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Mese: Marzo 2015

Ghana VS Italy

Today on Pequod another interview with a foreign person living in Italy. This time we had a chat with Christine, a student who is not even from Europe. She comes from Ghana but she has been living for a long time in the nice Reggio Emilia.

Your name, age, nationality, where are you from? Where do you live now? Which is your current occupation? 

My name is Christine and I’m 23. I’m a university student. I come from Ghana but now I live in Reggio Emilia.

Why did you decide to leave your country?

Actually I was not the one who decided to leave my country but my parents did.

Why did you choose Italy? 

I don’t know the reason why my parents chose Italy but I think that it was because they loved the country and its food!

Describe your life in Italy (your occupation, your everyday life, social life, etc.). Tell us something about the city you live in (top 5 places to be, where to go, what to do – be our tourist information center!)

Reggio Emilia is a really nice city. Interesting fact: it’s the place where the Italian flag was founded. Generally speaking, it’s a very pleasant place to live in – for example, it has the best kindergarten organization in all Europe.

Reggio-emilia
Reggio Emilia

How is living in Italy different than living in your country? 

I can’t tell much because I came here when I was very young, so I can’t remember much about my country.

Which is the biggest challenge of moving to a new country? Have you had any regrets so far? What do you miss the most?

The biggest challenge has probably been getting to know people, integrating in a new society by learning a new language and a different culture. I don’t have any regrets because I am well integrated and I love learning new things everyday. What I miss about my country is my family and the food.

Italy, your country and Europe. Use three words to describe each of the previous.

Ghana is full of colours, joy and happiness, despite the difficulties

Italy has nice people, wonderful food and beautiful historical monuments

Europe is full of opportunities, wealth and success

Cape Coast Harbour, Ghana
Cape Coast Harbour, Ghana

What would you say to someone to convince him to move abroad? What’s the best thing you’ve got/you’ve learnt by your experience abroad?

I would never convince someone to move abroad, because it’s a very personal decision, I’d say too personal to try to influence it whatsoever. My experience abroad has taught me how to overcome my culture and open up to new things.

Lo strano caso di via Crespi

Via Pietro Crespi, centro di equilibrio di un piccolo ecosistema della periferia urbana di Milano, è balzata all’onore delle cronache. I bilanci del condominio al n. 10 presentano un buco ufficiale di 300.000 euro (440.000 se si ascoltano le voci di corridoio). I nuclei (famiglie e non) residenti nel palazzo sono 42, di cui solo 15 in regola con i pagamenti.

La realtà è più complessa di quanto possa apparire. L’arcipelago formato da via Crespi, via Termopili, via Roggia Scagna e via Marco Aurelio è un quadrato attivo di creatività e contraddizioni. Come raccontano le testimonianze delle persone che lavorano e vivono la zona, da sempre via Crespi rappresentava un ponte per il traffico anche pedonale che si riversava da via Padova al centro della città, viale Monza e la linea rossa della metropolitana. Quando, nel 2006, il senso di marcia è stato invertito questa piccola città nella città è rimasta nel cono d’ombra di una circolazione subordinata e «complice la scarsa presenza delle istituzioni di polizia», come afferma Luciana Villa, presidente del Comitato Autonomo Crespi, si è formata una situazione di illegalità. Il buco in bilancio del palazzo al n. 10 partecipa ad un contesto complicato e critico. La radice del debito risale a diversi anni fa – come spiega un inquilino del palazzo e commerciante della zona, che preferisce l’anonimato – ed è stata originata dai “disguidi” tra i proprietari (allora tutti italiani) e l’amministrazione di allora. La situazione si è poi aggravata quando nel condominio sono subentrati alcuni inquilini di origine straniera che hanno continuato ad ingrandire il debito, rifiutandosi di versare la propria quota di spese condominiali.crespi2

Il n. 10 sembra essere diventato il centro di irradiamento della piccola criminalità del quadrangolo che ha in via Crespi il suo cuore, ma la cittadinanza più attiva della zona, costituitasi in comitato, si dà da fare. Ogni anno non sono poche le iniziative che il Comitato Autonomo Crespi organizza. Musica e cibo dai quattro angoli del globo fanno da trait d’union tra popoli ed etnie. “Puntare sulla coesione” è uno dei concetti chiave della “politica della partecipazione” nelle parole di Christian Gangitano, direttore artistico del comitato che è riuscito a richiamare in via Crespi tanti nomi di artisti più o meno emergenti. Il quartiere, infatti, ospita dipinti della giapponese Tomoko Nagao, lavori dell’esponente pop Vanni Cuoghi e diversi murales di street artists, tra cui il famoso Bros.

Le persone – per così dire – più turbolente sono note a chi il quartiere lo “fa” dall’interno e con i fatti. «L’obiettivo è proprio quello di guardare in faccia queste persone», prosegue la presidente del comitato, Luciana Villa e per questo è importante il contatto inclusivo durante i momenti di comunità e svago che il comitato organizza. Grande parte della ricerca della legalità passa attraverso l’appropriazione dello spazio pubblico. In questa ottica il murales di Bros o una Venere di Tomoko Nagao, oltre a una rilevanza estetica, assumono il valore di una marca, il segno tangibile di una presenza territoriale che sta, poco a poco, facendo intensificare i timidi contatti tra abitanti italiani e stranieri nell’organizzazione di iniziative di integrazione e condivisione.crespi3

Perché si realizzi una vera integrazione dei soggetti più problematici nel tessuto sociale emerso, inutile dirlo, le condizioni necessarie sono due e opposte: da una parte chi pratica attività illegali dovrebbe virare verso il territorio della legalità e questo appare utopistico e lontano dalle reali condizioni. Ma se Maometto non va alla montagna… è di pochi giorni fa la notizia che una proposta di legge sulla controversa legalizzazione delle droghe leggere è già stata approntata da Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri. Certo, siamo nel campo delle possibili riflessioni e le soluzioni vere e proprie sono destinate a strutturarsi in anni di lavoro capillare e tenace se e solo se anche le istituzioni decideranno di non dare per persi questi piccoli baluardi di possibilità e accetteranno di metterci il loro non tanto in termini di controllo e repressione quanto di progettualità e risorse umane.

Di certo la presenza di uomini e donne pronti a giocare sulle proprie risorse per sparigliare le carte introduce variabili imprevedibili, in un territorio che negli ultimi anni hanno visto mutare profondamente il tessuto politico e sociale di tutta la città.

Book Pride Milano

Il 27, 28 e 29 Marzo i Frigoriferi Milanesi hanno ospitato il BookPride, la fiera dell’editoria indipendente.

In questi giorni primaverili, le sale e gli spazi dell’ex fabbrica del ghiaccio in zona Porta Vittoria si sono popolate di libri, stand, piccoli editori e appassionati di lettura, per dar vita alla prima fiera dell’editoria autofinanziata da chi la fa.

Cooperando con partner privati ed istituzionale come il Comune di Milano e l’Institut Français Italia, BookPride è fiero di parlare di sé come di un evento di promozione della cultura non omologata, alla salvaguardia della bibliodiversità e organizzato da e per gli indipendenti.

Fuori dai classici grandi circuiti di comunicazione come media partner dell’evento sono stati scelti Radio Onda d’Urto, Libera tv e Il Manifesto, tutte realtà che hanno saputo fare dell’innovazione di forme e contenuti della cultura una garanzia di indipendenza.

Attorno al fulcro tematico di quest’edizione, La Differenza, BookPride ha organizzato e proposto al pubblico conferenze, letture, performance, lezioni  e atelier, il tutto gratuitamente, e ha lasciato lo spazio agli editori partecipanti di esporre e vendere  le loro pubblicazioni.

Con i primi giorni di primavera, Milano ha trovato in BookPride, tra i suoi tanti piccoli stand, nelle sale delle conferenze o ai tavoli dell’EnoBookPride, l’enoteca autogestita totalmente in linea con lo spirito indipendente dell’evento,  un luogo di condivisione pieno di stimoli e un punto di ritrovo per tanti.

 

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Dry&Dusty: l’antica musica dei monti Appalachi

Questo progetto nasce da una grande passione di Alioscia Alesa: il diploma alla Civica Scuola di Liuteria di Milano nel 2001, fa nascere in lui un amore sconfinato verso il banjo, dalla musica e la tecnica alla sua costruzione per una totale simbiosi con lo strumento. L’incontro con il violinista Alberto Rota porta alla nascita del gruppo.

«Dry & Dusty  è il titolo di un fiddle tune (pezzo che i musicisti suonavano quando, ad un certo punto, avevano la gola secca e volevano farsi offrire qualche liquore di contrabbando) e visto che all’inizio eravamo soltanto io e Alberto, calzava bene Asciutto & Polveroso», spiega Alioscia¸ Poi interviene Giusi Pesenti: «Hanno iniziato prima loro due, poi ho detto: ma non volete pure me?».

Il gruppo ufficialmente è nato intorno al 2009/2010 in maniera molto naturale e spontanea: «Abbiamo fatto due o tre concerti all’anno per circa due anni e poi abbiamo iniziato a suonare di più».

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Lo studio e la passione di Alioscia e gli innumerevoli ascolti di musica irlandese di Alberto e Giusi hanno creato un mix perfetto: i monti Appalachi (sud-est degli Stati Uniti) furono infatti una colonia scozzese e irlandese, nonché rifugio per schiavi neri scappati dalle piantagioni. Una commistione di generi e sonorità che regala atmosfere antiche.

La scelta dei brani avviene con l’ascolto e la ricerca di canzoni tradizionali: «C’è di bello che in America hanno registrato tantissimo negli anni Venti per cui è facile documentarsi, anche con archivi online. È ascoltando gli originali che poi troviamo il pezzo; in realtà ascoltiamo anche altri artisti contemporanei che, come noi, ripropongono questo tipo di musica, anche perché spesso le registrazioni originali non sono molto comprensibili».

Il genere dei Dry & Dusty è divertente e molto animato, ma rimane comunque una musica non immediata. Mi riferisco soprattutto alla scelta degli strumenti: con il banjo suonato della maniera “old time” – di solito il banjo viene suonato in stile bluegrass, con arpeggi continui, mentre con questo metodo si danno dei colpi dall’altro verso il basso – le percussioni e il violino il risultato finale potrebbe risultare inusuale, anche per via della mancanza di uno strumento “armonico”, come per esempio la chitarra.

Anche per il violino sono state fatte delle scelte particolari: in base ai pezzi, Alberto pazientemente cambia l’accordatura dello strumento a seconda del brano. «Questa è una prassi che si usava nel violino popolare anche in Europa. Successivamente nella tradizione europea si è persa e la si trova solo in alcune zone, per esempio in Norvegia, mentre in America è una prassi più usata. Ci sono due o tre accordature diverse che vengono usate e ho scelto di rispettarle anche per comodità, perché comunque cambiando accordatura e cambiando tonalità puoi far suonare molto di più le corde vuote, per cui poi lo strumento suona in maniera più corposa».

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Giusi racconta che per quanto riguarda le percussioni, non se ne trovano molte nelle registrazioni storiche, si sentono piuttosto i piedi che tengono il tempo. «Spesso succedeva che i musicisti dovessero andare a registrare a un giorno intero di viaggio in macchina e quindi si portavano solo l’essenziale. Comunque storicamente si suonavano le ossa, i cucchiai, il triangolo, tamburi con i sonagli. Io ho iniziato piano piano, prima con il bodhran (il tamburo irlandese) e poi ho cercato qua e là le varie tecniche per le altre percussioni».

Attualmente il gruppo ha inciso il disco Polly put the kettle on, ma «non abbiamo mai fatto la presentazione ufficiale perché è stato un parto lungo». Intanto continuano a suonare anche se, essendo questo un genere non molto conosciuto «va sempre a finire che si suoni o perché ci hanno sentito da qualche parte, o per conoscenze».

Non solo tango – Il pescatore di “caramelle”

/continua

Daniel vive affittando libri. Tra il 1976 e il 1983 ha vissuto in Italia, al tempo della dittatura dei generali. Ha fatto molti mestieri ma quello di bibliotecario era probabilmente scritto nel suo destino.

«Nel 1975, quando ero attivista politico alla facoltà di Architettura e Urbanistica a Buenos Aires fui arrestato insieme a molti compagni. Mi portarono nel carcere di Azul, con un regime carcerario abbastanza aperto. Ricevevo libri e potevo perfino organizzare riunioni di lettura, nella mia cella. Dal 24 marzo del 1976, con il golpe cambiò tutto. Fummo trasferiti a Sierra Chica, un carcere molto più duro: l’ora d’aria solo due volte la settimana, otto compagni a turno. Potevamo parlarci solo a gruppi di due.

Fu necessario aguzzare l’ingegno per inventare modi per comunicare, continuare la lotta. Cominciammo a usare le “caramelle”. Si scriveva sulle cartine per sigarette, le si piegava e foderava con nylon e infine le si sigillava col calore. Assumevano la dimensione di una caramella. In caso di pericolo potevano essere ingoiate.

In cinque, tra cui Juan Martin Guevara, il fratello del Che, formavamo la direzione del padiglione. Ci riunivamo per coordinare il comportamento da tenere con le guardie, scambiarci notizie che apprendevamo grazie alle visite e analizzare i problemi dei compagni con cui ciascuno si incontrava.

Il responsabile scriveva quattro caramelle, le  tirava fuori durante l’ora d’aria e  le faceva arrivare alle nostre finestre. Le leggevamo, raccoglievamo opinioni e le rimandavamo al coordinatore con lo stesso sistema. Alla fine lui faceva una sintesi delle posizioni e ce la rimandava. Ogni riunione durava da 7 a 10 giorni.

La cosa più incredibile avvenne dopo la prima ora d’aria.

Il compagno della cella accanto mi disse: «Dove sei tu c’è la Biblioteca». Cosa, dove, quale? Mi spiegò: era una biblioteca di caramelle, attaccate tra loro in una collana, come vari volumi di ciascuna opera. Libri “proibiti” in piena dittatura proprio nel carcere duro del regime, in parte costruita prima del golpe con aiuti da fuori, forse in previsione di quello che si sapeva stare per succedere.

Si trovavano nella stessa porta della cella. Imparai ad usarla. Il compagno della cella accanto si occupava di spiare se qualcuno veniva nel corridoio. Intanto toglievo la copertura dello spioncino, prendevo un lungo filo di ferro con in cima un gancio di caucciù, lo introducevo dentro la porta che era cava, nello spazio tra le pareti di legno a cui si accedeva attraverso la serratura. Così pescavo i libri. Durante l’ora d’aria li passavo agli altri che in seguito me li restituivano.

Tra quelli che ricordo c’erano grandi opere come Stato e Rivoluzione di Lenin, Tradizione, famiglia e proprietà di Engels,  Il manifesto del Partito Comunista di Marx, scritti del Che, di Ho Chi Min, Le vene aperte dell’America latina di Eduardo Galeano, un saggio sullo sfruttamento economico e umano subito dal Sudamerica negli ultimi cinquecento anni, documenti dei partiti, finiti fuorilegge.

Molte volte mi sono chiesto perché il caso abbia voluto che a quella cella rimasta vuota e a questa biblioteca che stava per chiudere per fallimento sia arrivato io».

Il regime della Turbo Folk: la musica e l’arma della dittatura jugoslava

Il turbo-folk è un genere musicale nato in Serbia negli anni Novanta. Il termine venne coniato dal famigerato cantautore Antonije Pušić  – (Cattaro, 14 giugno 1963), in arte Rambo Amadeus, che ricordiamo come rappresentante del Montenegro per l’Eurovision Song Contest 2012 – per unire la musica folk tradizionale all’idea di modernità e potenza (“turbo”) delle basi elettroniche. Anche se strettamente legato agli stili e gli artisti serbi, questo genere è molto popolare anche in Bosnia-Erzegovina, Slovenia, Croazia, Macedonia, Albania, Bulgaria, Turchia e Montenegro.

Rambo Amadeus – Euro Neuro, 2012

Era la cosiddetta “novokomponovana muzika” (musica di nuova composizione), che poteva essere vista come il risultato dell’urbanizzazione della musica popolare. Inizialmente c’era un approccio molto tradizionale alla performance: venivano usati fisarmonica e clarinetto su canzoni d’amore tradizionali (insieme a temi lirici, monarchici e anti-comunisti). In una fase successiva, gli artisti più popolari come Lepa Brena, Vesna Zmijanac e Dragana Mirković utilizzarono le influenze dalla musica pop, musica orientale, e altri generi, che hanno portato alla nascita di turbo folk.

Lepa Brena – Jugoslovenka, 1989

Ma questo non è solo un genere musicale, fu infatti un forte alleato dei sentimenti nazionalisti nati dopo il disfacimento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (1991-1995). La musica tradizionale si accompagnava a testi patriottici ispirati al mondo militare, mentre l’accompagnamento era quello tipico della musica pop e dance che stava spopolando nel resto d’Europa. Si aggiunsero in seguito altri temi, come l’amore e le questioni di vita quotidiana, facendo si che questo genere diventasse una moda abbracciata da molti giovani reduci dalla crisi economica: i video delle canzoni con i vestiti tamarri dei cantanti, le scenografie elegantemente kitsch, lo scintillio delle paillettes, i messaggi provocanti e le cantanti super sexy permettevano loro di evadere per un poco dall’arida sopravvivenza del dopoguerra.

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Se in principio questo genere veniva trasmesso solo da alcune emittenti private, in seguito venne abbracciato dalle forze politiche legate a Slobodan Milošević e ai suoi successori, che iniziarono a finanziare le emittenti, sostenendo questa nuova cultura emergente. Lo scopo era quello di farne un perfetto mezzo di diffusione delle idee nazionalistiche che andavano rafforzandosi nella popolazione (soprattutto dopo i bombardamenti NATO sulle città della Serbia). Questa musica nazional-popolare accentuava l’ambizione della gente verso i “modelli occidentali” del consumismo.

Severina – Moja štikla, 2006

Quello del turbo-folk era quindi un ambiente dal sapore nazionalista, mafioso e militare. I cantati legati a questo genere sono delle super star, seguitissimi sia nella loro carriera musicale che nella vita privata. Il caso più clamoroso è quello della cantate Ceca (nome d’arte di Svetlana Ražnatović – da nubile: Svetlana Veličković –  Žitorađa, 14 giugno 1973), nonché moglie di Željko Ražnatović, il noto Comandante Arkan.

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Più recentemente (sempre in Serbia),  dopo il cambio di governo – 5 ottobre 2000 – il turbo-folk è entrato nella sua propria fase di transizione: molti media serbi improvvisamente non erano più  “aperti”  come una volta. Per alcuni  si trattava di una risposta ad un’ autentica  mancanza di desiderio del pubblico di vedere e sentire qualcosa che ricordava gli anni Milošević , ma per molti altri, tra cui Pink TV, sembrava un tentativo opportunistico alla piaggeria con le nuove autorità. Molti artisti hanno risposto incorporando anche elementi più pop nel loro sound, rendendo il confine tra turbo folk e pop occidentale più sfocato che mai.

https://www.youtube.com/watch?v=OG_4q2TxV8o

Ceca – Da raskinem sa njom, 2013

 

 

Senegal VS Italy

Editing by Selena Magni.

Today Pequod had a long and deep conversation with Papis, a Senegalese man living in Italy. Sometimes living in a foreing country is not an exciting challenge, you simply have no other choice.

Your name, age, nationality, where are you from? Where do you live now? Which is your current occupation? 

I’m Papis, 33 years old; I live in Bergamo today and I’m from Dakar, Senegal. I’m unemployed.

Why did you decide to leave your country? 

I left Senegal for economic reasons: I have not finished my studies and in my country if you don’t have any  qualification it’s really difficult to find a job, make an asset or build a house. When I started my travel, I hoped to find something different in Europe, more possibilities to learn, a job and a better economic situation.

Why did you choose Italy? 
Actually, I didn’t choose Italy. At first I arrived in France and I liked it, but it was too difficult to stay there for me, so I left France and came to Italy. I have some brothers who have been living here for many years and they hosted me.

Describe your life in Italy (your occupation, your everyday life, social life, etc.). Tell us something about the city you live in (top 5 places to be, where to go, what to do – be our tourist information center!)

Actually, my life is a bit boring, because I have no job and no money. When I first came to Bergamo, I found a job as leafleter and I remembered that I had to get up very early and walk a lot, but I liked that work, because it allowed me to discover the country where I was living and it gave me money to live. Now I still get up early but I don’t have anything to do, so I have breakfast, watch international news and do something in my home; then I go out in search of some little business. I spend most of my time with Senegalese friends. We like staying at home cooking our traditional food all together. I try to spend as little time as possible at home, just to find something to do, but I regard my home as a peaceful place and when I go out I’m often worried, because I never know what I’ll find in the street.

I discovered the places that I consider as the most beautiful in Bergamo walking around in the city. Tourists who come to Bergamo always visit the same places: the center and Città Alta, a kind old Roman stronghold, and it’s great, yes! But I prefer the smaller cities, like Clusone or Stezzano: here you can see some historic villages with little historical centers that are really interesting and during the summer, there’s not much to do in Bergamo city, but out of it every village organizes events and sometimes you can hear a good concert or listen to an interesting conference.

How is living in Italy different than living in your country? 
The differences are many! Here everything is organized: public transport, business, health. The first thing that you learn when you arrive in Europe is that you have to regularize your position and your activity, and to keep your documents safe. In Senegal it is really different, especially for business: there isn’t any kind of regularization of economic activities, you just start it. For the documents it’s a little bit different, because in Senegal you always have to take your documents with you. If the police finds someone living illegally in Dakar, for example, they take him to jail or send him back to the border and if nobody searches him and he cannot prove his identity, he will stay there for a long long time. It happens rarely though, because the police controls take place during the night for the most part, during the day there are too many people in the streets to control! Here is different: policemen walk in the street day and night and control people identities. In Italy is easier than in other countries, there is more tolerance.

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Dakar, capitale del Senegal

 

Which is the biggest challenge of moving to a new country? Have you had any regrets so far? What do you miss the most?

The biggest challenge is integration. It was not easy to stay with people from Bergamo, to have dinner with them, to have a conversation. Now there are some people here, with whom I like to stay and hang out; I have Italian friends and my wife is from Bergamo. My regret concerns my studies, in Senegal first and then in Italy: I suppose that if I had graduated in Senegal, I would not have come here and my life now could have been easier. I can say the same about my first years in Italy, when I was here with my Schengen visa. What  I miss the most is my mum, my home, my family, but I think that I just remember some better times. If I return now in Senegal, I won’t find what I miss, it’s just homesickness. I would like to stay in Senegal for a year or more to feel seasons changing, rediscover the wind of my country and be a real Senegalese again.

What does Europe mean for you? Do you perceive the existence of Europe as a community?

When I was a child, Europe for me was my promised land: I used to see on TV some fantastic images about your clean streets, your organized life and a lot of vegetables! I wanted to go there! Now I know that Europe is a bit different from what I imagined: I like it, yes, but it’s really self-concentrated. Europe has educated me: I know the importance of organization, how to manage money and be autonomous. I like observing old people who live in country or in the mountains: I like their lifestyle and their independence. But I don’t believe in the existence of a real European Community: Europeans are so different from each other, they have different values and habits. Africa is different: our cultures are similar. I could live in Congo or Ivory Coast without any problem, but in Europe it is difficult for most of the people to leave their country for another and there are countries that are regarded as non-European by a lot of people, while they are in fact European.

Italy, your country and Europe. Use three words to describe each of the previous. 

Bergamo – anxious

Italy  – pleasant

Europe – individualist

Dakar – cumbersome

Senegal – peace

Africa – promised land

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“Africa is my promised land”

 

What would you say to someone to convince him to move abroad? What’s the best thing you’ve got/you’ve learnt by your experience abroad?

I don’t think I could really convince someone to move abroad. I mean, what I’ve been learning in these long years of travelling and living abroad is that, despite all the difficulties, this is an experience that makes you grow and teaches you an important lesson, even if sometimes it’s even too hard than what you deserved. That’ why I think that travelling, living in a place which is different from your home is a fundamental experience, visiting new places, discovering new cultures and opening your mind. But still, your birthplace will be always your home, no matter what, that’s why the perfect thing would be to come back home, after living abroad, with a handful of experience that will complete your real life in your motherland.

TEEM, la semina dell’asfalto darà i suoi frutti? – Green Marketing, la visione del costruttore da stravolgimenti e preservazione

Con l’articolo del 23 Febbraio, abbiamo osservato da vicino la realizzazione di un’opera, un’opera titanica: la TEEM. Medaglia questa, dalle due facce: l’una strategicamente interessante per la mobilità, l’altra decisamente invasiva per l’ecosistema. Ad oggi, ciò che risulta lapalissiano e quindi incontrovertibile è la forte trasformazione che il territorio interessato sta subendo. Corsi d’acqua deviati, incanalati ed interrati, ponti spuntati improvvisamente dal sottosuolo, ed un orizzonte ridisegnato. La società “Tangenziale Esterna S.p.a” è nata per progettare, realizzare e gestire in concessione per cinquant’anni, i 32 Km di superstrada. Le ragioni esposte dalla neo-società, per la costruzione dell’opera, si fondano sulla vetusto concezione della vecchia Tangenziale Est di Milano, la quale, costruita alla fine degli anni sessanta, non sarebbe più in grado di assecondare le esigenze di viabilità odierne. La progressiva urbanizzazione e industrializzazione (con la presenza sempre più fitta di logistiche e poli industriali), dislocati fuori dalla vecchia cerchia urbana di Milano, hanno reso il traffico sempre più congestionato e saturo.

Dunque, proprio al fine di alleggerire la mole di auto e camion presenti sull’attuale rete, si è preparato il campo alla ideazione e costruzione della TEEM, con l’obiettivo di ridurre i tempi di percorrenza e parallelamente, diminuire le emissioni inquinanti. La società TE, per “addolcire la pillola”, dal punto di vista comunicativo e (speriamo) attuativo, ha prestato attenzione alle tematiche green, offrendo ai propri interlocutori, interventi tecnologici mirati a basso impatto ambientale. Per la costruzione si è fatto ricorso a innovativi sistemi di barriere fonoassorbenti e dune antirumore utili ad armonizzare l’infrastruttura, con un contesto geografico che vanta caratteristiche territoriali d’eccellenza. SONY DSC

In ossequio al principio di compensazione non mancheranno un insieme di accorgimenti per il corretto trattamento delle acque piovane, che attraverso l’installazione di vasche di laminazione e impianti di depurazione eviteranno, inoltre, che eventuali sostanze inquinanti vadano ad intaccare la falda acquifera locale, garantendo sicurezza e rispetto ad un’ area che fa delle acque il proprio punto di forza a servizio della produzione agricola. Una grandiosa opera rispettosa dell’ambiente non può permettersi di trascurare l’ottimizzazione nell’utilizzo di energia, ecco allora presentato dalla Società, un esteso utilizzo di innovativi impianti di illuminazione a LED che permetterà un’elevata personalizzazione delle segnalazioni visive sull’infrastruttura, a incremento della sicurezza dei viaggiatori, unita a un’ottimizzazione nell’utilizzo dell’energia necessaria al funzionamento degli impianti a servizio di TEEM. All’interno dell’operazione di “lifting green” non poteva mancare la promessa di una generica piantumazione massiva volta ad implementare la vegetazione già presente, oltre ad un importante sviluppo di “mobilità dolce” con 30 Km di strade ciclabili che, secondo il progetto, metteranno in comunicazione e faciliteranno la fruizione dei beni storici e culturali presenti sul territorio (monumenti, ville e cascine).

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Cultura: secondo tema fortemente usato nella costante opera di mitigazione. Forte esempio è il completo finanziamento, stimato in oltre un milione di euro di spesa, da parte della società TE, per il restauro dell’oratorio bramantesco di Comazzo, uno dei comuni interessati dalla TEEM. La struttura è uno straordinario sito Storico artistico, un gioiello architettonico di grande e delicata suggestione, ma anche un luogo di importanza storica. Proprio da qui, da un piccolo oratorio incastrato in quel dedalo di paesini, cascine e campi, prende forma la giusta metafora che fotografa il momento attuale, immortalando l’eterno dualismo tra progresso e conservazione del bello. Dove per il mantenimento dell’antico è necessario il finanziamento del progresso, in un rapporto apparentemente in forte contraddizione, per il quale il soggetto, l’attore del grande stravolgimento assume le vesti del salvatore, preservatore di luoghi preesistenti alla Sua opera, attraverso la quale nulla può passare indenne al cambiamento.  …to be continued…

“Libera” sotto i portici della Dotta. A Bologna per ricordare le vittime innocenti delle mafie.

di Maria Luisa Rao

Bologna 21 marzo 2015. Si respira un’aria diversa e sorrisi senza costrizioni si leggono sui volti dei partecipanti alla marcia per ricordare le vittime innocenti delle mafie, come accade ormai da quasi vent’anni. Organizzata da “Libera” – associazione nomi e numeri contro le mafie – in collaborazione con altre associazioni che ne condividono il progetto di legalità, dal 1996, questa giornata è il simbolo di chi non dimentica, cerca giustizia e lavora ogni giorno per la legalità.
Il corteo si riunisce nei pressi dello stadio Dall’ara e sfila per le vie della città raggiungendo in fine piazza VIII agosto. Gran parte del corteo è composto da giovani, venuti da tutta Italia ma non mancano famiglie con bambini, anche piccolissimi. Partecipare e combattere trecentosessantacinque giorni all’anno. E mentre la folla attraversa Piazza grande, il suono dei tamburi che attraversano “la Dotta” si fa più forte.

Ciro viene da Torre Annunziata. Per lui la battaglia quotidiana è l’arma essenziale di ogni individuo. Bologna sicuramente non è una scelta casuale. Don Ciotti giorni fa ha ricordato come la città abbia pagato prezzi immensi. E non a caso, tra gli altri, sono stati letti i nomi delle stragi del Due agosto. E non dimentichiamo che nell’ultimo periodo, si è messa in evidenza la forte collusione della Regione Emilia Romagna con la ‘Ndrangheta.

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Riccardo ha solo ventitre anni. Studia Scienze Politiche a Torino. Oggi è qui con una fascia tricolore: “ Basta pensare che sia un fenomeno meridionale.” Tanti i giovani seduti in terra, colorano piazza VIII agosto. Era inevitabile. Bologna è il simbolo della gioventù, dei giovani che non dormono. Alberto fa parte dei Renanera, band di sei elementi che propone uno spettacolo musicale e teatrale di matrice popolare. Il sestetto si è aggiudicato il “Premio Musica contro le Mafie”, successo ottenuto con il brano “ Campo”.

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L’ Alma Mater si prepara da mesi alla ventesima giornata della memoria e dell’impegno. Gli studenti di “Rete della conoscenza Emilia Romagna” ha organizzato diverse assemblee nei mesi passati. Unico obiettivo educare a scendere in piazza, a mobilitarsi: “Dalle scuole alle università può partire una nuova primavera di diritti contro tutte le mafie e noi ce la vogliamo giocare tutta.” Un lungo e interminabile applauso chiude la letture dei nomi delle circa novecento vittime. “I nomi delle vittime devono scavarci il cuore e scorrere nelle nostre vene. Il dolore delle persone che restano deve essere nostro.” Parole pesanti tese a scuotere le coscienze, quelle pronunciate dal presidente di Libera, Luigi Ciotti.Innumerevoli le allusioni del presidente di Libera, alla presenza di “personaggi” poco informati e molto collusi, anche all’interno delle istituzioni.

Rimpiangere di non aver vissuto è l’errore più grande che un giovane può compiere. Vivere secondo principi legali, è possibile. Essere padroni del proprio futuro e agire per raggiungere obiettivi. Lottare per ottenere giustizia. Molti stati d’animo hanno percorso i portici: speranza, dolore,gioia. Ma il monito più forte arriva ancora da Don Ciotti: “Ragazzi determinati. Oggi ho potuto ammirare i vostri sorrisi. Sorrisi fatti di speranza. Non prendiamoli in giro,vivono con l’angoscia per il futuro. Facciamo vedere la strada per un futuro degno. Cerchiamo di vivere una vita che possa essere definita tale. Mettiamoci in gioco. Illuminiamo ai nostri figli le strade che abbiamo oscurato. L’indifferenza è vergogna. La legalità non deve essere solo scritta nei codici ma anche nelle nostre coscienze.”

Capo Vaticano, la voglia di mare e l’inverno

In estate questi bellissimi paesaggi vengono invasi da turisti di ogni genere e provenienti da tutta Europa, in inverno le sue spiagge appartengono al mare, ai pescatori e alla bellezza incontaminata che lo rende una perla del mediterraneo.

Stiamo parlando di Capo Vaticano località calabrese che si trova nel Comune di Ricadi, a breve distanza da Tropea, sulla punta estrema dello splendido promontorio roccioso che si staglia nel Tirreno meridionale, protendendosi verso le Eolie.

Secondo una delle tante versioni nell’antichità in tale promontorio risiedeva un oracolo e proprio dalla parola Vaticinium (“oracolo”) deriverebbe il suo nome. La sua costa è frastagliata, con piccole baie e con una flora e una fauna mediterranea molto ricca che regala dei panorami così belli che lo scrittore Giuseppe Berto, che decise di viverci, disse di sapere di trovarsi in uno dei luoghi più belli della terra.

Non servono altre parole, adesso, lasciatevi trasportare dal suono delle onde e godete dei colori del mare in inverno.

 

Fotografie di Celeste Gasparri.

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Spazio Linkiostro – Più spazio per tutti!

Prendi uno spazio comunale inutilizzato, un assessore con grande iniziativa, un piccolo gruppo di ragazzi volenterosi, e la ricetta è servita. Questi sono gli ingredienti che hanno portato alla nascita dello spazio Linkiostro, nella provincia bergamasca

L’idea è venuta a Lidia Roggeri, assessore alle politiche giovanili del comune di Ranica, che ha voluto creare uno spazio per i giovani all’interno del quale promuovere iniziative che svariano dall’ambito politico-culturale a quello artistico-letterario.

Sara Ravasio, una ragazza che collabora attivamente fin dall’inizio alla promozione e alla crescita dello spazio Linkiostro, ci racconta: «Non siamo in molti ad occuparci delle attività del centro, ma lavoriamo bene, siamo uniti e motivati; non appena Lidia ci ha contattati per questo progetto, ne sono stata subito entusiasta!».

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La volontà era quella di creare uno spazio di aggregazione giovanile, completamente assente a Ranica prima dell’avvento de Linkiostro. Ovviamente qualche difficoltà, almeno all’inizio, c’è stata, soprattutto a livello burocratico per la gestione dello spazio dove tenere incontri ed iniziative. Ma, come già detto, a questi ragazzi forza di volontà e organizzazione non mancano e la situazione sta volgendo al meglio.

Per Lidia è importante coinvolgere la popolazione locale: «La disponibilità di questo spazio deve essere un’opportunità per tutti, non solo per il collettivo de Linkiostro o singole associazioni. Sarà proprio questo a differenziare questa iniziativa da qualsiasi altra».

Le attività proposte dal collettivo abbracciano diversi ambiti e problematiche: si passa infatti da iniziative di stampo politico e culturale, ad altre di carattere artistico-letterario, fino alla promozione di serate a tema musicale e di svago. Ad oggi i ragazzi de Linkiostro hanno proposto al pubblico incontri con associazioni di volontariato, cineforum, un laboratorio di ciclo-officina e alcuni aperitivi di autofinanziamento.

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La serata che però ha riscosso maggior successo è stata quella dedicata al tema palestinese: «C’è stata grande partecipazione, la serata è piaciuta molto! Abbiamo proiettato il docufilm Striplife – Gaza in a day, a cui è seguita la lettura di alcuni passi del libro di Vittorio Arrigoni e il racconto di esperienze dirette di testimoni che sono stati in Palestina», ci ha raccontato Sara.

Attualmente le attività del centro sono in una fase di stallo, dovuta all’allestimento dei nuovi arredi dello spazio dove si svolgono riunioni e incontri, una saletta del centro culturale R. Gritti, adiacente alla biblioteca di Ranica. Allestimento del quale si stanno occupando personalmente i ragazzi de Linkiostro, con particolare attenzione alle dinamiche ambientali.

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Diversi sono i programmi per il futuro: oltre a un’interessante serata già in programma per Aprile sul tema Rom; il collettivo, infatti, vuole farsi conoscere di più al pubblico di concittadini tramite serate a tema musicale, laboratori manuali di diverso tipo e tornei di giochi in scatola. Forte è anche la voglia di crescere come numero, per avere una spinta maggiore alla ricerca di nuovi argomenti e tematiche da proporre in futuro.

Perciò, se avete idee interessanti in mente, fatevi avanti..

A Linkiostro sono sempre in cerca di nuovi cervelli pensanti!

Non solo tango – “Che mestiere fai?” “Affitto libri”

Julia ha 97 anni. I libri che vuole leggere glieli portano alla casa di riposo. Ortensia riesce invece, sia pure accompagnata dalla figlia, ad andare ancora a calle Deán Funes 315 – nel pieno centro di Cordoba dove ha sede da quasi quaranta anni la Biblioteca Circulante, una biblioteca privata – a prendere quelli che le interessano.

Le ultime novità, soprattutto i romanzi, quelli che stanno in cima alle classifiche, che la gente cerca di più e che nelle biblioteche pubbliche arriveranno forse tra un anno o chissà quando. Qui invece si trovano anche gli ultimi best seller, come il primo volume di L’amica geniale di Elena Ferrante appena tradotto in spagnolo. Si paga una quota di iscrizione ed è permesso portare i libri a casa. Sono queste le principali differenze con le biblioteche pubbliche, dove non si paga la quota di iscrizione ma l’aggiornamento spesso fa difetto e sono molto pignoli riguardo al numero di giorni in cui tenere il libro a casa.

La biblioteca fu  fondata nel 1948 a Buenos Aires e poi trasferita qui, a 800 chilometri dalla Capitale, da David Andrés Benarosh, conosciuto come “el francés”, anche se in realtà è nato in Algeria, ed è arrivata a contare fino a 600 soci.

Alla fine degli anni Novanta la crisi economica – con la conseguenza, tra il resto, di un forte rincaro del costo dei libri – ha messo in difficoltà l’esistenza della Biblioteca. E’ stato, nel 1998, che Daniel Radaelli e Lilia Filloy, un’artista plastica di Cordoba,  ne hanno rilevato la proprietà per evitare la chiusura.

Da allora Daniel ha trasformato la passione della lettura in mestiere, “affittando” libri, il cui costo d’acquisto in Argentina è quasi sempre proibitivo. Più di 25 mila volumi, aggiornati costantemente nonostante in sessanta anni di vita la Biblioteca non abbia ricevuto sostegno economico da parte delle istituzioni. Oltre alla narrativa in tutte le espressioni (di costume, classica, romantica, umorística e di avventura, per ragazzi), è possibile consultare una importante collezione di libri di teatro, storia, viaggi, poesia, saggistica. I soci ora sono circa 120, in prevalenza anziani ma di recente si sono iscritti anche alcuni ragazzi.

Daniel Radaelli

Con una quota mensile di 70 pesos (al cambio non ufficiale quasi 6 euro)  è possibile ritirare quattro libri e leggerseli comodamente a casa perché in calle Deán Funes 315,  nelle tre stanze ingombre di libri non c’è spazio per attrezzare una sala di lettura.

Daniel tra il 1976 e il 1983 ha vissuto in Italia. Ha fatto molti mestieri ma il bibliotecario era probabilmente scritto nel suo destino. Da quando finì in carcere, nel 1975, un anno prima dell’inizio della Guerra Sucia (guerra sporca), come fu chiamata la  repressione violenta attuata in Argentina – che ebbe il culmine tra il ’76 e il ’79 – per distruggere i movimenti armati di sinistra e più in generale per cancellare qualunque forma di protesta e di dissidenza nel paese, soprattutto negli ambienti culturali, sindacali e universitari.

/ continua

Utopia

Siamo in un periodo dove le contaminazioni tra cinema e graphic novel sono ormai largamente diffuse. A partire dagli universi Marvel e DC, senza dimenticare molti altri esperimenti interessanti (Scott Pilgrim, La vita di Adele, ecc..), l’adattamento su pellicola dei fumetti sta raggiungendo complessità narrative mai viste finora, dove spesso la graphic novel sembra prendere vita sullo schermo. E uno dei prodotti più originali e innovativi in questo senso è proprio una serie tv. Ah, e non è tratta da una graphic novel. Sto parlando di Utopia.

Prima di cominciare però ho da darvi una notizia buona  e una cattiva. Prima la cattiva? O la buona? Ripensandoci di questo è meglio parlare dopo, prima vediamo di fare un breve riassunto della trama.

The end of Utopia … or is it?

La storia segue un piccolo gruppo di persone che si trovano in possesso del manoscritto del sequel di una graphic novel cult, The Utopia Experiments, che si dice abbia previsto i peggiori disastri del secolo scorso. Questo li porta a essere bersaglio di un’organizzazione conosciuta come The Network, alla quale devono sfuggire per sopravvivere. Attraverso il manoscritto, dovranno scoprire il significato nascosto nelle sue pagine prima che i disastri raffigurati diventino realtà. L’obiettivo del Network però non è solo quello, ma anche trovare “Jessica Hyde”, una ragazza fuggitiva che si unirà presto al gruppo dei protagonisti e che sembra essere di vitale importanza per l’organizzazione. 

Where is Jessica Hyde?

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Come al solito, per evitare spoiler vari, mi fermerò qui con l’intreccio, che però assume un valore fondamentale nella serie, in quanto ci troviamo davanti a una sorta di thriller cospirativo, la summa di tutte le teorie del complotto, ma che è anche uno splatter, impregnato di violenza gratuita e black humor. E se questa combinazione lussureggiante non vi basta, rilancio con una serie di personaggi che sembrano veramente usciti da un fumetto, in continua trasformazione, con una caratterizzazione spiazzante sia nei comportamenti che nella morale, due su tutti: Arby, un killer come non ne avete mai visti, con un respiro affannoso (tipo Dart Vader) e una passione per le uvette, e la stessa Jessica Hyde, in fuga dalla più tenera infanzia, con una personalità folle, o quantomeno enigmatica.

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Nonostante il grande numero di lamentele a causa delle scene violente e del linguaggio offensivo, Utopia ha ricevuto recensioni molto positive. Una delle cose che colpisce di più è senza dubbio il suo stile visivo: un’esplosione di colori accesi, primo tra tutti il giallo, che danno vita a un’ambientazione a tratti surreale, in quanto fa da cornice all’oscurità delle vicende, agli omicidi a sangue freddo (nemmeno i bambini vengono risparmiati), alla tortura, e mi fermo qui. A contribuire alla creazione di questa particolare atmosfera non manca una colonna sonora straniante, ma che non tarda a dare dipendenza: bellissima, a mio parere, la sigla che chiude ogni puntata.

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A questo punto spero di avervi convinto a dare una possibilità ad Utopia e sono pronto a darvi le due notizie. Quella cattiva è che Utopia, composta di due stagioni da sei puntate l’una, andata in onda sull’emittente britannico Channel 4 dal Gennaio 2013 fino all’Agosto 2014, è stata inspiegabilmente cancellata dal network per dare spazio a una nuova serie. Ma rimarrà per sempre una perla nel cuore dei suoi fan. La buona notizia invece è che verrà fatto un remake di Utopia negli States, prodotta da HBO e dove tutte le puntate saranno dirette da nientepopodimeno che David Fincher!

Ma prima del remake, vedere l’originale è d’obbligo. Saluti, e buona visione!

Dall’Oscar per Gravity a Space Runners: la storia tutta italiana di Daniele Federico

Parlare di fantascienza oggi, significa parlare di un mezzo dalle mille risorse. Lontani i tempi di un genere di serie B e di un intrattenimento fine a se stesso, la fantascienza è sempre più un potente strumento per riflettere sull’uomo e le sue domande più profonde.

Ne sa qualcosa il cinema che negli ultimi tempi ha saputo regalare capolavori di intensa emotività attraverso un genere che sembrava ormai vecchio e logoro. E questa è anche l’operazione dietro a Space Runners, romanzo breve di Daniele Federico, tra i più scaricati di Amazon [link].

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La storia è quella di Daniel, pilota aerospaziale arruolatosi in una missione ai confini dell’universo. Una missione tanto sognata quanto causa di amare delusioni che lo porteranno a interrogarsi sull’ambizione, il desiderio di raggiungere i propri obbiettivi e l’amaro e inevitabile ripercuotersi di tutto questo sugli affetti personali. «Perché la vita deve sempre essere esclusione di qualcosa?», si chiede più volte il protagonista.

Un racconto semplice e avvincente Space Runners, che non manca mai di sfruttare a pieno le potenzialità della sua veste fantascientifica. Ma è anche un racconto che ha molto di autobiografico. «Quello che mi interessa quando scrivo», ci ha confessato l’autore, «è raggiungere i miei lettori toccando le corde giuste e coinvolgendoli in quelle che sono domande che hanno toccato me in primis».

Del resto, di ambizioni e partenze ne sa qualcosa lui, che a soli 32 anni può vantare nel suo curriculum un premio Oscar. Sì perché Daniele Federico, bolognese di nascita e londinese di adozione, è stato uno dei programmatori informatici della Framestore, l’azienda britannica vincitrice, tra le altre cose, dell’Oscar per gli per effetti speciali di Gravity, il pluripremiato lungometraggio di Alfonso Cuarón.

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«La mia passione per gli effetti speciali è nata durante l’università», ci ha raccontato Daniele. «Mi sono laureato in ingegneria informatica, e lì ho capito che era proprio l’ambito cinematografico quello in cui volevo lavorare, così sono andato a Roma. Dopo un paio di stage sono entrato alla Rainbow, lì ho cominciato con le Winx e i cartoni animati, ma poi ho pensato di trasferirmi all’estero.

Certo, nel nostro campo tutti sognano gli Stati Uniti e i colossi cinematografici internazionali, ma è molto complesso ottenere il visto per lavorare lì. Così sono andato a Londra, l’Inghilterra da questo punto di vista resta la meta migliore in Europa».

Ed è proprio a Londra, infatti, che ha avuto l’occasione di lavorare alle più importanti produzioni cinematografiche degli ultimi anni: Le cronache di Narnia – Il principe Caspian, Harry Potter e i Doni della Morte, Gravity, Guardiani della Galassia e altre. «Sono andato a Londra con il pensiero fisso di lavorare a Narnia. Sapevo che lo stavano facendo e volevo assolutamente provarci, ma non mi è riuscito subito. Appena arrivato ho cominciato, invece, con una casa di produzione di videogiochi, e solo dopo sono riuscito a entrare alla MPC. Ci sono rimasto per due anni e poi sono passato alla Framestore. Sono stati anni molto importanti in cui ho accumulato un bagaglio di conoscenze che mi ha permesso di aprire oggi un’attività tutta mia».

Una bella storia quella di Daniele, ma comunque molto lontana da quelle che ci propinano ogni giorno riviste e giornali, per i quali fare successo all’estero è cosa scontata. «Non mi ritengo un genio, quando vivi in questi ambienti ti rendi conto che di ragazzi come te ce ne sono tanti, e il nostro ruolo è pur sempre quello di un ingranaggio all’interno di un meccanismo veramente complesso. Ma non sono neanche l’ultimo arrivato; ho fatto dei sacrifici per arrivare a questo punto, ho studiato tanto, è stata dura. Di rinunce ne chiede molte questo lavoro, anche perché ormai la concorrenza è davvero altissima».

Insomma, un creativo a tutto tondo Daniele Federico che tempo fa ha anche sorpreso il web con un video molto bello dal titolo There is you. «L’idea è nata per un’occasione speciale. Volevo dedicarlo a mia moglie il giorno del matrimonio, così ho ricostruito la nostra storia usando solo le immagini e la musica». E il risultato ha conquistato anche noi!

Il Teatro dei se

Chiudete gli occhi e immaginate per un attimo il risvegliarsi della natura in un tiepido pomeriggio domenicale di Marzo mentre passeggiate o bivaccate nel meraviglioso Parco Sempione. Ora però pensate che da lì a breve tempo vedrete sorgere, incastonato tra la Torre del Filarete e l’Arco della Pace, nel cuore del parco, una struttura in cemento e acciaio lunga 17 m, larga 10,50 e alta più 6 metri. No, non è il sole primaverile che vi dà alla testa, non sono miraggi, ma quello che vedete è il“Teatro Continuo”, installazione artistica di Alberto Burri. L’opera fu realizzata nel 1973 in occasione della XV Triennale e rimase a lungo nel patrimonio artistico-culturale milanese fino a quando non fu demolita nel 1989. Proprio in questi giorni il Comune di Milano, in occasione dei 100 anni dalla nascita dell’artista (1915-1995), sta riproponendo la riedificazione della sua opera proprio là dove era stata pensata e collocata originariamente.teatro burri 3

E’ lecito chiedersi chi siano i protagonisti di questa realizzazione. L’opera viene donata, cioè a titolo gratuito, dalla Fondazione Burri alla città di Milano, tuttavia i costi per la sua ricostruzione sono sostenuti da un noto studio legale, NCTM, mentre i costi per la manutenzione spetteranno alla fondazione La Triennale. Il dibattito relativo alla ricostruzione ha origine nel 2008 ma solo nel 2013, in occasione della Triennale, si è allargato raccogliendo pareri sia favorevoli che contrari. Tra questi il “Comitato Parco Libero” è stato tra i primi a mobilitarsi con iniziative di vario genere volte a divulgare la conoscenza dell’entità del progetto e a far sentire la voce di coloro che non vogliono vederlo realizzato. Nel Luglio del 2014 il Comune ha deliberato a favore della costruzione ed i lavori sono in corso d’opera già da due settimane.

Se la vostra domanda è se esista o meno una legge che tuteli i luoghi di prestigio ambientale come il Parco Sempione da modifiche, di ogni genere, che possano alterarne la bellezza e l’integrità, come potrebbe parere ad alcuni la costruzione di quest’opera, la risposta è presto data-si ci sono. Un esempio è il dispositivo di tutela del 27 dicembre 1986 (Prot. 13103) della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Milano che dichiarava “la grande arteria internazionale del Sempione sull’asse della porta del Barco, della torre Filaretiana e della via Dante, con l’Arco della Pace ed i suoi Caselli e lo spazio dell’attuale Parco, costituiscono una composizione prospettica di notevole importanza urbanistico-monumentale “. Attenzione questo non vuol dire che non si possa realizzare alcuna iniziativa artistica o costruire alcuna installazione nel Parco, ma che per farlo è vincolante il consenso della Soprintendenza; in questo caso l’approvazione c’è stata.

Fin qui la vicenda si mostra abbastanza lineare. Non fosse però che questa è anche una storia “se”; una storia di dubbi che ci permette di analizzarla secondo un punto di vista alternativo.

Il Comune ha interpellato il Consiglio di Zona 1 solo dopo aver deciso di procedere con la costruzione.Certo, il parere del Consiglio di Zona non è costrittivo ai fini procedurali, tuttavia è prassi che esso venga interpellato prima della decisione ultima a procedere. Vero è che il voto in sede Consiliare e di Commissione Ambiente si è mostrato poi favorevole all’opera, ma si può pensare che se ci fosse stata una comunicazione preventiva al quartiere questo avrebbe garantito un più amplio e approfondito dibattito, non necessariamente favorevole. securedownload

Altro punto delicato riguarda la gestione dell’opera. La fondazione de “La Triennale” dovrà gestire lo spazio in conformità al fatto che si tratti di un teatro e che dunque vi possano essere realizzate esclusivamente performance. Ma il nodo cruciale è quello che riguarda la manutenzione. Nel 1989 il Teatro Continuo fu abbattuto anche e soprattutto a causa del degrado determinato tanto dalla natura dei materiali, quanto dalla mano dell’uomo. Graffiti e murales tappezzavano l’opera allora e non è detto che non possa accadere anche oggi. Se alla voce costi di manutenzione vige pertanto un’incognita sarà legittimo chiedersi: La Triennale potrà far fronte a questi costi che non sono evidentemente prevedibili ?. Ancor più se ipotizziamo l’idea che se la fondazione non potesse più far fronte a queste spese un giorno l’opera potrebbe rimanere abbandonata a se stessa, degradata, nel bel mezzo del Parco Sempione. Infatti l’opera ha ottenuto l’approvazione della Soprintedenza a patto che venisse realizzata solo ed esclusivamente lì dov’era stata pensata dall’autore e soprattutto che venisse mantenuta per sempre. Il che vuol dire che non siamo davanti ad una installazione momentanea, bensì permanente e se venissero a mancare quelle condizioni che abbiamo detto prima si creerebbe una situazione “di scacco” dove l’opera si troverebbe incastrata in pessime condizioni nel parco e il parco stesso sarebbe vittima di una struttura in decadimento che difficilmente passerebbe inosservata.

Non può essere poi travisato il punto di fondo- il se più grande: se il Teatro Burri verrà apprezzato, gradito ma, ancor di più, accettato dai Milanesi. Ovviamente non è questa la sede dove affrontare le questioni ontologiche dell’arte, ma resta il fatto che siamo nel cuore di Milano e che un graffito su un muro di cemento a pochi passi dal Castello Sforzesco non provoca lo stesso effetto di un graffito realizzato su un muro di periferia. Resta anche il fatto che l’opera è stata pensata in un periodo di fervore culturale dove osare in questa direzione artistica era coerente e contestualizzabile alla realtà circostante mentre ora potrebbe difficilmente essere in sintonia col mondo che la circonda. Certo sono tutti se e i se difficilmente reggono strutture di cemento come quella del Teatro Continuo. Tuttavia di se, di dubbi e di opinioni è costruita la mentalità di un popolo di grande fermento e vivacità intellettuale come quello milanese. Vorremmo augurarci che una volta finito non si dicesse “forse sarebbe stato meglio se non l’avessimo ricostruito”. Sarebbe troppo tardi.

 

In copertina, Parco Sempione [ph. Alessandro Perazzoli CC BY-SA 4.0/Wikimedia Commons]

Geneva International Motor Show

Era il 1905, quando a Ginevra apriva i battenti il primo Salone dell’automobile, tenuto presso il Palais du Conseil Général, cui aderivano 59 espositori. Nel corso di un secolo ha consolidato la propria posizione di prestigio nel panorama automobilistico, fino a diventare uno dei principali eventi del settore a livello mondiale, l’unico nel vecchio continente ad essere sopravvissuto, senza chiusure o rinvii, al cataclisma che ha colpito il mercato negli anni passati.Dal 1982 la manifestazione si tiene al funzionale PALAEXPO, che nei giorni del Salon è raggiungibile comodamente in autobus, grazie ad una linea dedicata nell’intensissimo traffico della città del lago Lemano, partendo dalla centrale Gare Cornavin.

Se sulla presenza di auto da sogno non ci sono mai stati dubbi, più sorprendente è stata la massiccia esposizione di automobili che percorrano la strada dell’ecosostenibilità. Naturalmente, visti i tempi, anche questa è un’ottima vetrina pubblicitaria, in cui le case volentieri mettono in mostra la propria tecnologia. Si va dall’ibrido “classico” mostrato da moltissime case, come ad esempio Toyota (che abbinava anche istruttivi pannelli interattivi) o Volkswagen. Dall’ibrido si passa all’elettrico puro, con la presenza del costruttore americano Tesla, il primo a produrre in larga scala vetture di alta gamma alimentate unicamente da batterie. Notevole anche l’esemplare di monoposto Renault-Dams, partecipante al campionato mondiale di Formula-E, dedicato ad auto a propulsione elettrica.

Per quanto riguarda i carburanti alternativi, molto osservato il distributore di biogas e l’automobile adeguata a tale alimentazione. In mostra anche il motore a bassi consumi EcoBoost di Ford, che da 3 anni viene premiato come motore dell’anno dagli addetti ai lavori.

Da citare i fantascientifici pneumatici BHO3 di Goodyear, in grado di recuperare energia cinetica in fase di frenata per ricaricare le batterie di un’auto elettrica, oltre a fungere da fonte di raccolta di energia solare ad auto ferma.

Una rassegna patinatissima, quindi, che ogni anno registra almeno 700.000 petrolheads che hanno la possibilità di vedere con i propri occhi oggetti che  fanno battere il cuore, missione che le auto green, al momento, sono ancora ben lungi dal poter compiere.[metaslider id=4479]

DuDag e il social publishing

Vorreste pubblicare un libro ma non vi fidate molto delle proposte di certe case editrici o avete paura che non vi prendano in considerazione?

Oppure vorreste fare un ebook per misurare il vostro potenziale, ma non siete degli esperti?

Lorenzo Baravalle ha la soluzione per voi: ha creato DuDag!

«DuDag è un social publisher», come lo definisce Lorenzo; è un soggetto completamente nuovo nel panorama dell’editoria e del web, un sito dove uno scrittore può pubblicare gratis il suo libro e i lettori lo acquistano spendendo soltanto 1€ (di cui il 50% rimane all’autore).

«Noi vogliamo che su DuDag scrittori e lettori dialoghino direttamente, attraverso commenti e recensioni: sono i secondi che devono fare capire ai primi le potenzialità (o le criticità) del loro libro, aiutando lo scrittore a migliorare il suo prodotto».

Il progetto è in fase molto avanzata, Lorenzo infatti ci rivela che: «Ormai ha più di una decina di migliaia di utenti e quattro nostri scrittori sono stati pubblicati su carta. Questo è un punto importante: gli scrittori su DuDag possono pubblicare con un editore tradizionale senza doverci pagare penali o percentuali, ma solamente citandoci in copertina».

Adesso stanno lavorando per la terza e definitiva versione del sito, in cui le dinamiche social saranno portate al massimo.

Sono anche arrivati dei riconoscimenti infatti sono stati inseriti tra le startup più promettenti al mondo dal “The Summit” di Dublino, che raccoglie le migliori compagnie di tecnologia e di internet al mondo. Lorenzo ci racconta anche che a livello italiano si stanno posizionando come «Un player autorevole e fidato, grazie anche alla qualità delle nostre pubblicazioni: quattro finalisti del Premio Calvino, un paio di scrittori di mestiere, con pubblicazioni con editori nazionali e moltissime promesse di qualità».

Da dove nasce l’idea di DuDag e del social publighing?

«Semplicemente è nata dalla considerazione che in internet non esistesse nulla che parlasse al mondo dei libri come iTunes o YouTube parlano a quello della musica e dei video, per questo ho cominciato a pensare ad un modello che abbattesse i costi dell’eBook e ne riconoscesse una grande fetta all’autore».

Lorenzo continua dicendo che il progetto è maturato «Passo dopo passo, ma andando sempre di fretta» e che ha avuto un enorme aiuto da «Alessio Scalzo e Marta Marzola prima, due ragazzi fidatissimi e ottimi professionisti, e di Jessica Pompili e Laura Cupellini poi, le ultime due arrivate nel Team di DuDag».

Andando avanti e con le nuove aggiunte le ambizioni però sono sempre le stesse del primo giorno: rivoluzionare la lettura digitale.

Quali capacità e competenze si sono rese necessarie?

«Di tenere duro nei giorni difficili, di tenere i piedi per terra in quelli di esaltazione e la capacità di adattarsi ai lavori più diversi e alle situazioni più disparate».

Alla fine ci capita di discutere del panorama delle startup in Italia e Lorenzo non crede sia più l’epoca di creazione di prodotti innovativi, perché «È molto difficile che una startup abbia la forza per creare un nuovo prodotto e metterlo con decisione sul mercato. Credo piuttosto che questa sia l’epoca di innovazione del “modello”, di come vengono veicolati e venduti i prodotti che già esistono».

A questo punto non vi resta che fare un giro su DuDag e constatare voi stessi come si possano fare libri di qualità senza essere necessariamente una grande casa editrice!

Buona lettura!

Siena da mangiare

Avete in programma un viaggio a Siena? Avete già in mano la mappa dei posti da visitare ma sentite che manca qualcosa? Certo! Avrete anche bisogno di ristorarvi!

Lasciatevi consigliare e guidare da Pequod in un piccolo tour culinario, per gustare le specialità della zona, perché per assaporare appieno la cultura di un posto, bisogno passare anche per la sua cucina!

Eccovi delle idee per conoscere la cucina senese, sia per gli amanti dello street food sia per quelli della cucina tradizionale.

1) Ciaccino & Frittelle di San Giuseppe

Per gli amanti del cibo da strada c’è pane per i loro denti a Siena! Dovreste provare il ciaccino, la tipica focaccia schiacciata senese, semplice o ripiena; in media costa sui 2 euro ed è uno spuntino sfizioso, ma anche un ottimo pasto, mangiandone un paio. Vicino piazza del Campo c’è la Pizzeria Poppi e lì ne fanno di ottimi! E dato che sareste vicini proprio alla storica piazza dove si svolge il Palio, potreste fare anche un salto lì e provare le frittelle di San Giuseppe della Famiglia Savelli, l’ideale per concludere un ottimo pasto con qualcosa di dolce a base di riso.

Se poi aveste voglia ancora di salato, sempre vicino a piazza del Campo c’è la pizzeria La Trofea che in quanto a bontà di ciaccini non scherza! Situata vicino alla curva del Palio chiamata San Martino, che è anche la più temuta durante la gara, perché a gomito e in discesa: chi la supera per primo tutto intero – e senza cadere – può dirsi il vincitore!

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2) Pici Cacio e Pepe & Salumi Vari (non c’è solo il salame di cinta senese)

I pici sono una pasta tipica di Siena, richiedono tempi di cottura lunghissimi (una ventina di minuti) ma sono ottimi con ragù di cinghiale e con cacio e pepe: quest’ultima variante forse è ancora più sfiziosa e vi permette di assaggiare il pecorino locale (che non ha nulla da invidiare a quello prodotto nel resto d’Italia).

Se volete degli ottimi pici cacio e pepe, provate quelli di Bobbo e Davide, de Il Vinaio: proprietari alla mano, taglieri di salumi di ottima qualità, ottimo vino bio (e non solo) ma soprattutto buonissimi pici! Come salumi, oltre alla finocchiona, vi consigliamo la soppressata toscana e il buristo (ottenuto dalle cotenne del maiale con aggiunta di lardelli di grasso, spezie pregiate, sale, pepe, e sangue di maiale freschissimo). Con meno di 20 euro a persona gusterete tutte molte prelibatezze di Siena e potrete concludere la serata con ottimi cantucci e vin santo!

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Se poi voleste comprare qualcosa di tipico da portare a casa, allora dovreste seriamente considerare di fare un salto al Consorzio Agrario di Siena, una cooperativa formata dagli agricoltori delle provincie di Siena e Arezzo che ha sempre sostenuto l’agricoltura e la valorizzazione dei prodotti del territorio, vendendo anche prodotti agro-alimentari nella propria rete di negozi: lì troverete solo il meglio.

Speriamo che quanto abbiate letto vi faccia venir voglia di visitare Siena, non solo per vedere piazza del Campo, la chiesa di San Domenico e la fortezza Medicea (e molti altri magnifici luoghi), ma anche per la superba cucina e il grande amore per il cibo che hanno in questa terra.

Al cinema non si parla, si parla all’Igloo!

di Sara Alberti e Margherita Ravelli

Da trentatré anni a questa parte, la vita cittadina della piccola Bergamo si anima per una settimana, nel mese di marzo, ruotando attorno all’austera Piazza della Libertà. Stiamo parlando del Bergamo Film Meeting, una rassegna cinematografica che negli ultimi anni sta diventando uno degli eventi più importanti del genere in tutta la penisola, e non solo.

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Pequod ha fatto un giro al festival, e ha trovato qualcosa di molto interessante, che non riguarda esattamente il cinema, ma ne è il completamento perfetto. Al centro della piazza si erge infatti l’Elav Igloo – Meeting Point, una tensostruttura a forma di igloo di 200 metri quadrati, una confortevole area relax dove attendere la proiezione successiva e scambiare quattro chiacchiere. Non solo: nell’igloo è possibile degustare sfiziose prelibatezze accompagnate dalla famigerata birra artigianale del birrificio indipendente ELAV. A completare l’opera, l’Igloo ospita concerti ed incontri con gli autori, diventando un vero e proprio punto di riferimento per il Bergamo Film Meeting.

Abbiamo chiesto qualcosa di più ai responsabili del Meeting Point.

Qual è il ruolo della musica al Bergamo Film Meeting? Cosa sta alla base dell’idea dell’Igloo e qual è il suo legame con il BFM (Bergamo Film Meeting)?

La musica è un evento collaterale, alla fine rimane comunque sempre il cinema come protagonista, però dato che c’è la possibilità di avere questo spazio per il pre e post festival, abbiamo deciso di arricchirlo con una programmazione musicale che vada ad accompagnare poi tutti gli eventi del BFM. Gli eventi musicali, così come tutto ciò che avviene nella bolla ndr., l’igloo – è gestita dal Birrificio ELAV, quindi è legato agli eventi del BFM, certo, ma non direttamente.

Parliamo un po’ del mood, dell’atmosfera che si è voluta ricreare con la scelta di questi gruppi.

Dato che si tratta di eventi all’interno di un film festival, bisogna cercare di rimanere su un determinato target e allo stesso tempo poter presentare dei generi più differenti possibili. Inoltre, negli ultimi anni abbiamo visto che il pubblico è sì composto da quelli che vanno al film meeting, ovviamente, ma anche da gente che viene apposta per la programmazione musicale dell’Igloo. Anche perché quando noi facciamo i concerti spesso ci sono le proiezioni, quindi il pubblico del BFM è in sala.
Per questo motivo cerchiamo di offrire dei concerti il più variegati possibili. Si va dall’elettronica, alla musica cantautoriale, alla musica popolare brasiliana, al tango, al reggae, cercando di soddisfare un po’ tutte le persone che frequentano questo posto, che non sono solo i fruitori del film festival.

L'interno dell'Igloo - foto del Birrificio Elav
L’interno dell’Igloo – foto del Birrificio ELAV

Il pubblico è spesso necessariamente diverso da quello dei film. Ma se invece si pensa all’igloo come ad una compensazione dei film, quale potrebbe essere il modo migliore, per uno che va a vedere i film, di sfruttare l’igloo? Quale sarebbe la combinazione perfetta?

Innanzitutto, nell’Igloo si tengono gli incontri coi registi, illustratori e tutti gli altri ospiti del festival. Poi, nonostante l’orario di punta della bolla, ovvero la sera, coincida con le proiezioni più frequentate del BFM, anche i fruitori del festival possono godersi appieno lo spazio dell’Igloo. Ad esempio, quando finisce un film arrivano ondate di gente desiderosa di mangiare, bere una buona birra e scambiarsi opinioni sui film. Se poi c’è della musica di sottofondo tanto meglio! Diciamo che la bolla è un po’ il nucleo del film festival. AL CINEMA NON SI PARLA, SI PARLA ALL’IGLOO!

Un riassunto delle motivazioni per cui una capatina all’Igloo è irrinunciabile.

È una figata, perché alla fine è un evento grandissimo, in pieno centro, che soddisfa gli amanti del cinema ma anche gli amanti della musica e gli amanti della birra. Insomma, è il modo migliore per iniziare la stagione delle feste primaverili.

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Interno dell’Igloo – Foto del Birrificio ELAV

Per qualsiasi informazione:

Elav Igloo – Meeting Point

Bergamo Film Meeting

Birrificio Indipendente ELAV

Un’intervista a Madman col volume abbassato

Oggi Pequod ha avuto il piacere di fare una chiacchierata con Madman, classe 1988, rapper pugliese trapiantato a Roma prima e a Milano poi. Molti di voi lo conosceranno già, e soprattutto avranno in testa le sue strofe pungenti e i suoi ritornelli accattivanti. Può darsi anche che sia venuto proprio nella vostra città, dato che assieme al socio Gemitaiz i due stanno facendo sold out in tutta Italia con le date del loro Kepler tour. In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo – Vai bro – abbiamo fatto a Madman qualche domanda, che però con la musica non ha nulla a che vedere.

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Ciao Madman, sappiamo che sei impegnatissimo con il tour, ed in generale con la musica. Noi però sappiamo anche che ti interessi di altre cose, di letteratura e di cinema ad esempio. Con tutti i tuoi impegni, trovi ancora il tempo per leggere? Se sì, che libri leggi? Chi sono i tuoi preferiti?

Sì, il tempo di leggere lo trovo sempre. Prevalentemente in aereo/treno. Leggo poco ma in maniera mirata. Prima leggevo quasi solo “classici” mentre ora preferisco qualcosa di più contemporaneo. Mi sono innamorato di Palahniuk. Al momento il mio libro preferito è Rabbia.

Parliamo invece di film: ti consideri un cultore di un qualche genere / regista? Ultimo film che hai visto?

Mah, amo in generale gli horror nella loro accezione più splatter / b-movie e tutto ciò che proviene dal quel gusto. A tal proposito adoro Tarantino e Rodriguez. Guardo con piacere anche i thriller psicologici ben fatti. L’ultimo film veramente fico che mi sento di consigliare è The Rover di David Michôd.

 

Serie tv: le ami, le odi, ci perdi le ore? Dacci un consiglio…

Prima sì, era una droga. Da un paio d’anni ho mollato il colpo perché dimentico sempre di riprenderle dopo la “pausa” tra una stagione e l’altra, oppure ne comincio diverse… Per poi abbandonarle. Diciamo che le prime 2 stagioni di Dexter ai tempi furono abbastanza shockanti. Al momento consiglierei poco di originale… Ho amato molto Boardwalk Empire, probabilmente l’ultima che ho visto per intero!

Ti capita di andare alle mostre? Hai un artista che ti piace, o anche solo un’opera che ti è capitato di vedere e che ti ha fatto dire “ca**o che bomba?” (Van Gogh ad Amsterdam non vale)

 No, sono completamente ignorante e incapace di apprezzarle. Manco Van Gogh ad Amsterdam.

Lasciaci con una massima che non sia una citazione musicale.

“You ain’t got the answers Sway”.

Ringraziamo Madman per aver condiviso con noi il suo lato intellettuale e per averci dato dei buoni consigli su come passare il nostro tempo lontano dal computer. Ora però un consiglio ve lo vogliamo dare anche noi di Pequod: se non conoscevate Madman prima di quest’intervista, andate ad ascoltarvi qualcosa sul suo canale youtube e sulla sua pagina facebook.

Consigli per giovani scrittori… E non solo!

Siete scrittori emergenti o aspiranti tali e vorreste andare alla scoperta del mondo dell’editoria?

Considerate allora questo come un breve vademecum, per lavorare al meglio o evitare di restare coinvolti in certe situazioni svantaggiose per voi… E credetemi, quanto leggerete non è affatto raro o surreale! Ricordatevi che non solo il mondo dell’alta finanza è pieno di squali, ma anche quello delle case editrici.

 

1) Avere un progetto chiaro

Avere le idee chiare aiuta a scrivere meglio e a raggiungere in modo migliore un obiettivo (essere pubblicati su carta stampata, su ebook o in entrambi i formati per esempio, oppure iniziare farsi conoscere nell’ambiente). Tenendo in mente il vostro scopo, sarete anche più sicuri nel decidere come raggiungerlo: valuterete meglio la proposta di un editore o la possibilità di autopubblicarvi, cosa che non è affato – come molti erroneamente  ritengono – il male assoluto, infatti anche Svevo e Moravia hanno iniziato pubblicandosi a proprie spese!

2) Impegnatevi il più possibile

Non fidatevi della storia dello scrittore geniale e di talento, che scrive solo in preda ad un raptus e in una notte il capolavoro della sua vita: dietro una grande opera spesso c’è sempre un’infinita mole di lavoro, quindi, quando avrete terminato la vostra opera e vorrete proporla al pubblico, siate sicuri di averla letta e riletta, di averci sudato sopra e di aver fatto il possibile per avvicinarvi alla vostra idea di perfezione (anche se potrebbe capitarvi di voler cambiare molte cose fino all’ultimo, come Ariosto che fino alla fine volle mettere mano all’Orlando Furioso, senza terminare l’ultima revisione, ma ad un certo punto bisogna rendersi conto che è il caso di mandare il vostro scritto alle stampe, prima che la correzione diventi un’ossessione che vi impedisca di confrontare il vostro lavoro con i gusti del pubblico).

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3) Non inviate il vostro manoscritto solo a grandi case editrici

Per alcuni di voi potrà sembrare assurdo, perché chi non vorrebbe essere pubblicato fin da subito da Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, etc?

I motivi in realtà sono vari: i tempi di risposta sono lunghissimi; vogliono generalmente un manoscritto cartaceo (vi auguro in quel caso che la vostra opera non superi le 800 pagine); preferiscono in genere autori italiani che hanno già pubblicato, dato che ricevono centinaia e centinaia di proposte al mese; pubblicano anche molti autori provenienti dal resto del mondo, quindi la concorrenza sarebbe spietata!

4) Non fidatevi di chi vi chiede un “piccolo” contributo

Se qualcuno crede nel vostro lavoro e pensa che possa essere un buon investimento… Perché i soldi dovreste metterli voi? Personalmente non sono molto a favore dell’editoria a pagamento, perché non aiuta l’autore a crescere (l’unica cosa che aumenta sono i profitti dei “gentiluomini” che vi fanno “il favore” di pubblicarvi). Inoltre per me c’è differenza tra la scelta consapevole di chi decide di autopubblicarsi e chi invece accetta passivamente certe proposte di pubblicazione a pagamento: chi si autopubblica dedica molta più cura alle fasi del suo progetto (o comunque dovrebbe), diventando più consapevole di ciò che serve alla creazione di un libro (impaginazione, copertina, promozione, costi, etc).

5) Non accettate di pubblicare senza contratto e senza royalties, solo perché qualcuno vi dice che è il vostro primo libro.

Pensateci bene: vi conviene davvero esservi impegnati tanto e poi vedervi pubblicati senza sapere se verrete pagati e che fine farà il vostro diritto d’autore? C’è gente che propone cose di questo tipo, specie agli esordienti, ma ricordatevi che il vostro lavoro ha un valore: non si regala a nessuno, a meno che non siate voi a decidere di volere autopubblicarvi gratuitamente!

Riguardo al diritto d’autore, potrebbe capitarvi anche di peggio, dato che molti propongono contratti di vario tipo (“Le daremo il 10% superate le 3000 copie!”, “Lei si impegna a cedere il suo diritto d’autore a noi per tre anni, ma per il momento non possiamo farle un contratto e pagarla, magari più in là”, etc.), che stranamente non torneranno mai a vostro favore, quindi prima di firmare qualsiasi cosa prestate sempre molta attenzione!

Seguendo questi accorgimenti non diventerete degli esperti, ma almeno sarete più coscienti di quello che state facendo o di quello che vi stanno proponendo… E non è poco se ambite, come ogni scrittore, a creare qualcosa che sopravviva alla prova del tempo e agli squali dell’editoria!

 

PS: prossimamente vorrei approfondire in un altro articolo il discorso sui contratti proposti agli scrittori esordienti, quindi se volete commentate e condividete questo articolo e fatemi sapere se avete avuto anche voi esperienze “particolari” e che non vi hanno soddisfatto con alcuni editori!

Pequod meets AEGEE: England VS Italy

This week with AEGEE we flew to Great Britain. Here’s our interview with Conrad, who’s in Italy for his second semester but has already a clear idea of Italy and Erasmus.

 

1. What’s your name? How old are you? Where do you study? What do you study?

My name is Conrad Guiney and I am 19 years old. I study German, Italian and Business at Sheffield Hallam University.

2. Describe your country in three words (or phrases, or ideas, or places, or people…).

England is rainy, wild and friendly.

3. Why did you choose Italy? Use one word to describe what Italy represents for you.

I chose Italy because I studied Italian at my university because I like Italian films. Italy is the country of pasta.

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This is Conrad, trying to be as English as possible.

 

4. First three things that come up to your mind when you think about Europe. Do you consider yourself European?

When I think of Europe I think of good weather, great food and the EU. I do feel European but maybe not as much as I should.

5. Say something about Erasmus.

Erasmus is a great opportunity for a person to move and live abroad and learn a completely new culture and way of life. You get the chance to become friends with many people from all around Europe. If you have the opportunity to do an Erasmus study, you have to take it. The Erasmus grant is also a very beneficial thing to have.

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Here’s something that represents England, according to Conrad.

 

6. England, Italy, Europe: similarities and differences.

I think that England is quite different to the rest of Europe. Similarities between England and Italy: the people are both friendly and chatty and kebabs are popular. Differences: eating times, drinking culture, punctuality, Italians smoke a lot more and the weather here is better.

WE Expo: dalla parte delle donne

“WE-Women for Expo è un network di donne di tutto il mondo che si esprimono e agiscono insieme sui temi del nutrimento e della sostenibilità e lo fanno mettendo per la prima volta al centro di un’esposizione universale la cultura femminile”(dal sito ufficiale). Il progetto si presenta come l’occasione per le donne di raggiungere la massima visibilità possibile sfruttando la manifestazione, diventandone le protagoniste assolute. Sulla carta sembra davvero un’ottima opportunità, ma a prima vista alcuni elementi lasciano perplessi; per esempio il video ufficiale di presentazione:

Adeguandosi agli standard (di Expo), il video ha una grafica praticamente inesistente e si rivolge alle donne sottolineando il loro ruolo “di nutrire i figli e le figlie, i padri e le madri” e nel presentare la categoria si parla di “artiste e scrittrici”.

Con queste semplici frasi, gli autori sono riusciti ad un unire gli stereotipi delle diverse culture, dove per quella orientale e africana abbiamo la donna nel ruolo di casalinga e cuoca e in quella occidentale, dove le donne sono ritratte come adatte a lavori creativi, ma non alla dirigenza, all’informatica e ad altri ruoli principalmente associati a figure maschili. Andando avanti nel sito il progetto si suddivide in tre sezioni: WE International, dedicato ad una rete di donne rilevanti in tutto il mondo, la cui Presidentessa Onoraria è Emma Bonino, Il Romanzo nel mondo, un blog che raccoglie ricette provenienti da ogni parte del globo che hanno un significato importante per chi li posta e Concorsi per Imprenditrici, una rete dedicata all’imprenditoria femminile virtuosa.emma-bonino

Nonostante, quindi, un video di presentazione incerto, la struttura effettiva del progetto si basa su donne imprenditrici di ogni tipo. Associare la figura della donna al “nutrire” sembra scontato ma osservando come nelle diverse culture assuma un ruolo differente, si può capire l’importanza del tema: per le culture orientali e africane insegnare alle donne ad essere imprenditrici agricole può essere un’opportunità rara per raggiungere l’indipendenza economica senza dover rinunciare all’importante ruolo di madre ed educatrice.Foto-del-giorno6

Se i progetti portati avanti dalla sezione WE International saranno concreti, si potrebbe assistere ad un cambiamento che rispetti le tradizioni e le culture. Per l’occidente invece, potrebbe essere un’opportunità per riscoprire l’importanza della cultura alimentare e l’imprenditoria agricola superando vecchi stereotipi, come si evince dal primo e secondo premio dei Concorsi per imprenditrici. Scavando nella rete la piacevole scoperta è l’estensione delle attività e i progetti a cui WE EXPO lavora e supporta a livello interazionale e nazionale, che, tuttavia, non risaltano immediatamente dal sito ufficiale (purtroppo) progettato in italiano e malamente tradotto in inglese. Fortunatamente seguendo gli account ufficiali sui social, per esempio twitter, l’estensione e l’importanza del progetto sono evidenti.

Bretagna e bassa Normandia: letteratura, magia e maree

Una lunga costa frastagliata, battuta dai venti e circondata da una natura selvaggia e malinconica: la Bretagna è dove si scontrarono la Dama Bianca e mago Merlino, nel leggendario e misterioso ciclo bretone; è dove nacque Orlando, il furioso paladino ripreso da Ariosto, è la terra dei dolmen e dei menhir. Una perpetua fusione tra storia, letteratura, natura e magia. Il vento proveniente dalla vicina Gran Bretagna non smetterà mai di soffiare, così come le maree non smetteranno mai di alzarsi e di lasciar intravedere paesaggi lunari e nostalgici, su tutta la lunghissima costa (più di 2000 kilometri), fino a salire, su in bassa Normandia, nell’ormai più che turistico paese di Mont Saint-Michel, quel villaggio che con il vento a favore e con la giusta luna diventa un’isola, solitaria in uno specchio d’acqua.

I colori di questa regione sono tenui, come se il vento non permettesse loro di imprimersi e li spazzasse via, ma il sole li illumina e li rivela accesi, come la costa di granito rosa (Côte de granit rose), nella settentrionale Côtes d’Armor, o come il verde dei prati nella Belle-Île.

Colori e miti, come la foresta di Paimpont, la val sans retour, la tomba di Merlino, alberi-prigione: la natura si fa leggenda.

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Il faraonico Parlamento della Romania: viaggio nell’utopia socialista di Ceauşescu

Per la puntata di questo mese della mia rubrica sulla Romania voglio portarvi tra le mura dell’ex sede del Partito comunista rumeno (Pcr), nonché attuale e mastodontico Parlamento. Perché andare a visitarlo? Perché Bucarest è la città che ancora oggi porta silenziosa e meste i segni dell’utopia socialista del dittatore Nicolae Ceauşescu.

Come vi dicevo, la capitale rumena veniva chiamata la “Parigi dell’Est” per i suoi bellissimi quartieri votati allo stile Liberty e i suoi numerosi caffè, che tra gli anni ’70 e ’80 vengono bellamente rasi al suolo per la costruzione dei famigerati bloc comunisti. Al posto del centrale quartiere borghese si pensa bene di posizionare il secondo edificio al mondo per dimensioni: il Palazzo del Popolo (Casa Popolurui), oggi faraonico Parlamento.

Numerosi i record della sua spropositata grandezza: con i suoi 12 piani e le sue 3100 stanze, il palazzo ricopre una superficie di 330.000 mq in un progetto valutato 3,3 miliardi di euro. Tappeti lunghi 200 metri, tende da 150 kg, corridoi interminabili e stanze progettate apposta per amplificare al massimo l’eco degli applausi. Non nascondo inoltre che serve una sostanziale colazione per affrontare gli innumerevoli scalini! Ma procediamo con ordine e partiamo dalle sue fondamenta.

Le bandiere Romania comunista. A destra la bandiera del Pcr e a sinistra il simbolo della nazione, solitamente posizionato nel centro della bandiera… non a caso oggi si possono osservare tra le vie della città bandiere con significativi buchi centrali.
Le bandiere Romania comunista. A destra la bandiera del Pcr e a sinistra il simbolo della nazione, solitamente posizionato nel centro della bandiera… non a caso oggi si possono osservare tra le vie della città bandiere con significativi buchi centrali.

A quasi 100 metri dalla superficie sono ancora nascosti i simboli del comunismo, graffitati sui muri o rappresentati in vecchie bandiere. Qui la guida comincia a raccontarci la storia: un bel giorno del 1984 Ceauşescu, fregandosene della realtà e nondimeno della logica, ordina che l’edificio sia categoricamente pronto in un anno. I lavori procedono dunque velocissimi, con l’aiuto di 700 architetti e più di 20.000 operai, coordinati dalla progettista Anca Petrescu. Ma poi la realtà comincia pian piano a insinuarsi nell’utopia e il Palazzo viene ultimato solo nel 1994, sopravvivendo così al suo dittatore.

La costruzione dell’edificio: dal 1984 al 1985.
La costruzione dell’edificio: dal 1984 al 1985.
Nonostante sembri una semplice decorazione del pavimento, in realtà si tratta della pianta dell’edificio.
Nonostante sembri una semplice decorazione del pavimento, in realtà si tratta della pianta dell’edificio.

La frettolosità con cui si idealizza il simbolo per eccellenza del comunismo rumeno causa la distruzione coatta non solo di case e negozi, ma anche di chiese di ingente valore storico e artistico. Per salvare la chiesa ortodossa Mihai Vodă, l’architetto Eugeniu Iordăchescu crea un ingegnoso sistema per trasferire (letteralmente!) la costruzione di un centinaio di metri più in là: posizionando la chiesa su rotaie dei treni, l’edificio si muove tramite l’aiuto di carrelli elettrici!

Questa foto è offerta da TripAdvisor.
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Il palazzo è costruito rigorosamente con materiali di origine rumena. Primo fra tutti il solenne marmo bianco, proveniente da Ruşchiţa in Transilvania, e se durante la visita proverete la sensazione di essere nel Duomo di Milano non dovrete assolutamente sentirvi fuori luogo poiché il marmo che sostiene la Madonnina è proprio originario della Romania ed è della stessa tipologia di quello del Parlamento! Non è vero, ma la nostra guida ne sembra persuasa.

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Il tour finisce con la terrazza, nonché penultimo piano della Casa del Popolo. Ciò che impressiona, oltre la vista della “Via della Vittoria del socialismo”, è il colore di Bucarest, dei suoi edifici e monumenti: secondo Francisc, la nostra guida, si tratta della tonalità “grigio comunismo”.

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