzano via i movimenti di Indipendenza Veneta, Veneto Stato, Veneto Indipendente, Stato Veneto”.Rumors vorrebbero poi alle elezioni regionali del Veneto per il 2015 ci siano possibili liste con nomi come Chiavegato in appoggio alla Lega Nord o Busato, il quale ha dichiarato di volersi candidare pur avendo proclamato la nascita di una repubblica: ulteriore riprova, agli occhi di Palmerini, non solo della loro incoerenza ma anche dell’inattuabilità e dell’inconsistenza dei loro progetti indipendentisti.

Oltre alle ragioni storiche l’inasprimento delle recenti condizioni economiche in cui l’Italia versa ha acuito le tendenze indipendentiste. Il 33% degli Italiani vuole l’indipendenza della propria regione. Ancor di più in Veneto che per anni, dice Palmierini “ha tirato avanti la carretta dell’Italia, che ha lo stesso potere d’acquisto del sud ma produce due volte e mezzo la media europea pro capite”. Più del 50% dei Veneti vuole l’indipendenza e tali tendenze iniziano a manifestarsi con iniziative sempre più forti- in questo senso l’intento, tutto pacifista, di Autogoverno del Popolo Veneto è quello di prendere le distanze da iniziative illegali (come la presa della piazza di San Marco nel 1997 o la più recente poisia veneta di Mln) e pericolose (come la costruzione del rudimentale carro armato-trattore da parte dei Serenissimi) e di declinare queste tendenze in un processo legale e legittimo.        

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LA RINGHIERA

Niccolò Tommaseo dava la seguente definizione di concordia: “Per discernere i veri buoni, metteteli insieme. Se non s’accordano, la virtù loro è apparenza”. Se chi rivendica la verità della storia a lungo sottaciuta lo fa in virtù dello studio, della legalità, della non violenza è legittimo e doveroso che una democrazia vi presti ascolto. Giacché il vero male di una civiltà viene da chi grida dal basso, nutrendo il suo popolo di false speranze. La concordia viene tra le persone disposte al dialogo. La concordia nasce fra persone di Stati diversi. La concordia non nasce sopra un palco o da un tuono di cannone in piazza. La concordia discerne i veri buoni, quelli che discutono, dai buoni apparenti, quelli che ingannano.

Beijing World Food Fair: l’agroalimentare made in Italy passa da Pechino

Dal 26 al 28 novembre scorsi, il China National Convention Center di Pechino ha ospitato l’edizione 2014 della World Food Fair, evento di punta per il settore dell’alimentare e della gastronomia  di livello internazionale. L’esposizione, organizzata in collaborazione tra Koelnmesse, importante ente fieristico tedesco, e la Camera di commercio per il settore agroalimentare del governo cinese, si pone come appuntamento imprescindibile per le imprese di tutto il mondo intenzionate a ritagliarsi uno spazio nel ricco e variegato mercato agroalimentare cinese.

La capitale Pechino, al centro di una rete commerciale che serve 200 milioni di consumatori, si pone come polo strategico per il settore agroalimentare del nord-est della Cina, con il vantaggio, rispetto alla diretta concorrente Shanghai, di servire un mercato meno saturo e maggiormente in ascesa, grazie alla crescente domanda delle vicine regioni di Tianjin Hebei, Shanxi e Mongolia.

Una delle aziende espositrici all’interno dell’Area Italia
Una delle aziende espositrici all’interno dell’Area Italia

L’Italia, con la sua secolare tradizione gastronomica, non poteva mancare all’appuntamento.
Supportate da Cibus – Fiera di Parma, un pool di 50 aziende italiane ha  offerto ai visitatori cinesi il meglio della gastronomia tricolore: vino, olio, pasta, conserve, prodotti caseari e salumi, sono alcuni dei prodotti presentati agli importatori e distributori cinesi giunti all’evento. All’interno dell’Area Italia sono avvenuti quindi i contatti più importanti ai fini della promozione della tradizione gastronomica italiana nel nord-est della Cina e al suo consolidamento in tutta la Cina continentale e nei paesi vicini nel prossimo futuro. Un processo, tuttavia, non privo di difficoltà.

La lounge dell’Area Italia all’interno dell’esposizione
La lounge dell’Area Italia all’interno dell’esposizione

L’incontro tra espositori italiani e visitatori cinesi ha infatti dimostrato quanto il clash culturale tra occidente e oriente non risparmi la tavola. “Perché il prosciutto di Parma è così rosso?” , “Perché l’olio extravergine costa di più se proviene dalla stessa oliva?”, sono solo alcune delle domande poste dai visitatori cinesi, che dimostrano una lontananza non solo geografica del consumatore locale rispetto alla tradizione gastronomica italiana.

Il prosciutto di Parma, prodotto di culto tra i consumatori cinesi
Il prosciutto di Parma, prodotto di culto tra i consumatori cinesi

“Per conquistare il consumatore cinese le nostre aziende devono puntare sulla qualità” ha dichiarato sua eccellenza Alberto Bradanini, ambasciatore d’Italia per la Cina e la Mongolia, in occasione del  ricevimento per le aziende italiane espositrici tenutosi nell’ambasciata italiana a Pechino.
“Il consumatore cinese, sempre più attento e esigente per quanto riguarda i prodotti agroalimentari di importazione, merita il massimo impegno delle nostre aziende, volto alla proposta di un prodotto di alto livello vicino ai gusti autoctoni, ai fini di una presenza stabile e duratura nel mercato cinese.“

Insomma, se mangiare è cultura, è la qualità a porsi come il mezzo più adatto alla diffusione della tradizione  alimentare italiana, per dare alla gastronomia made in Italy le giuste credenziali per entrare sulle tavole dei consumatori cinesi e di tutto il mondo.

Diario di un pomeriggio con Spike Lee

The 49th minute – Una vita tra cinema e sport, ospite: Spike Lee. Oltre a proporne una diretta Twitter, ho pensato che fosse una ghiottissima occasione per vedere, da abbastanza vicino, come è una star di Hollywood. Nemmeno una a caso, in verità. Devono averlo pensato in molti, perché il luogo dell’incontro – l’aula magna dell’Università Bocconi – è sostanzialmente piena.

Sul palco ci sono due poltrone, probabilmente si sarebbe trattato di una di quelle conversazioni che tendono ad annoiare, dove si incensa il famoso ospite e scrosciano gli applausi. Spike si fa attendere per un accademicissimo quarto d’ora, in sala è un twittare febbrile. Personalmente, ho passato parecchio tempo a chiedermi se tra i convenuti ci fosse qualcuno nella mia condizione, che di film dell’atteso ne ha visti giusto un paio e di scenate al Madison Square Garden di New York, tifando per i Knicks, un altro paio ancora, o sono tutti veri appassionati?

L’attesa si esaurisce consumando quei pensieri mentre sale sul palco Shelton Jackson Lee, accompagnato da un paio di persone e una squadra di, indovinate un po’, basket. Lee è vestito in modo parecchio informale, ma porta su di sè tanti dettagli, pare rilassatissimo. Tutto intorno, invece, regna una sorta di tensione. Il marmo della sala di certo non aiuta.

L’intervento introduttivo è tragicomico, letto ed interpretato da…(da chi?) in un inglese pre-elementare, dove sono inserite piccole situazioni di recita anche peggiori. La tensione diventa imbarazzo, anche perché la performance si dilunga per qualche minuto. Spike sembra ascoltare, ha un piccolo sussulto quando, alla pronuncia, Jungle Fever diviene “iunglefivar”, ma alla fine c’è un applauso anche per l’introduttore. O forse era solo liberazione.

L’intervistatore è un altro signore, dotato di fluency migliore. Il tema dell’incontro è senz’altro succulento, specialmente in giorni come i presenti, dove la narrazione sportiva sta assumendo una certa dignità. Comincio a pensare cosa chiederei io a Spike, lui che nel suo campo è ed è stato Obama prima di Obama. Invece si assiste a una serie di domande quasi lapalissiane, del genere: «Chi sono i tuoi sportivi preferiti?». Spike pare quasi svogliato, le risposte sono poco più che monosillabi. Il fondo viene toccato su: «Perché gli sport americani sono così popolari in America?». La conversazione è bloccata, sta diventando noiosa, come avevo temuto e il senso di spreco è tangibile. Arrivo quasi a sperare che il tutto si concluda presto, quasi vergognandomi di essere parte di una situazione tanto scintillante quanto scialba.

A un certo punto finiscono, però, i 48 minuti della partita (nel basket americano tanto dura un match). Si arriva al quarantanovesimo e allora sì che il regista si accende per davvero. Arriva una domanda circa i recenti fatti di cronaca negli USA, che vedono coinvolti la polizia e alcuni afroamericani. Il tono della voce di Lee si fa più alto, la montatura dei suoi occhiali comincia ad animarsi, i dettagli arancio delle Jordan che porta ai piedi a frullare. Potete bene immaginare quale sia la sua posizione. Decide di mostrare la sequenza completa, girata da un brother (sic), dell’uccisione di Eric Garner, della durata di oltre 10 minuti. I dialoghi si sono rivelati ostici da capire, ma si assiste a un film nel film – paradossale, perché è realtà nella realtà – Spike, per tutta la durata del video resta in piedi, osservando lo schermo, come se lo stesse vedendo per la prima volta. Non si risiederà mai più.

In seguito al video si susseguono una serie di domande dalla platea, tutte attorno al tema del razzismo, dell’integrazione, dell’immigrazione, della cittadinanza. L’imbarazzo si è sciolto, tutti gli occhi sono attratti dalla gravità che emana l’ometto e le sue parole, pesate e pesanti sono un flusso di energia. Perfino il marmo della sala quasi freme ad un «mothafuckers» rivolto a certi brutti ceffi oltreoceano. A questo punto vorrei davvero non smettesse mai.

Ma ecco che la partita ricomincia, altri 48 minuti per non curarsi di cosa c’è fuori. Credo sia questa la ragione di tanta passione per lo sport di Spike Lee: dal quarantanovesimo in avanti c’è solo realtà.

Miracolo a Bruxelles: l’Europa torna sui suoi passi e dice sì all’Iva al 4% sugli ebook

Il 17 novembre l’Europa aveva detto no alla proposta di diminuire l’Iva sugli e-book dal 22% al 4%, per equiparare la tassazione del prodotto digitale a quella del prodotto cartaceo.

L’Italia, sostenuta dalla Francia (dove l’Iva sugli ebook è al 7%), aveva portato la sua proposta al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea), per aiutare un settore dell’editoria dalle grandi prospettive.

Il 25 novembre invece è accaduto qualcosa di inspiegabile: gli stessi che si erano così tenacemente opposti hanno approvato l’abbassamento dell’aliquota.

Potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione per il mercato del libro.

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Il mercato allo stato attuale

Secondo l’ultimo rapporto dell’AIE (Associazione Italiana Editori) attualmente «L’offerta ebook è dunque arrivata a coprire oltre il 12% dei titoli in commercio», inoltre dal 2012 al 2014 il numero di titoli che si possono trovare in versione ebook è aumentato del 43%!

Nel 2013, inoltre, è accaduto qualcosa di inaspettato: mentre il numero complessivo dei lettori in Italia diminuiva del 6,1% (1,6 milioni in meno), cresceva invece quello specifico dei lettori di ebook, che arrivato nel 2013 a 1,9milioni (+18,9% rispetto al 2012).

 

A cosa si deve questo sviluppo?

Ancora oggi non si trova risposta, ma c’è chi sostiene sia a causa dall’abbandono del libro cartaceo per lettura della controparte digitale, oppure di integrazione tra forme diverse di lettura fatte su supporti differenti (eReader, tablet, smartphone, libro cartaceo, etc).

 

Perché cambiare idea

Gli editori Italiani, ma anche quelli Europei, che vorranno sopravvivere usufruiranno sicuramente di questo grande vantaggio per opporsi ad Amazon, che da anni ormai sta cercando di monopolizzare il mercato del libro a livello mondiale, inoltre non molti sanno che Amazon ha sede in Lussemburgo dove l’Iva sugli ebook è addirittura al 3% e che il 7% del fatturato annuo di Amazon si basa proprio sulle vendite dei soli ebook: sommando questi due dati è chiaro che il colosso del commercio sia in una condizione estremamente vantaggiosa rispetto ai tradizionali editori europei.

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Tutto risolto?

La campagna portata avanti dal nostro Ministro della Cultura Dario Franceschini Un libro è un libro ha iniziato a dare i suoi frutti, ma adesso la palla passa agli editori, che dovranno sapere cogliere questa opportunità.

 

Non solo l’approccio del lettore dovrà cambiare, ma anche quello delle case editrici ai libri digitali, perché il loro potenziale non è ancora stato del tutto compreso, persino dagli editori stessi. Questo è il momento di prodotti innovativi per far crescere il mercato, innovazione che non dovrà riguardare solo i device: dal papiro alla pergamena, dai codici alla Bibbia di Gutenberg, fino ai tascabili odierni, non è cambiato solo il supporto, ma anche il modo di pensare e strutturare e scrivere il libro. Adesso sta ad editori ed autori creare qualcosa di mai visto prima.

A German in Romania

Name and Surname: Jenny Berger

Age: 22

Country: Germany

Nationality: German

City: Berlin

 

SOMETHING ABOUT YOUR COUNTRY

 

  1. Which is the form of government ruling in your country?

In the Federal Republic of Germany we have a parliamentarian democracy. That means that the most important political decisions are made by a parliament, which is voted by people. Then this parliament votes for the government.  The German government, also called “the Cabinet of Germany”, consists of the chancellor (currently Angela Merkel of the CDU, a really conservative party) and the cabinet ministers.


Fernsehturm
«This is the “Fernsehturm” – I don’t like it that much, but it’s one of the greatest symbols of Berlin»

  1. Do you believe corruption exists in your country? How much do you think it influences political life and your private life?

I am sure that corruption exists in every country, some people are just easily suborned. Mostly corruption is very well hidden and kept as a secret. There are some articles I read a few years ago about corruption in the early 2000s in Germany and about the people who made it public. They say corruption is definitely increasing and campaigns that work against it are fewer and fewer. A current article I found states that still more and more cases are getting exposed. Those affairs have a huge potential to influence the political life and for sure my private life as well, though this happens indirectly.

  1. Which is your national language? Do dialects exist in your country? If they do, are they used/known by young people?

The national language is German, but there are dialects in every region. I am not sure how many young people are using them, but it might be a lot. Though people who speak in a dialect are sometimes considered less educated and that is why most people, especially those who work in public positions, try to speak in a standard German. Which is kind of sad for me, because dialects are really interesting and make people unique in some points.

  1. Who do you believe to be the cultural icon of your country?

A cultural icon, or probably the most known German band in the world, is Rammstein. But of course Germany has and had a LOT of important writers, thinkers, philosophers and musicians.

summer in Berlin«aaaaaaaaaaand I think this one is really typical for summer in Berlin: everyone is sitting on the street, drinking coffee, watch perople passing by»

WHAT ABOUT EUROPE?

  1. Do you consider yourself European?

Europe, or the European Union, is fiction to me. Fictive borders, fictive nations. But still, yes, I consider myself a European citizen.

  1. Are you able to name a person that you consider symbolic for European culture?

I can’t name a person, but I think most of the European ideas, ideologies and trends are delivered through pop culture. So it is the mainstream that defines (for non-Europeans) who and what we are, or at least what is perceived by the general public.

Klunkerkranich 1«This is one of my favorite places in Berlin, called “Klunkerkranich”. It is a garden/bar/cultural center on the roof of a parking house»

Io non mi sento mafioso, ma per fortuna o purtroppo lo sono

L’altra sera stavo guardando una puntata di Announo, la versione “Orzo Bimbo” di Annozero. Tra gli ospiti in studio il Procuratore Nicola Gratteri. Ora, per i pochi che non lo sapessero, Gratteri è uno che oltre a fare il suo lavoro nella magistratura, utilizza le ferie per andare a parlare nelle scuole ed è spesso ospite in convegni e festival, dove spiega cos’è la criminalità organizzata, perché la ‘ndrangheta è sempre più forte e, soprattutto, come si potrebbe renderla più debole, talvolta anche solo con rapide mosse legislative. Nella suddetta puntata, si parlava d’ “er sistema”, del “mondo di mezzo”, di questa nuova mafia che si sarebbe ripresa Roma come, a suo tempo fece “Er Libanese” del libro, del film e della serie tv.

A un certo punto Gratteri si è messo a parlare di scuola, istruzione (che è diversa dalla cultura). La domanda è sorta spontanea: perché mai questo magistrato, invece di raccontarti operazioni di polizia, di famiglie di ‘ndrangheta, di riciclaggio e morti ammazzati, si mette a discutere di cultura e di istruzione?

Siamo una comunità che ha bisogno di liberarsi della mafia. Prima di tutto da quella di tutti i giorni, di un sistema sociale che ha sviluppato agenti patogeni mafiosi in ogni contesto. Dei legami di sangue, della corruzione politica, del sodalizio tra la criminalità e certi soggetti/ambienti delle istituzioni, si è già detto molto. Il punto è che viviamo in un Paese ad alta concentrazione criminale e in cui il pensiero mafioso si annida dappertutto. Non soltanto (attenzione!) nel sottobosco, nelle periferie o nelle alte sfere della finanza, e nemmeno più soltanto nelle catapecchie di campagna dove globuli e piastrine malavitose si legano a San Michele Arcangelo.

In moltissimi casi il raggiungimento di un obiettivo professionale e lavorativo è subordinato al compromesso con il sistema. Che molto spesso è intriso di regole non scritte (e per questo poco documentabili, se non dall’esperienza individuale) che possono definirsi mafiose. Stiamo parlando di un sistema che ci sta seppellendo tutti. La ‘ndrangheta non è brutta e cattiva perché usa le armi e traffica droga (almeno, non solo per quello). La ‘ndrangheta toglie speranze al futuro. Crea assistenzialismo, sottosviluppo. Si nutre di soprusi e di abusi. Attraverso un modus operandi che (ahinoi!) si sta diffondendo anche in altri ambienti. Nelle università, negli ospedali, nelle aziende, in moltissimi ambiti lavorativi e non solo. Il pensiero ‘ndranghetista e mafioso, in generale, è un nostro problema quotidiano.

Un problema che, soprattutto negli aspetti fin qui descritti, la crisi economica ha reso sempre più evidente; emerso dopo che per anni è stato nascosto sotto al tappeto, come la polvere del detto popolare. Perché se è vero che c’è la ‘ndrangheta delle pistole e delle valigette, è altrettanto vero che ce n’è un’altra che cresce dentro di noi, inoculata dal nostro sistema sociale e alla quale è molto facile assuefarsi. Una serie di regole non scritte, protocolli e norme che devono essere seguiti per poter stare dalla parte del successo. Le stesse regole per cui Gratteri non è diventato ministro di Grazia e Giustizia. Napolitano dixit.

Incanto e magia durante la Fête des Lumières di Lione

La festa delle Luci è nata la sera dell’8 dicembre 1852, quando gli abitanti di Lione accesero delle candele nelle loro case per celebrare l’installazione della statua della Vergine Maria sulla collina di Fourivère. Da quel giorno la festa si è ripetuta ogni anno ed è diventata oggi uno degli eventi più importanti e attesi della città. All’inizio di dicembre tutta Lione s’illumina per festeggiare l’Immacolata Concezione, e annuncia Natale con quattro notti sotto il segno della luce, della festa e dell’incanto. Durante queste giornate, uniche nel loro genere in Europa, s’incontrano i più importanti artisti della luce che, appena fa buio fino a notte inoltrata, presentano oltre settanta installazioni in ogni quartiere della città, facendo brillare la bellezza dei principali luoghi e monumenti. La città si trasforma in un luogo di magia e creatività, capace di estasiare ed emozionare ben quattro milioni di visitatori, provenienti dalla Francia e dall’estero. Camminando per le strade, le piazze, attraversando i parchi e osservando edifici che si trasformano in giochi animati, ci si riempie di luce e di energia e ci si sente parte di qualcosa di talmente speciale e unico e per cui vale davvero la pena attraversare le Alpi in pullman viaggiando per sette lunghe ore, come è capitato a me.   [metaslider id=2937]

Expo e i giovani: storia di una promessa non mantenuta

Stamattina dalle 11 Milano è stata protagonista di due cortei organizzati dalla Cgil e dalle organizzazioni studentesche per lo sciopero contro il “volontariato” e i contratti di lavoro proposti da expo 2015. Ci siamo messi in contatto con Studenti per l’Altra Europa, un movimento giovane composto da studenti e giovani lavoratori nato dopo la campagna elettorale proposta da Altra Europa.

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Due i cortei, uno partito da porta Venezia e organizzato da Cgil e quello delle associazioni studentesche che muoveva da Cairoli. Tra le associazioni, presente anche #iononlavorogratisxexpo e Studenti per l’altra Europa. Il motivo che ha spinto studenti e non a scendere per le strade è la promessa mai mantenuta di Expo di portare 18.000 posti di lavoro: si sono rivelati 850 posti effettivi e 10000 posti come volontari, ossia non retribuiti. La giustificazione è il poter fare esperienza affacciandosi al mondo del lavoro, ma nella realtà abbiamo giovani studenti che effettuano quella che può essere considerate a tutti gli effetti un’ attività lavorativa senza una minima retribuzione, creando un profitto a senso unico per aziende e datori di lavoro.

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E gli 859 posti come vengono gestiti? Vengono proposti contratti precari che possono essere sfruttati solo in ambito Expo, quindi senza garanzia di continuità. L’insoddisfazione generale per la gestione di questo evento mondiale è sempre maggiore, mancano pochi mesi ormai, e a Milano gli scioperi diventano sempre più frequenti.

Barcellona: una rumba tra le feste, la cultura e l’indipendenza

Barcellona. Una parola, un luogo che fa pensare immediatamente al divertimento e alla vita da spiaggia con una birra economica fra le mani. Per i tifosi, Barça é un pensiero che corre dietro a L. Messi. Per i più “culTuristi”, si tratta di Gaudì ad ogni piè sospinto tra Parque Guell e la Sagrada Familia, ma anche Macba e Museo il Museu d’art de Catalunya.

Questo è il punto: l’identità catalana é qualcosa di molto forte e tangibile, qualcosa che va oltre al cliché della Spagna. Tutto vero, proviamo a pensare passo dopo passo a quello che possiamo trovare; passi veloci e precisi come quelli della rumba, sia beninteso!

La vita notturna di questa città rispecchia davvero l’ immaginario collettivo: si può bere tutta la notte, senza troppo spendere, se non in dignità; ci sono quartieri come quello del Raval in cui si trovano locali e piccoli club uno accanto all’altro. La vita da spiaggia a Barça d’inverno é appena immaginabile; ma tutta la notte fino all’alba si può vivere o quantomeno sentir parlare di feste, after parties.

All'alba
All’alba

Il mondo intero conosce l’opera dell’architetto Gaudì che si può ammirare per le strade di Barcellona. Basta puntar gli occhi al cielo e cercare qualcosa di terrificante come il dorso di un rettile nel tetto della casa Batlò o la bocca di un terribile orco nella facciata della Sagrada Familia.
La visita alla chiesa è abbastanza cara, ma il prezzo è giustificato dal fatto che i proventi della vendita dei biglietti sono i finanziamenti per la costruzione dell’ultima torre: entro il 2025/2026 si prevede la conclusione del progetto iniziato da Gaudì nel 1883.

Sagrada Familia
Sagrada Familia

Quando ci si avvicina al museo d’arte contemporanea di questa città ci si sente un po’ europei: si percepiscono le influenze di diversi paesi e culture; giovani skaters disegnano danze sulla piazza. L’edificio ospita esposizioni temporanee, una biblioteca e angoli per lo sviluppo della ricerca artistica. Fino al 12 aprile 2015 si consiglia di visitare tra le altre esposizioni la collezione di Philippe Méaille “Art & language incomplet”.

MACBA
MACBA

Il Museo dell’arte catalana custodisce un’importante collezione di arte romanica ed è stato costruito per l’ Esposizione Universale del 1929 come la “fontana magica”, una delle attrazioni di Barcellona che si rivolge ai turisti e alle famiglie locali che si ritrovano tutti i fine settimana a godere dello spettacolo dei giochi d’acqua, proprio ai piedi della collina del MontjuÏc.

 

FOTO4 repertorio wiki 2012

Referendum indipendenza
Capitale economica del Regno d’Aragona e attualmente una delle regioni più ricche della Spagna, da diversi decenni la Catalunya chiede la sua indipendenza dal potere centrale retto da Madrid. Proprio il 9 novembre 2014 si è tenuto un referendum nel quale si chiedeva ai cittadini di esprimersi sulla volontà di fare della Catalogna uno Stato e se sì, uno stato indipendente. Due milioni di catalani si sono presentati alle urne (un terzo degli aventi diritto) e l’80% ha risposto sì.

In copertina: Parco Ciutadella, Barcellona [ph. Lesia Pko CC0 via pxhere]

Fargo: la recensione

Il 2014 è stato senza dubbio un grande anno per le serie televisive. Ha infatti visto il debutto, oltre che della già citata True Detective, di molti prodotti interessati, primo su tutti Fargo, la cui prima stagione ha avuto un enorme successo, come hanno dimostrato gli Emmy Awards di quest’anno (che verranno però ricordati per il trionfo dell’ormai iconica Breaking Bad), conquistando i premi per miglior miniserie, miglior regia e miglior casting.
Prodotta da FX insieme a MGM, Fargo si ispira in parte all’omonima pellicola dei fratelli Coen, che questa volta figurano solamente come produttori esecutivi. Molti sono dunque i riferimenti al film del 1996 e in generale al cinema dei Coen, come l’indicazione, presente all’inizio di ogni puntata (This is a true story. The events depicted took place in Minnesota in 2006. At the request of the survivors, the names have been changed. Out of respect for the dead, the rest has been told exactly as it occurred.), oppure, nel primo episodio, un cartello che pubblicizza il White Russian, il cocktail targato “Drugo” (Il grande Lebowski).

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Gli episodi sono dieci, ambientati sempre in Minnesota come per il film. Ma i protagonisti sono diversi e così gli interpreti. Billy Bob Thornton, con il volto incorniciato da una frangetta con cui non siamo abituati a vederlo, è Lorne Malvo, il forestiero killer professionista. Al suo fianco nella discesa verso gli inferi della spirale omicida, c’è Martin Freeman, il Bilbo de Lo Hobbit, che interpreta il marito modello (almeno all’inizio) Lester Nygaard. E poi il ruolo femminile, di un agente che impara col tempo ad essere un buon investigatore, è affidato a Allison Tolman.
Va detto che il premio per il casting è abbondantemente meritato in quanto, specialmente nel caso di Thornton e Freeman, questa serie dà vita a personaggi memorabili (alcuni anche candidabili allo status di cult), i quali non possono essere che frutto di una straordinaria recitazione.

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L’umorismo nero dei fratelli Coen è quasi pervasivo e, coniugato a un’ambientazione che richiama una Twin Peaks in versione invernale, crea un’atmosfera di tensione quasi surreale, che cresce e si alimenta di puntata in puntata.
Insomma, di certo non assisterete alla solita trama poliziesca scontata, ma il divertimento (e l’intrattenimento) stanno nell’immaginare quale possa essere la sorte dei personaggi e tutto sembra essere possibile.
Emerge da subito il forte contrasto tra le persone semplici della campagna del Minnesota, i normali cittadini, e il killer spietato, Lorne Malvo, personaggio cupo e misterioso, che diffonde attorno a sé un alone maligno e indecifrabile, un male la cui incomprensibilità è direttamente proporzionale alla paura e al disagio che scatena in chiunque egli incontri.
Notevole inoltre è l’approfondimento psicologico di ogni personaggio, che agisce in base alle sue convinzioni, alle sue capacità e alla sua morale, il che rende quasi impossibile, da parte dello spettatore, dare giudizi inquadranti sulle figure si trova di fronte.

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Fargo è stato trasmesso negli States a partire dal 15 Aprile di quest’anno e farà la sua comparsa qui in Italia proprio questo mese, su Sky Atlantic. Quindi, chi non l’avesse ancora visto perché frenato dalla barriera linguistica, ora non avrà più scuse.
La seconda stagione, già in produzione, tratterà di vicende differenti con altri personaggi, ma in ogni caso resterà legata al contesto geografico del Minnesota.
Siamo giunti al termine, come sempre spero di avervi convinto a dare una chance a Fargo, perché la merita, veramente.
Saluti e alla prossima!

Dalla terra allo spazio. I viaggi extraterrestri raccontati sul grande schermo

di Jessica Pompili e Ludovico Lanzo

Interstellar altro non è che l’ultimo esempio di un lungo elenco: prima di lui, infatti, la storia del cinema ci insegna che, sin dagli albori, numerosi cineasti hanno cercato di raccontare storie che vanno al di là del comune, trasformando in reale ciò che prima poteva essere considerato assoluta fantasia. L’immaginazione è stata la prima forza in grado di condurre l’uomo nello spazio e spingerlo a valicare limiti, solo in apparenza, insormontabili.  Per dirla alla Hitchcock: «C’è qualcosa di più importante della logica: l’immaginazione».

E’ il 1969 la data a cui si fa risalire la notizia del primo vero atterraggio dell’uomo sulla Luna, ma già nel 1902 uno dei “padri del cinema” aveva realizzato Le Voyage dans la Lune. L’indimenticabile film di Georges Méliès ha probabilmente dato il via al filone dei film di fantascienza, diventando un’icona sacra del grande schermo.

Insterstellar di Christopher Nolan (2014)

Inizia proprio dal capolavoro di Méliès il nostro percorso alla scoperta dei film che parlano dei viaggi dell’uomo che, dalla terra, si mette in viaggio alla volta dello spazio infinito. Gli space movie, nonostante inizialmente fossero film a budget ridotto, riescono comunque a farsi strada.

Le avventure di Flash Gordon, alla fine degli anni ‘30, diventano un serial cinematografico di discreto successo mentre gli anni ’60 vedono, con la regia di Franklin J. Schaffner una delle pellicole più acclamate dell’epoca: Planet of the Apes (Il pianeta delle scimmie). Il film diventa subito un cult di grande successo dagli straordinari effetti speciali.

Charlton Heston e Kim Hunter in Planet of the Apes diretto da Tim Burton (2001)

I viaggi dell’uomo alla scoperta dello spazio continuano ad affascinare il pubblico, ma è il 1968 l’anno della svolta epocale. Stanley Kubrick regala al mondo uno dei film più affascinanti di sempre, 2001: A Space Odyssey (premio oscar agli effetti speciali) resta ancora oggi il “metro di paragone” per tutti i film appartenenti al genere.

Se vi ricordate della frase «Huston, abbiamo un problema», sicuramente avrete sentito parlare di Apollo 13, il film che si ispira alla vera storia della spedizione spaziale americana in rotta verso la Luna. Ma gli anni ’90 regalano anche un altro classico al mondo della fantascienza. E’ Armageddon, terzo film del regista Michael Bay, destinato a diventare un cult dei viaggi nello spazio. Questa volta è un asteroide a minacciare la terra, e toccherà a Bruce Willis e Ben Affleck metterla in salvo. Il film incassa quattro nomination agli Oscar, ed è un successo senza pari.

Apollo 13 diretto da Ron Howard (1995)

Le cose non vanno altrettanto bene, invece, per Lost in Space, altra pellicola dello stesso anno. Il film è il riadattamento dell’omonima serie tv degli anni ’60, ma il giudizio della critica è pessimo e il film viene candidato ai Razzie Awards come Peggior remake. A risollevare le cose sul sorgere del nuovo millennio è invece la macchina da presa di Clint Eastwood conSpace Cowboys (in copertina). La storia è quella di quattro astronauti ormai anziani alla prese con un inaspettato ritorno nello spazio.

Sempre del 2000 anche Mission to Mars di Brian De Palma, film mediocre, apprezzato dal pubblico ma non della stampa. Di minor fama, ma di indubbio valore, è invece Sunshine del 2007, con un brillante Cillian Murphy.

Chris Evans in Sunshine, di Danny Boyle (2007)

E mentre in Pandorum lo spazio è il pretesto per un horror in stile Resident Evil, negli ultimi anni i film che hanno animato il dibattito sulla fantascienza contemporanea sono stati il pluripremiato Gravity di Cuarón, e il recentissimo Interstellar di Nolan. Due produzioni di altissima qualità tecnica, ma testimoni di una sempre crescente difficoltà nell’incontrare i favori del grande pubblico come avveniva in passato.

 

Ricco, ma non infinito, è il repertorio degli space movie ancora da ricordare.

E voi, quale avreste scelto?

A Mexican in Southern France

Name and Surname: Jorge Garcia Escamilla

Age: 30

Country: Mexico

Nationality: Mexican

City: Monterrey

 

JorgeGarcia

Jorge Garcia Escamilla

 

SOMETHING ABOUT YOUR COUNTRY

 

1. Which is the form of government ruling in your country?

 Mexico is a Federal Republic formed by the union of 31 states and a Federal District, and the form of government is democracy.

2. Do you believe corruption exists in your country? How much do you think it influences political life and your private life?

I believe corruption exists in every country but it is of course related to the economical situation of each country. In the case of Mexico, being a developing country and a relatively newly-formed Republic, corruption is present in every field of society, from the political sphere to the professional field, and of course it influences many aspects of our social life. However I do believe corruption isn’t the cause ,or at least the only cause, of the social and economical hard situation we might be living in Mexico, but it’s more of a result of this whole tension in a sort of vice circle.

3. Which is your national language? Do dialects exist in your country? If they do, are they used/known by young people?

My national language is Spanish as for most of Mexicans. I’m not exactly sure about the number of native languages that are spoken and officially recognized, but I do know that there’s a good number of different languages and people who speak them in Mexico. I think these languages are mainly spoken by traditional Native American communities and unfortunately I don’t think the new generations of Spanish speakers would use or learn them anymore, except for the traditional communities.

 

4. Who do you believe to be the cultural icon of your country?

I think there have been many important artists and intellectuals that have represented Mexican culture internationally through time. I could probably name artists like Diego Rivera and Frida Khalo, famous musicians and actors like Jose Alfredo Jimenez, Pedro Infante and Cantinflas, or world famous writers such as Octavio Paz, Carlos Fuentes and Juan Rulfo, who have always projected an image of Mexican culture, and have been cultural icons of their time and still are.

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 Pedro Infante

WHAT ABOUT EUROPE?

 

5. Do you perceive the existence of a “European culture”?

I do believe there is a European culture, even if each country in Europe has its own particular folklore and cultural manifestations, I think there is a form of European culture integration  that can be perceived outside Europe. I personally think that there are some writers, artists in general and sometimes even some political figures that represent the modern European culture.

 

6. Could you explain why you chose Europe?

Because I believe Europe is still the centre of western civilization and it has a very rich cultural background, that now expresses itself in new forms of modern cultural manifestations. Also the socio-economic situation in Europe in general allows you to have a higher quality of life.

Studiare è partecipare : la BLCU Student’s Association Recruitment Fair

A ottobre, in occasione dell’apertura del nuovo anno accademico della BLCU,  si è tenuta la BLCU Student’s Association Recruitment Fair, evento di promozione delle associazioni studentesche universitarie, avente come obiettivo l’iscrizione dei nuovi studenti cinesi e stranieri, al fine di incentivare le attività studentesche auto-organizzate di vario livello.

Si spazia dalle classiche associazioni sportive a quelle che riuniscono gli studenti di una determinata lingua straniera, a quelle che promuovono le più disparate attività giovanili, dal club di lettura, dalla Gruppo di simulazione delle Nazioni Unite, dalla Croce Rossa alla delegazione AIESEC.
Tuttavia, l’offerta associativa, non si limita a fini meramente ricreativi o extra-curriculari.
Anzi, non è difficile intravedere in questa popolazione studentesca attiva, i semi di una nuova mentalità dei giovani cinesi.

Così come è presente l’Associazione studentesca di “Studi nazionali”, espressione di una gioventù patriottica e interessata alla politica nazionale; è presente anche il club di “English Debate”, una associazione con iscritti cinesi e stranieri, che se da un lato ha come obiettivo  l’esercizio della lingua inglese attraverso liberi dibattiti e conferenze, dall’altro lato però, propone temi di dibattito di ampio respiro internazionale e politico. Un esempio? Temi LGBT,  ISIS, e perfino la recente crisi politica di Hong Kong.

Ciascuna di esse possiede un account ufficiale su Wechat, Weibo o Renren, attraverso i quali viene costantemente stimolata la partecipazione attiva dei propri iscritti attraverso la pubblicazione di notizie, eventi ed attività gratuite. Tutto a portata di smartphone.

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Pequod all’Artigiano in fiera: Interviste ed impressioni a caldo

Pequod è stato all’apertura della fiera, il 29 Novembre, e ha curiosato fra gli stand, intervistando alcuni espositori sui loro prodotti e sul sempre maggiore successo della fiera e sull’interesse che suscita nella gente.

Ci siamo domandati cosa interessa e da cosa sono attratti i ragazzi che frequentano abitualmente questa fiera, la parola al video!

 

Amsterdam: non solo coffee shops

Prendete cinque ragazze sulla ventina, amiche che, durante una festa in una fredda sera invernale, sull’onda emotiva (probabilmente) della tequila, decidono di organizzare un viaggio di pochi giorni all’insegna del divertimento in una capitale europea: la città sorteggiata è Amsterdam. “Fantastico! – direte voi – così potremo perpetuare lo stereotipo di Amsterdam città dello sballo e della vita notturna a luci rosse”. Potremmo, se non fosse che due di queste cinque ragazze inorridiscono al pensiero di varcare la soglia di un coffee shop e fare qualcosa che nella loro testa suona vagamente illegale.

Che scelta poco previdente, direte voi. E invece no: se usualmente le cinque parole “Vado in vacanza ad Amsterdam” fanno sogghignare e pensare “Sì, sì, lo so che ci vai a fare”, la capitale olandese offre innumerevoli cose da fare e vedere, senza per forza passare l’intera vacanza rinchiusi negli ormai più che famosi coffee shop (che poi già che si è lì, una capatina la si fa, no?).

Partendo dalla Centraal Station e percorrendo la Damrak, si arriva in piazza Dam, la piazza principale della città, sulla quale si affacciano, fra i molti edifici, il Palazzo Reale, la Nieuwe Kerk, o “chiesa nuova”, che, a dispetto del nome, non è più una chiesa, ma ospita mostre e concerti, e il Museo delle cere di Madame Tussauds.

Palazzo Reale
Palazzo Reale

La conformazione di Amsterdam la rende una “Venezia del nord”, per via dei suoi numerosi canali che, seppur privi di gondola, hanno un fascino unico grazie anche alle tipiche case (un po’ storte) costruite a ridosso del canale.

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Volete un museo? Ce ne sono a bizzeffe, ma il più celebre ed emblematico è senza dubbio il Van Gogh Museum: collocato in un edificio moderno, completato solo nel 1999, contiene la maggior parte dei lavori di Vincent Van Gogh. 15€ il biglietto d’ingresso: ne vale la pena, ma per Notte stellata dovete comunque andare al MoMa di New York.

Sempre in tema di musei, si potrebbe visitare la casa di Anna Frank, certo! Ma non meno curioso è si il Sexmuseum, sulla già citata Damrak; definirlo ‘museo’ è forse eccessivo, ma nel complesso cerca di ricostruire la storia della rappresentazione del sesso nei secoli, dalla pittura alla scultura al cinema. Poco istruttivo: risate maliziose e superficiali a basso costo.

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Lasciate perdere la nouvelle cuisine e gustatevi il cibo di strada, soprattutto le patatine fritte: untissime e vendute ad ogni angolo di strada nel caratteristico cono di carta, accompagnate da una grassissima, ma divina maionese. E poi il piatto tradizionale olandese, l’aringa cruda, tagliata a pezzetti e cosparsa di cipolla cruda tritata e cetriolini sottaceto: cercate il truck che la vende sul canale Prinsengracht, dove fanno il Mercato del Nord; nemmeno i cultori del sushi sapranno resistervi!

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A proposito di mercati, non potete lasciare Amsterdam senza un tulipano: andate al mercato dei fiori e comprate dei bulbi del fiore simbolo dell’Olanda; è da turisti, è vero, ma come si può dire di no ad un fiore?

Pequod all’Artigiano in fiera: espositori e sezione internazionale

Pequod è stato all’apertura della fiera, il 29 Novembre, e ha curiosato fra gli stand, intervistando alcuni espositori sui loro prodotti e sul sempre maggiore successo della fiera e sull’interesse che suscita nella gente.

Oggi portiamo l’attenzione sulle impressioni di alcuni espositori italiani e sui loro prodotti, per spostarci nella zona internazionale e lasciarci inebriare da profumi e catturare da colori sempre attraenti.

Vol. 2

Vol. 3

 

 

Fidelio, storia di un’eroina

 

 

 

Noi, esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito, siamo nati per avere insieme gioie e dolori; e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza.”
Ludwig van Beethoven

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Dato il grande fermento per l’imminente rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano (prevista per il 7 dicembre), per la regia di Deborah Warner e diretta da Daniel Barenboim, vi parlerò proprio di questa grande (nonché l’unica) opera del maestro Beethoven.  Tra il 20 novembre 1805 e il 23 maggio 1814 quest’opera venne riproposta in tre versioni diverse, dopo un taglia e cuci di atti, ripensamenti sul titolo e rimaneggiamenti per conferire maggiore tensione drammatica alla versione definitiva.

Quest’opera si identifica nel modello del Singspiel (letteralmente: “canto e recitazione”), un genere operistico il cui l’azione si distribuisce sull’alternanza di dialoghi recitati e pezzi musicali chiusi. Nato e sviluppato dagli austriaci e dai tedeschi tra il XVIII e il XIX secolo, era molto apprezzato perché, a differenza dell’opera italiana, vi erano vere e proprie parti parlate (in tedesco) come nel teatro di prosa.

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Il soggetto dell’opera è ispirato ad un fatto realmente accaduto in Francia durante gli anni del Terrore, dal quale Jean-Nicolas Boully creò la sua Léonore, ou L’amour conjugal, rappresentata a Parigi nel 1798 con la musica di Pierre Gaveaux. È da quest’opera che Beethoven prese spunto per il suo Fidelio. La vicenda narra di una signora travestita in abiti maschili che si introduce in un oscuro carcere dove suo marito è imprigionato illegalmente. Rivoltella alla mano, lo protegge dal suo persecutore prima dell’arrivo del ministro che libererà i prigionieri innocenti.

Ouverture

La storia è divisa in due atti, senza nulla togliere alla stupenda ouverture iniziale. Siamo in una prigione un po’ fuori Siviglia, dove il governatore Don Pizarro ha rinchiuso ingiustamente il suo personale nemico Florestan. A quanto pare non conosceva sua moglie Leonore che per ritrovare il marito si travestì da uomo, prendendo il nome di Fidelio. Azione, mistero, tentati omicidi, tutto sembra perduto ma ecco il colpo di scena!

Il canto dei prigionieri

Piacevano molto questi intrecci nei quali, dopo lunghe peripezie romanzesche dell’eroe o dell’eroina, incarcerazioni ingiuste, torture e morti, avveniva sempre un’ inattesa “liberazione” in extremis. Stiamo parlando dell’ opéra à sauvetage (“opera a salvataggio”), che arrivava dalla Francia e che piacque tanto a Beethoven (al punto di piantare a metà un’opera che stava componendo, dal sapore un po’ più classico: Il fuoco di Vesta). In queste opere il cattivo era quasi sempre un “tiranno” che incarnava il potere pre-Rivoluzione (la corte, la nobiltà, la Chiesa). Per calamitare l’attenzione del pubblico si usavano i più diversi e spettacolari colpi di scena e situazioni shock, che suscitavano sgomento e portavano brusche svolte all’azione.

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C’è un alto contenuto morale nella storia: la fede nei valori positivi, la libertà, le pulsioni affettive che vengono sopraffatte dal potere, l’umanità che si ribella ai tiranni e alla schiavitù, l’uomo che affronta e vince le difficoltà della vita. Tutti temi e convinzioni etiche molto care a Beethoven che trovò nel nuovo genere francese il mezzo più adatto per comunicarle.

A Belgian in Romania

Name and Surname: Olga Henrard

Age: 21

Country: Belgium

Nationality: Belgian

City: Bastogne

 

SOMETHING ABOUT YOUR COUNTRY

1. Which is the form of government ruling in your country?

Belgium is a federal monarchy. Even if the king doesn’t have a lot of power, he is still the only one who can recognize the laws voted by the federal government.

Belgium’s political institutions are very complex because of the 3 national languages in the country : Dutch, French and German. The country is then divided in 3 regions and in 3 communities and each of them has also its own legislative and executive power. The regions are in charge for most of the territorial tasks  and the communities for most of the tasks who concern directly the population (for example education).

A few months ago, we voted for a new federal government (voting is mandatory in Belgium). After the results, the parties had to make a coalition. That means that everybody had to make concessions. A few weeks ago they announced our new government. It’s a right-side government and the main party wants to split the country (the Flemish part is richer than the French part and politicians complain that Flemish people have to pay for the South). A lot of people are really worried about the bills they want to pass. People are striking in the streets because of their draft-bills.

 King and Queen of Belgium

 2. Do you believe corruption exists in your country? How much do you think it influences political life and your private life?

When I read this question it’s quite difficult for me to answer. Like in every country, there is corruption, but we don’t hear so much about that. I think that corruption is really hidden. After looking for some information about it, I can say that Belgium is quite a good student. It occupies the 20th position in matter of corruption among 189 countries (Transparency International Organization’s study). That’s good but when we compare it with other countries, even if corruption is not very present, it’s very hidden, nobody talks about that, nobody reports it.

 3. Which is your national language? Do dialects exist in your country? If they do, are they used/known by young people?

There are 3 national languages in Belgium : Dutch, French and German. I speak French, but I studied Dutch at high school and now at the university. It is not mandatory in every high school and university, but depending on where you live and in which field you work, it is important to speak Dutch to find a job.

In the French part we had dialects but now only old people speak them. In the Flemish part also they have dialects and I think that in some regions they’re spoken by the younger generations too.

 4.Who do you consider to be the cultural icon of your country?

Stromae of course, Jacques Brel, Hergé (the cartoonist who invented Tintin)…

Tintin

 

WHAT ABOUT EUROPE?

 

5. Do you consider yourself European?

Yes, I am a European citizen. I lived a few months in Italy, now I am in Erasmus in Romania and even if there are differences between Belgium and these two countries, there are also a lot a similitudes. A lot of values are similar. And I realized that even more when I went to Bolivia where culture and values are really different from ours.

 6. Are you able to name a person that you consider symbolic for European culture? [For non-European people: do you perceive the existence of a “European culture”?]

I could not answer to this question. According to me, “in varietate concordia” is a good summary of what European culture is. It is a mix of cultures, with quite similar values and way of thinking but also with a lot of differences. Every country has its own celebrities, its own typical food, its own literature, and so on.

Pequod all’Artigiano in Fiera: la videointervista e il nuovo canale Youtube

Da lupi del web quali siamo, Pequod approda finalmente su Youtube!

Fresco di creazione, il nuovo canale youtube di Pequod vi riserverà numerose sorprese e sempre nuovi interessanti video, sia di accompagnamento ad articoli del nostro sito che videointerviste da noi prodotte.

A partire dalla serie di video che vi accompagneranno durante l’Artigiano in Fiera, la kermesse milanese che ogni anno, nella prima settimana di dicembre, vi porta a scoprire l’artigianato e le culture di tutti i paesi del mondo.

Pequod è stato all’apertura della fiera, il 29 Novembre, e ha curiosato fra gli stand, intervistando alcuni espositori sui loro prodotti e sul sempre maggiore successo della fiera e sull’interesse che suscita nella gente.

Ecco quindi la prima videointervista di Pequod sull’Artigiano in Fiera.

Buona visione e al prossimo video!

La Redazione

Perchè l’Europa non conosce crescita

Le più recenti notizie economiche dipingono il nostro paese come una realtà profondamente depressa, in recessione da 13 trimestri consecutivi. Queste difficoltà hanno visto montare una certa tensione sociale, poiché la questione centrale è il lavoro; la sua mancanza, la sua precarietà, la sua impari retribuzione. In una situazione del genere le disparità sociali vengono fisiologicamente a crescere. Fondamentale è capire se si tratti di una condizione riguardante il mondo intero o meno. Come descritto da Romano Prodi nella lezione “Le crescenti disparità in un mondo ancora in crisi”, tenuta presso l’Università di Milano Bicocca lo scorso 26 novembre, fuori dal nostro paese e dal nostro continente, lo scenario si presenta decisamente migliore: la Cina è un paese che continua a correre – anche se a tassi leggermente minori rispetto al passato recente – gli USA, il luogo dove “la crisi” così come la conosciamo ha avuto la sua origine, vedono luci rinfrancanti all’orizzonte, i paesi africani conoscono, per la maggioranza, crescita comune unita ad un forte aumento demografico ed età mediana molto giovane (17 anni contro i 45 dell’Italia), i BRICS, acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, cioè le giovani economie rampanti, si stanno affermando con sempre maggiore autorità. Ogni realtà continentale è rappresentata in questo panorama, tranne una: la vecchia Europa.

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L’Unione Europea ha agito con un certo ritardo ed in direzione contraria rispetto alle strategie che le altre realtà hanno approntato: è lo scontro fra l’oscura politicadi austerity e il sostegno immediato e molto poco soggetto a condizioni da parte delle entità pubbliche extracomunitarie. Come sopra descritto, pare che questa ultima sia la via migliore alla soluzione, ma le criticità permangono, soprattutto nell’ottica del lungo termine.

La Cina affronterà nei prossimi anni la più grande sfida della sua storia recente, l’apertura e spinta ai consumi interni prevista nel nuovo piano quinquennale abbinata alla continuazione della politica di urbanizzazione forzata già attiva da alcuni anni; paesi BRICS risultano ancora grandi incognite in ottica futura; ad esempio la Russia non fa corrispondere solidità interna e aspirazioni in politica estera, ancora, il Brasile, dove programmi come Bolsa Família sono stati sì molto efficaci, ma non sufficienti a sanare le complesse questioni domestiche. I paesi africani conoscono un’urbanizzazione selvaggia che risulta dannosa, favorendo l’emigrazione di moltissime persone; gli Stati Uniti si avviano al raggiungimento dell’autonomia energetica grazie allo sfruttamento di nuove fonti (non necessariamente rinnovabili) come lo Shale Oil, che resuscita sopite aspirazioni isolazioniste.

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Come detto, l’Europa rimane esclusa perché ferma sulle sue posizioni di ristrutturazione economica che, nel breve termine, sembrano affossare ulteriormente la posizione dei propri cittadini. Non è dato sapere se tale schema sia futuribile; se lo fosse sarebbe certamente un forte vantaggio, anche nei confronti di chi ha preferito misure immediatamente efficaci ma non completamente risolutive per chi verrà.

Così è come si configura il mondo oggi, dal freddo punto di vista dell’analisi che risulterebbe perfino disumana se non si flettesse al servizio di chi, nel mondo, vive. Inizialmente si sono citate le disparità come fonte principe dell’incertezza percepita: dentro a politiche di, progetti per, (de)crescita e istituzioni si declina la vita delle persone, che sembrano vedere tutto il sistema, gradualmente, sempre più lontano e truffaldino. Le tasse sono demonizzate, così come lo sono gli stati o, addirittura, le istituzioni sovranazionali (come l’Unione Europea). Ma, altrimenti, come sopravvivrebbe il gravoso welfare di stampo europeo? Lo sviluppo tecnologico ha, a livello quantitativo, una funzione negativa per la componente umana del lavoro, sempre meno necessaria dentro alla macchina produttiva, andando a rendere molto più complessa la figura del lavoratore, sia a livello di riconoscimenti che di oneri; banalizzando occorre molta più formazione e competenza che paia di braccia. Si è poi rilevato che chi non ha accesso al lavoro per lungo tempo, esce dai radar delle istituzioni, che non possono intercettarne le necessità ed attuare (almeno in linea teorica) le misure per soddisfare tali bisogni.

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In un quadro simile, calando nello spazio e nel tempo quanto descritto, l’esistenza dell’UE sarebbe da percepire come una benedizione, in quanto organismo abile in un ambiente di entità di portata al minimo subcontinentale. La realtà è ben diversa, l’unità economica è in discussione invece che essere letteralmente usata come vantaggio e punto di partenza. La leadership, invece che essere civilmente politica, è legata ad un solo paese che agisce esclusivamente dal proprio punto di vista e frenato dalle proprie responsabilità – anche storiche -.  La sfida, per il nostro paese e, giocoforza, per il nostro continente, è doppia, chiede a cittadini e politici di essere responsabili oggi e lungimiranti per domani, in modo da sanare per quanto possibile le disparità e alzare l’asticella ad un livello sempre più alto.