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Mese: Luglio 2016

Dimmi dove vai e ti dirò che fotografo sei

L’estate è ormai inoltrata, si avvicinano le ferie, si danno gli ultimi esami della sessione. Il vostro viaggio è già pianificato da tempo, i biglietti sono pronti, l’itinerario è segnato sulla cartina, le Lonely Planet sono tutte sottolineate.

Rimane solo un ostacolo tra voi e la vostra vacanza: la valigia. Ogni viaggio ha la sua, ma in nessuna può mancare una fotocamera, pronta ad immortalare vedute e momenti che potrete ricordare per sempre. Per non partire impreparati, ecco una piccola guida alle fotocamere adatte ad ogni tipo di viaggio!

La vacanza da backpacker

Zaino in spalla, mappe e chilometri da percorrere: se per le vacanze hai in programma un viaggio itinerante e in solitaria nel tuo zaino non può mancare, oltre ad un diario, una fotocamera analogica. La pellicola è l’ideale per imprimere ogni traccia dei nuovi territori che scoprirai e della strada che percorrerai per raggiungerli – e poi è il tocco vintage che completa il look da flâneur!

La vacanza sotto palco

L’estate, si sa, è la stagione delle vacanze al mare, ma se sei un appassionato di musica per te significa qualcos’altro: festival! Per immortalare la tre giorni di feste e concerti, la tua fotocamera deve saper resistere agli urti dei poghi, essere abbastanza piccola da non ostacolare i tuoi salti in transenna e di valore direttamente proporzionale alla resistenza del lucchetto con cui assicurerai la tua tenda: l’ideale è una Lomo, da usare esclusivamente secondo la sua poetica del “non pensare, scatta!”

La vacanza da ricordare

Oltre che di luoghi, colori ed incontri, un bel viaggio si compone anche di tanti piccoli momenti da ricordare per sempre: il miglior modo per immortalarli è una fotocamera istantanea! Dalla classica Polaroid quadrata alle stampe rettangolari della sua “nipotina” prodotta dalla Fujifilm, quello che ottieni scattando un’istantanea non è solo un’immagine ma un vero e proprio oggetto, unico e prezioso – e sta anche molto bene su Instagram!

La vacanza in fondo al mar

Quest’estate vai al mare? Avrai l’occasione di fare un tuffo in piscina? Perché non provare a scattare qualche foto sott’acqua! Ci sono tanti modi per farlo, custodie per fotocamere e per smartphone, ma se non vuoi correre il rischio di annegare il tuo dispositivo esiste un’alternativa economica e divertente: un’usa e getta subacquea! Si trovano con facilità nei negozi e online: portala con te a fare il bagno, scatta e fai stampare le tue fotografie per vedere come vieni sott’acqua!

La vacanza estrema

Se alle vacanze da pennichella spalmati sotto il sole preferisci l’adrenalina di uno sport estremo, la soluzione per le tue fotografie è una sola: armati di tavola da surf, mountain bike o snowboard e porta con te una Gopro per immortalare le tue imprese estive!

Attività estive a portata di gadget

È arrivata l’estate e con lei una sortita di oggetti dall’utilizzazione per lo più sporadica, creati non per soddisfare una reale esigenza ma che incuriosiscono per la loro esclusività, che spesso non vale il prezzo sborsato per ottenerla. A volte geniali, semplici idee che risolvono piccole scomodità dei viaggiatori o che permettono di usufruire del tempo in maniera simpatica ed alternativa; altre volte accattivanti pensate la cui utilità è quantomeno discutibile; altre ancora oggetti più complessi che inaugurano nuovi passatempi. In una sorta di climax, Pequod ve ne propone alcuni.

Per gli appassionati dell’aria salmastra una buona postazione ombrellone principia con la scelta del telo da spiaggia. Sandless Beach Mat, in poliuretano, filtra i depositi sulla sua superficie ed evita che fastidiosi granelli di sabbia si appiccichino al corpo. Ancorabile a terra grazie agli anelli posti agli angoli, il ‘telo magico’ cattura anche l’umidità garantendo sempre una pratica postazione asciutta dove sdraiarsi. Per nascondere i propri effetti personali dai ladruncoli della spiaggia, invece, la categoria del diversion safe è vastissima. Tra i più gettonati il finto flacone di crema solare e gli infradito con uno vano all’interno della suola dove infilare soldi e documenti. Se volete godervi in totale sicurezza il vostro bagno però niente è più sicuro della Beach Vault, cassaforte da avvitare nella sabbia e nascondere sotto telo e cuscino già in dotazione.

Avendo a disposizione un bel mare per lo snorkeling imperdibile è Easybreath, la maschera che annulla la difficoltà di respirare sott’acqua con il boccaglio e che grazie all’utilizzo di un doppio flusso d’aria elimina la condensa e il conseguente appannamento, permettendo una visione subacquea a 180 gradi.

Se amate i tesori nascosti e volete rendere più fruttuose le vostre passeggiate lungo il bagnasciuga potete procurarvi un sobrio metal detector integrato nell’infradito. È infatti disponibile sul mercato questa calzatura con la quale scandagliare il terreno alla ricerca di oggetti metallici. Una fascia al polpaccio ospita la batteria e mentre camminate vibrerà allorché vengano rilevati possibili valori sepolti.

Valigie colorabili per intrattenere i bambini, giacche-valigie, valigie telecomandabili, borse-fasciatoio, trolley monopattino, zaini con pannelli solari per tenere sempre ricaricati i dispositivi elettronici. I modi di trasportare il nostro vestiario continuano ad espandersi. Per le persone molto organizzate o per quelle che percorrono diversi chilometri in pochi giorni, imperdibile è Shelfpack. La valigia che si trasforma in un armadio da viaggio e grazie ai suoi ripiani estraibili evita di fare e disfare i bagagli tra una meta e la successiva.

Se siete dei pellegrini o semplicemente tipi avventurosi da zaino in spalla, saprete quanto è importante adottare piccoli stratagemmi per risparmiare spazio e alleggerire il carico sulle vostre spalle. Gli slip usa e getta possono essere provvidenziali in tal caso. Ma al viaggiatore itinerante potrebbe esser utile sapere anche dell’esistenza di calze impermeabili, cappelli in grado di incamerare acqua e mantenere la testa al fresco, posate montabili su penne bic, semplici tracolle segnalibro per avere la propria guida sempre a portata di mano, sulla pagina utile e senza ingombro nelle mani.

Tra le idee più di tendenza impossibile dimenticare la Banana Sleeping Bag. Facile da usare, si gonfia in pochi secondi semplicemente facendo entrare l’aria esterna, senza pompe. Una volta aperta otterrete un materassino per uno o un divanetto per tre persone. Ovunque andiate potrete improvvisare un comodo piano su cui adagiarvi e rilassarvi. Grazie alla scelta dei materiali, inoltre, può essere utilizzato anche in acqua come galleggiante.

Avreste mai pensato infine di pedalare sull’acqua? Laghi, fiumi e canali sono ora percorribili in bici grazie alla Shuttle Bike. Sistema che permette di agganciare la vostra bici a dei galleggianti per un’escursione fuori dal comune. Trovate il vostro ritmo e pedalate placidamente sulle acque.

La cosa più cool che vi proponiamo? La barchetta di Pequod da immortalare nelle vostre foto!

Mind The Gum: il chewingum che può cambiarti la vita

La storia di oggi non è solo la storia di un’idea nuova, ma di come un’idea possa cambiare radicalmente la vita di una persona. La storia di oggi parla di come un chewingum possa essere molto di più che una semplice gomma da masticare.

Giorgio Pautrie, classe 1989, è un ex studente della Bocconi. Un ragazzo alto e di corporatura forte e muscolosa. E’ lui stesso a dirmi che praticava arti marziali e full contact prima di quell’incidente. Si, perché questa storia inizia con un terribile incidente stradale: nel 2010 Giorgio viene travolto da una vettura a 180km/h mentre si trova in macchina fermo ad un casello. Portato in ospedale i medici si rendono conto che il suo osso del collo è rotto, spezzato a metà. Giorgio fa parte di quell’1% delle persone che, coinvolte in un episodio del genere, non solo rimangono in vita ma evitano la carrozzina a rotelle o lo stato vegetativo.

All’epoca dell’incidente Giorgio stava frequentando la facoltà di economia in Bocconi e sebbene sia uscito dall’incidente miracolato, sono stati per lui inevitabili due anni di dura ed estenuante riabilitazione che lo hanno costretto lontano dai libri e da ogni altra attività.

Carlo Dossi, scrittore vissuto nella seconda metà dell’800 asseriva che “L’ingegno è fatto per un terzo d’istinto un terzo di memoria e l’ultimo terzo di volontà”. E’ questo il momento in cui Giorgio ha incanalato le dure circostanze della vita su una strada che l’avrebbe portato a risollevare la sua carriera universitaria e non solo.

Con due anni di lontananza dai libri non era facile rimettersi a studiare. Giorgio inizia così ad avvalersi di numerosi integratori che lo potessero aiutare a concentrarsi. Il risultato però è pessimo: i frutti del lavoro sono scarsi, senza considerare le ingenti somme di denaro che Giorgio lasciava in farmacia ogni volta e gli effetti sulla salute dati dalla miscuglio di prodotti da lui assunti quotidianamente. E’ a questo punto che entra in gioco una pedina fondamentale della storia.  Il padre era amico del proprietario di farmacia Legnani che si prende a cuore la situazione e propone di realizzare un prodotto ad hoc per Giorgio in modo da controllare bene anche quello che lui avrebbe assunto.

Nasce così un ibrido costituito da un chewingum e una piccola fiala con un liquido che Giorgio assumeva tre volte al giorno. La differenza è netta. Inizia a ricarburare con lo studio: l’integratore assunto gli garantisce maggiore concentrazione, la volontà e la tenacia fanno il resto. Giorgio riesce a dare 24 esami e a consegnare la tesi in un solo anno.

A questo punto la storia potrebbe terminare. Un ragazzo miracolato, un prodotto creato ad hoc che, assieme alla tenacia del giovane, gli ha permesso di rilanciarsi con successo nell’università, vincendo la sfida che la vita gli aveva messo davanti. Ma è proprio qui che la circostanza si trasforma e va oltre la tragedia personale. E’ qui che nasce Mind the gum

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La sintesi è l’arte della complessità diceva qualcuno e l’idea di Giorgio sembra esserne l’esempio più valido. Il prodotto viene sintetizzato sotto forma unicamente di chewuingum, non solo per renderne più facile l’assunzione ma anche per migliorarne l’efficacia: studi hanno dimostrato che masticare aumenta la capacità di concentrazione e permette un più rapido assorbimento delle componenti attive.

Il chewuingum è costituito da 15 componenti attive fra le quali la caffeina, la teanina, il gin seng, più del doppio rispetto a quelle usate in qualsiasi altro integratore, che favoriscono la capacità di memorizzazione mentre il sapore di menta favorisce la concentrazione e il calcolo.

Mind the Gum non è però un prodotto fantascientifico. Alcune componenti del chewingum fanno da controspinta alla caffeina che altrimenti altererebbe le onde alfa, necessarie nelle fasi di studio, garantendo maggiore concentrazione ma anche uno stato di rilassamento ed equilibrio. Inoltre, per ferma volontà di Giorgio il prodotto è categoricamente naturale. Senza additivi chimici che ne conferiscano un gusto particolare e senza zucchero.

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Ben presto quella che era stata la chiave risolutrice che aveva permesso a Giorgio di risollevare la sua carriera universitaria diventa qualcosa di più. L’idea è quella di farne un prodotto che possa aiutare le persone nelle loro attività, dal lavoro allo studio, aumentando la loro capacità di concentrazione. L’idea è quella di creare l’unico integratore esistente in forma di chewuingum e immetterlo sul mercato.

Dopo aver fatto provare il chewuingum ai compagni di corso e riscontrato un discreto successo, Giorgio elabora la sua tesi di laurea lavorando con farmacia Legnani per realizzare un’indagine di mercato fra gli studenti: Il risultato è notevole. Giorgio, suo fratello e farmacia Legnani partecipano, dopo aver realizzato un business plan, al bando della Bocconi Speed Me up, vincendolo. Le componenti si assemblano. Arrivano gli investitori, farmacia Legnani continua a lavorare sul prodotto perfezionandone le componenti e la Bocconi dà loro un ufficio all’interno dell’Università. Mind the gum viene lanciato sul mercato il 9 Dicembre 2015. La vendita ha come principali destinatari studenti universitari ma la richiesta aumenta progressivamente anche nel mondo del lavoro. Mind the Gum viene distribuito nei bar e nelle farmacia. Oltre alla distribuzione online, attualmente il prodotto ha 250 punti vendita in 11 città italiane.

La start up di Giorgio, la sua idea, il prodotto stesso sono un simbolo. Quel chewingum che ci permette di studiare una pagina in più, rimanere sui libri un’ora in più, essere più sul pezzo a lavoro e risolvere questi piccoli grandi drammi quotidiani, è stato ed è per Giorgio l’emblema di come risolvere, superare e trasformare grandi drammi del passato, in incredibili realtà presenti.

L’Everest nello zaino

Non ho mai sognato l’abito bianco, sapete. Nonostante abbia accolto la proposta di matrimonio del mio compagno con una sincera esplosione di gioia, ammetto di esser stata una sposina davvero pigra e reticente per quanto riguarda l’organizzazione del ricevimento. Ho però investito una notevole mole di tempo nella pianificazione del tanto desiderato regalo di nozze: un viaggio alle pendici del tetto del mondo, l’Everest Base Camp.

In quanto figlia di un fornaio alpinista, cresciuta sotto le Orobie e zompettante in montagna sin dall’età di tre anni, ho sempre visto il Sagarmatha come un’esperienza da vivere, come un universo da esplorare, per diventare io stessa protagonista di quei libri d’avventura che divoro da quando ho imparato a leggere. Quello sull’Everest BC sarà il mio primo trekking extraeuropeo; questo articolo non vuole assolutamente essere esaustivo né tantomeno tecnico: lascerei agli esperti i consigli riguardanti l’abbigliamento specifico, la pianificazione del percorso o le norme e i permessi necessari per intraprendere questo viaggio. Ciò che segue, ossia il contenuto dello zaino che trascinerò in Nepal, è piuttosto l’insieme di oggetti, sogni e aspettative di una neofita che sta per affrontare il viaggio della sua vita.

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Cosa non deve mancare nello zaino di un trekker che decide di affrontare l’Everest BC:

  • tanti kilometri nelle gambe

Nonostante l’Everest BC non sia un trekking particolarmente difficile o con tratti molto tecnici, l’altitudine è notevole e se siete appassionati di “divaning”, forse è il caso di valutare qualche escursione “d’allenamento”.  Non vorrei infrangere i sogni di nessuno, ma difficilmente quindici giorni di cammino ansimante a oltre 4000mt trasformano Homer Simpson in Simone Moro.

Nel mio caso, ho intensificato le uscite in montagna, a dire il vero già piuttosto frequenti, dedicando alle salite anche le mie ferie estive. In questo modo, giorno dopo giorno, sto trasformandomi in un centauro: se dalla vita in su sembro una sposina, sotto esibisco due polpacci ipertrofici che neanche Cristiano Ronaldo!

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Ho elaborato questo articolo mentre sgambettavo contenta giù per il sentiero che porta alla Croce di Pizallo in Valassina. Questa valletta, spesso non considerata, è vicinissima a Milano ed è piena di percorsi suggestivi tra pascoli e boschi di castagno, adatti a tutti e perfetti per “farsi le gambe” approcciando qualche salita. [ph. inalto.org]
  • gli scarponi

Partire per un trekking impegnativo con gli scarponi nuovi significa disintegrarsi i piedi e far sorridere Charles Darwin.

Partire per un trekking impegnativo con gli scarponi del vostro numero esatto, senza nessuno spazio supplementare, significa disintegrarsi i piedi, perdere le unghie e far sorridere Charles Darwin.

Partire per un trekking impegnativo con gli scarponi primo prezzo significa rimanere a piedi scalzi in mezzo al nulla e far sorridere Charles Darwin.

In qualsiasi negozio specializzato troverete decine di scarponi di ogni marca e modello e commessi competenti pronti a consigliarvi. Sul percorso verso il campo base non ci sono ferrate, quindi possono bastare dei classici backpacker boots, purché impermeabili, COMODI e robusti. Anziché intossicarvi di inutili recensioni sul web, provatene a decine e fate scegliere al vostro piede, stressando qualche commesso ma lasciando in pace il buon Charles Darwin.

  • il rispetto per chi ci ospita

Se noi occidentali possiamo permetterci di folleggiare sull’Himalaya o piantare la nostra bandierina sul tetto del mondo è grazie agli Sherpa, i veri Proletari della Montagna. Per questa povera gente, umile, mite e lavoratrice, i pochi dollari guadagnati come porters possono garantire uno spiraglio nella miseria, un corso di studi per un figlio o le cure mediche per un familiare anziano… Un futuro migliore, insomma, così difficile da raggiungere se nasci nella valle del Khumbu!

Il termine corretto sarebbe “bharya”, portatori; “Sherpa” identifica soltanto l’etnia proveniente da est, mentre questo difficile lavoro è svolto da una multicolore varietà di popolazioni, spesso provenienti dalle zone più povere del paese. E’ grazie a loro se possiamo dormire comodamente nei caldi lodges lungo il percorso, se possiamo bere sempre acqua in bottiglia, camminare agili con le spalle libere o glorificare il nostro orgoglio nazionale piantando la bandierina sul cucuzzolo, dopo aver scalato grazie a corde, chiodi e scale precedentemente piantati da nepalesi coraggiosi.

Camminare verso il Campo Base con una guida e un porter, non solo vi garantirà un trekking tranquillo e sicuro, vi svelerà i mille segreti di questa terra fantastica, raccontati in prima persona da chi ci è nato e la ritiene sacra, ma vi permetterà anche di sostenere concretamente le microeconomie locali, provate tra l’altro dal grave terremoto del 2015.

Siate quindi cortesi, gentili e rispettosi con coloro che vi ospiteranno. Vi capiterà di vedere porters carichi all’inverosimile, con decine di materassi o porte o bombole legate sulla schiena, con un paio di infradito ai piedi lungo sentieri scoscesi… Ricordatevi di cedere SEMPRE il passo!

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Sherpa o portatore [ph. Aaron Huey, The Return]
  • un buono zaino

Non risparmiate sullo zaino! Scegliete piuttosto un buon modello resistente e non eccessivamente grande, sia per rispetto delle spalle nepalesi, sia perché a 4000mt nessuno baderà al vostro outfit. Se partite in gruppo, pensate alla possibilità di condivisione dell’attrezzatura, quando possibile, dividendo il peso equamente. Nella quasi totalità dei casi, grazie alla mitezza e al buon carattere dei nepalesi, tra guida, porter e trekker si crea un bellissimo rapporto, continuo nel tempo. Ragionamenti come “chissenefrega dello zaino, tanto lo porta lo sherpa e lui è abituato vi creeranno (almeno si spera) dei sinceri e meritatissimi sensi di colpa.

  • letteratura

Un e-reader, leggero, pratico e facilmente ricaricabile, può essere un buon compagno durante le fredde notti nei lodges (magari insonni: l’altitudine fa questi scherzi!); sconsiglierei invece di riempire il vostro zaino di volumi. Piuttosto, potrete coltivare la vostra smania di Ottomila con un allenamento perfettamente gestibile anche in orizzontale, leggendo le decine di libri dedicate all’argomento e agli eroici alpinisti che hanno sfidato La Montagna. “Aria Sottile” di Krakauer, la biografia di Scott Fisher “Mountain Madness”, “Everest 1996” di Bukreev, “Il Mio Mondo Verticale” di Kukuczka, “La Seconda Morte di Mallory” di Messner, la biografia di Walter Bonatti sono solo alcuni dei testi che potrebbero appassionarvi.

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“Chi più in alto sale, più lontano vede. Chi più lontano vede, più a lungo sogna” Walter Bonatti
  • nozioni di microbiologia

A una conferenza sentii un tale sostenere al 100% la bontà microbiologica di ogni torrente sull’Himalaya, poiché “altissimo e purissimo”. Se il vostro scopo, sempre come sopra, è quello di far sorridere il buon Darwin, ristoratevi pure nelle chiare fresche e dolci acque nepalesi, dentro le quali, magari solo qualche metro a monte di voi, ha appena cagato uno yak. In ogni caso, essendo il trekking ben attrezzato, è sempre possibile trovare acqua in bottiglia.

  • spirito di adattamento

Una passeggiata verso l’Everest BC non è esattamente come il lungomare di Bibione. Spesso vi troverete a dormire in gruppo dentro il camerone di un lodge affollato. Un paio di tappi potrà difendervi dal sempiterno vicino russatore. Prendete questa esperienza così come viene, con positività, ben sapendo che difficilmente vi ricapiterà di entrare in contatto con così tante vite e storie diverse, in un bailamme umano colorato e notevole, sotto il tetto del mondo.

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Libri in valigia: i 10 (e più) consigli di Pequod

La redazione di Pequod si appresta ad andare in vacanza! Che ci attendano i fiordi della Norvegia o le spiagge senegalesi, i fiumi balcanici o le montagne del Tibet, il principale argomento di discussione è un piacere per noi irrinunciabile con cui riempire i momenti d’ozio: quali libri portare in viaggio?

Chi ha già scelto come riempire la valigia, chi suggerisce perle irrinunciabili; ecco alcuni dei consigli che si scambiano tra le sezioni di Pequod.

Aperta la caccia al libro-inchiesta dell’estate tra i redattori di Attualità! Da sempre attenti ai nuovi risvolti della questione mafiosa, la curiosità dei nostri giornalisti è stata solleticata da Contro l’antimafia di Giacomo di Girolamo (Il Saggiatore). L’autore si rivolge in una lettera aperta a uno dei più potenti boss di Cosa Nostra per riflettere sull’efficacia dei sistemi di lotta alle mafie; creando un confronto a specchio tra la realtà mafiosa e l’antimafia, di Girolamo conclude con l’evidente fallimento di quest’ultima e l’impellente necessità di un suo rinnovarsi.

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Chi ancora non l’ha letto, corra invece a procurarsi Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi di Eva Giovannini (Marsilio Editore)! La giovane giornalista e reporter italiana analizza in quest’opera i movimenti populisti, identitari e xenofobi che stanno progressivamente entrando nei parlamenti e nei governi europei, spostandosi in un viaggio attraverso sei Paesi: la Francia di Marine Le Pen, il Regno Unito di Nigel Farange, la Germania di Pegida, la Grecia di Alba Dorata, l’Ungheria dello Jobbik e infine l’Italia della Lega Nord e di Salvini.

La redazione della sezione Internazionale ha lo sguardo sempre rivolto a Est…

Se volete rinfrescare le menti immergendovi nei paesaggi russi, leggete Nikolai Leskov, un racconto qualsiasi: vi verrà voglia di montare in carrozza e sfrecciare nella campagna, per fermarvi solo la sera a bere una zuppa calda in una locanda. Viktor Pelevin racconta invece la Russia di oggi in modo dissacrante, spietato e talvolta onirico. Se leggerete Babylon poi vorrete vedere anche il film tratto del romanzo. Per farvi rapire e lasciarvi anche un po’ sconvolti, sicuramente il consiglio è Dialettica di un periodo di transizione dal nulla al niente (Mondadori).

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Oltrepassata la Siberia, se volete scoprire la Cina, lettura obbligata è Brothers di Yu Hua (Feltrinelli): attraverso gli occhi innocenti di due fratelli che crescono nella Cina maoista degli anni ’60, si raccontano le follie della Rivoluzione Culturale; la vicenda è drammatica ma narrata con una leggerezza fredda che spiazza il lettore e lo costringe a proseguire, pagina dopo pagina. Un romanzo che travolge e risucchia in un mondo in cui l’orrore coesiste con il grottesco e il dolore più profondo si alterna a risate sguaiate, che lasciano l’amaro in bocca.

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Se siete appassionati di biografie, i redattori della sezione Cultura hanno consigli per tutti i gusti!

La meravigliosa vita di Jovica Jovic di Moni Ovadia e Marco Rovelli (Feltrinelli) è un intreccio di storie: quella del fisarmonicista Jovica Jovic, della sua famiglia e del popolo rom, con i suoi misteri, le sue ambiguità, il suo misticismo. Dalle avventure rocambolesche di Jovica bambino alla sua vita da musicista in Europa, parte lo spunto per percorrere la storia del Novecento del popolo rom, dalle deportazioni della Seconda Guerra Mondiale agli stereotipi di oggi.

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Per immergervi nei misteri dell’arte, non perdetevi L’uomo che veniva da Messina di Silvana La Spina: la storia romanzata di Antonello da Messina, raccontata dal pittore sul letto di morte a maestro Colantonio. Attraverso i suoi viaggi, incontri e quadri vengono ricostruite le ossessioni e le ambizioni di questo pittore, di come abbia raggiunto il segreto fiammingo della pittura a olio, dell’amore per la figlia bastarda di Van Eyck, di come sia divenuto immortale con la sua opera.

Imperdibile per gli estimatori dei lavori di Fellini è Il libro dei sogni (Mondadori), ossia il diario che raccoglie i sogni fatti dal regista dalla fine degli anni Sessanta fino all’agosto 1990. Impossibile descriverlo… È una vera e propria immersione nel mondo onirico di uno straordinario artista!

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Quale miglior modo di viaggiare che leggere un libro? La sezione Viaggi quest’estate consiglia di farsi coinvolgere in nuovi modi di spostarsi, o meglio di posare lo sguardo. Paolo Rumiz, instancabile viaggiatore e reporter, ne Il ciclope (Feltrinelli) fa esattamente questo: trascorre quasi un mese sul faro di un’isola, riscoprendo il rapporto con il viaggio e la staticità, soprattutto con la semplicità e la solitudine.

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Impossibile resistere alla tentazione di fare spazio in valigia anche a viaggi straordinari. Da leggere è il romanzo di Jørn Riel, Safari Artico (Iperborea), che racconta le avventure del diciannovenne Anton lungo la costa nordorientale della Groenlandia. Il racconto si articola attraverso gli incontri fatti dal ragazzo, partito con l’obiettivo di diventare un cacciatore artico, in questa realtà bizzarra e lontana eppure intrinseca di tutti gli umori e le bizze di un piccolo paesino italiano. Dal tatuatore Joensen all’impavido gallo Alexander, passando per l’impassibile e britannica Lady Herta, una raccolta di storie ricca di humour, semplicità e poesia.

Anche i redattori di Nuove Premesse, pur impegnati da un’agenda estiva alla ricerca di festival ed eventi per scovare le novità emergenti, tengono gli occhi aperti sulle nuove frontiere della letteratura. In vacanza si portano Frammenti, l’ultimo numero di Orfani (Sergio Bonelli Editore), la serie fantascientifica a fumetti di Roberto Recchioni ed Emiliano Mammuccari, iniziata nell’ottobre 2013. Siamo alla terza stagione (titolata Orfani: Nuovo Mondo) della saga che racconta di disastri nucleari, guerre intergalattiche, eserciti di orfani, storie d’amore e incidenti interstellari… Come tutte le saghe, una volta iniziata non potrete non arrivare alla fine!

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Nuovissima uscita in italiano nel mondo dei fumetti è Lady Killer di Joelle Jones e Jamies S. Rich (Panini Comics): la graphic novel che racconta le due facce di un’irreprensibile casalinga e assassina part-time. Ideale se vi piace farvi trasportare nell’America degli anni Sessanta e sorridere dell’umana ipocrisia.

I nostri fotoreporter ascoltano e annotano; i consigli di lettura per loro si accumulano sul comodino e rimandano all’autunno: estate è tempo di partire alla ricerca di nuove immagini da fotografare e in valigia lo spazio è tutto per gli obiettivi!

Are you travelling this summer? Take a phrasebook with you!

Here we are! Holidays have finally come close and we are getting ready to travel. Most of us will choose to discover new countries and cultures this summer, which will bring the inevitable challenge of being immersed in a different language. So what can we do to communicate with locals in our chosen destination? Don’t worry, there are plenty of ways to make yourself understood other than hand gestures!

Visiting a city where you have friends is an optimal solution, but not everyone has this fortune, and some prefer to explore the world on their own. If this resonates with you, then a good phrasebook is the best way to approach other populations and immerse yourself in their lifestyles. When I was packing for my Erasmus in Bucharest, my friend Martina gave me a little handmade notebook where she had written some useful phrases in Romanian. While Erasmus was established with the purpose of enhancing relationships across Europeans, with the view of making them citizens of the world, Martina’s little guide was more focused on expressions that made for a sociable approach. Imi place băietii intoversi (I like shy boys) was among the most important ones.

Every country has its own history, imbued with specific social rules and cultural conventions. Consequently, tourism also takes different shapes in different destinations, depending on the socio-political situation of the country visited. Walking across the shelves of a library in Bergamo, I made my way to the guidebook section and started my journey with its phrasebooks. Page after page, I felt like I was getting further away from Europe to discover new continents. Here are five examples taken from the phrasebooks I found in the Lonely Planet guides.

Gran Bazaar in Istanbul.
Gran Bazaar in Istanbul.

Merhaba, Turkey!

After the attempted coup on 15th July 2016, visiting Turkey is not the safest option. Speaking at the Ataturk Airport in Istanbul, President Recep Tayyip Erdogan said that those responsible for the golpe would «pay a heavy price for their treason to Turkey». Forgive me if I move off topic, but I can’t stress enough the irony of Erdogan, the hardest censor of social networks in Turkey, resorting to FaceTime to communicate to the country during the coup.

But let’s get back to business: since long before this happened, and second only to kebabs, bazaars have been the most iconic attractions in Turkey, a country characterised by a long and strong tradition of trade. Visitors of this amazing country should familiarise themselves with the correct expressions to use with Turkish merchants:

BAKABILIR MIYIM? Can I look?

SADECE BAKIYORUM I am just looking

KALETESI IYI DEĞIL The quality is not good

NE KADAR? How much does it cost?

You are in Kenya: Karibu!

During my trip through the guidebooks, I can’t resist a stop in Africa. The Yale University’s website is a good source of information about African idioms, in particular Swahili pronunciation. It is considered very rude in Kenya to ask information before saying hello, so if you need directions or advice, you have to remember to start the conversation with:

JAMBO or SALAMA Hello

SHIKAMOO If the person you are speaking to is older than you

Lots of tourists visit Kenya for its incredible nature: here you can observe pachyderms at Mwaluganje Elephant Sanctuary, giraffes at the Meru National Park, and catch sight of leopards at Lake Nakuru National Park at dawn. In order to avoid missing out on the specimen, make sure you memorise these phrases:

TAZAME PALE Look there!

HUYO NI MNYAMA GANI? What animal is that?

USIGUSE SENGENI Electric enclosure

ANGALIA! Attention!

If you are not patient enough to commit these expressions to memory, never mind: the second official language in Kenya is English.

Mexico City
Mexico City

¡Salud! Mexico

After flying over the Atlantic Ocean, I finally landed among photographs of the endless beaches of Mexico and the extraordinary hospitality of its people. Immediately, I started leafing through the pages of the Mexican phrasebook, losing myself in the long list of expressions used to talk about food and drinks. Here is an interesting tip about Mexican slang. During your travel across the country, you will almost certainly encounter one or more of the following expressions, especially in Mexico City:

FREGÓN! Cool!

ERES MUY BUENA ONDA You are very cool/nice

TIRAR LA ONDA Flirting

SIMÓN Yep

¡GUÁCATELAS! Rude!

¡¿CHALE?! No way!

CARNAL Bro

LA TIRA The Police; LA CHOTA Mexico City Police.

“Let’s get in the right mood!”

The variety of Caribbean languages

The Caribbean one is a perfect example of a phrasebook that accurately reflects the history of a country. The linguistic panorama of the region is very rich and shows the huge variety of peoples that lived here during the century. Unfortunately there are no traces left of Indigenous idioms, a result of colonialism. The main languages spoken in the Caribbean are French, English, Spanish, Dutch and Portuguese. These languages are not exactly as spoken in the countries they initially originated from, but are characterised by plenty of words and expressions that show the linguistic influences of Western African idioms. European languages, Creole, patois, pidgin and local accents make up the mixture of languages spoken in the Caribbean, and each island has its particular mixture.

The Caribbean phrasebook focuses on different pronunciations of European languages. Caribbean French for example lost its natural melody and its inflection is now straight, while Caribbean English has some rules and lots of exceptions. In Haiti, one of the most desired destination in the area, the prevalent language is Haitian Creole:

NA WÈ PITA See you later

SILVOUPLE Please

ESKE OU KA PALE ANGLE? Do you speak English?

M PA KONPRANN I don’t understand

M PÈDI I am lost

The last journey: Tibet

The official languages of Tibet are Tibetan and Mandarin. From a linguistic point of view, Tibetan and Chinese do not have much in common. For example, sentence structure is completely different between the two languages, and they use different writing characters.

Tibetan is spoken by six million people in the world, not only within the country’s national borders but also by Tibetan communities in Nepal, India, Bhutan and Pakistan. The dialect spoken in Lhasa City is considered the standard form of Tibetan. Many Tibetan sounds are close to Italian ones, so our Italian readers should be able to communicate without problems if they rely on the transcription below:

བཀྲ་ཤིས་བདེ་ལེགས ta•shi de•lek Hello!*

kay•râng ku•su How are you?

ཐུགས་རྗེ་ཆེ། tu•jay•chay Thank you

དགོངས་དག gong•da I am sorry

*The expression བཀྲ་ཤིས་བདེ་ལེགས། actually means “Good fortune”, even if it isn’t a real equivalent of hello, it is commonly used as a greeting.

Finally, some Tibetan expressions for lovers of trekking:

nga lâm•gyü chay•khen•chig gö I need a guide

doh•ya•gi lâm•ga ka•gi•ray What’s the way to…?

bga lâ•du na•gi I have mountain sickness

བྱང། châng North

ལྷོ lho South

ཤར་ shâr East

ནུབ noob West

Cover Photo: Tibet by Dennis Jarvin (CCA-SA 2.0 Commons Wikimedia)

Vacanze: di passaporti, visti e altre fatiche

Se Formentera non vi appassiona, se al privé del Papete preferite un giro all’Hermitage di San Pietroburgo, o magari avete risparmiato per un intero anno fino all’ultimo centesimo solo per poter andare a visitare gli Stati Uniti e vedere che effetto fa visitarli prima che vengano devastati dal tycoon dalla chioma giallo ocra di New York, se avete in mente queste ed altre idee per le vacanze estive o per futuri viaggi, ecco allora qualche consiglio che può tornarvi utile in materia di visti e altre faccende burocratiche.

Anzitutto è d’obbligo una premessa: le caratteristiche, la durata e le eventuali restrizioni di un visto turistico variano da Paese a Paese e non necessariamente se ne ha bisogno se lo Stato in cui trascorreremo le vacanze non si trova nell’area Schengen. Anzi, i paesi extra-europei in cui non è necessario disporre di un visto sono molti di più di quanto non si possa pensare. Per esempio, per visitare il Giappone per un periodo che non vada oltre i 90 giorni serve soltanto un passaporto in corso di validità. Lo stesso vale per la Corea del Sud. Se poi volete andare a visitare i Balcani, molti paesi della zona vi faranno passare la frontiera semplicemente esibendo la vostra carta d’identità. Si può fare a meno del visto anche per far visita ai principali Paesi del Sud America: in Argentina, Cile, Brasile o Perù per soggiorni non superiori ai tre mesi è possibile accedere con il solo passaporto.

Dopo questa lunga ma doverosa premessa, torniamo al punto di partenza. Dicevamo di USA e Russia. Ecco quindi qualche consiglio pratico e molto utile se avete in mente di visitare questi due Paesi.

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Stati Uniti

Per chi avesse in programma una vacanza negli States, è bene sapere che l’Italia aderisce al Visa Waiver Program, che consente ai cittadini di recarsi in vacanza (o per affari) nel paese a stelle e strisce per non più di novanta giorni senza necessità del visto. Naturalmente bisogna già essere in possesso di un biglietto di ritorno.

Per il resto, basterà essere possessori del passaporto elettronico e dell’ESTA (Eletronic System for Travel Authorization).

Passaporto elettronico

Il documento di viaggio che dal 2006 viene emesso con un chip contenente i nostri dati biometrici (cioè tutte le nostre caratteristiche fisiche e biologiche: dalle impronte digitali alla forma dell’iride o dell’orecchio). Dal momento che, appunto, viene emesso dal 2006 e che la validità di un passaporto è di dieci anni, quasi tutti ne sono ormai in possesso.

Modulo ESTA

Date tutte le premesse burocratiche di cui sopra, occorre infine richiedere e ottenere questa speciale autorizzazione. Ricordiamo che, come ci informa il sito dell’ambasciata, quest’ultima “non garantisce al viaggiatore l’ingresso negli Stati Uniti all’arrivo al porto di entrata. L’approvazione ESTA autorizza soltanto il viaggiatore a salire a bordo del mezzo di trasporto in rotta per gli Stati Uniti, nell’ambito del Programma Viaggio senza Visto.” Il procedimento è abbastanza semplice, basterà collegarsi al link https://esta.cbp.dhs.gov/ e compilare il modulo, il tutto alla modica cifra di 14$. La richiesta si può effettuare fino a 3 giorni prima della partenza anche se l’ambasciata consiglia di inoltrare la richiesta non appena vi sarà possibile. Il documento ha validità di 2 anni e consente ingressi multipli nel Paese, salvo, nel caso in cui cambiassero, modificare i dati riportati.

Ad ogni modo, per essere certi di non aver lasciato nulla al caso, vi consigliamo di visitare il sito dell’ambasciata americana nella sezione dedicata al Visa Waiver Program.

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Russia

Se il vostro sogno è sempre stato quello di andare a visitare la cattedrale di San Basilio e la Piazza Rossa, o se il Cremlino, nonostante tutto, ancora vi affascina, vi servirà di sicuro un visto. Bene, sappiate fin da subito che il viaggio nella terra di Gorbaciov e Dostoevskij deve essere programmato nel dettaglio e già prima di partire dovete sapere con esattezza quali città visiterete, in quali luoghi alloggerete e per quanto tempo.

Per poter ottenere il visto turistico avrete infatti bisogno della copia di accettazione da parte dell’agenzia o della struttura che vi ospita. Tale documento conterrà i dati indicati sul vostro passaporto insieme alle date di arrivo e rientro. Dovranno inoltre essere indicate tutte le città che visiterete.

Assicuratevi che sul documento ci siano il nome e il timbro dell’albergo e la firma di un responsabile del Tour Operator. Tutti gli alberghi, infatti, sono registrati presso il Ministero degli Affari Esteri.

Controllate la data di scadenza del vostro passaporto e fate attenzione che non scada entro i sei mesi successivi alla data in cui avete richiesto il visto. Se siete dei viaggiatori incalliti e avete il passaporto pieno, ricordatevi che dovete lasciare disponibili almeno due pagine libere.

Detto questo potete passare alla fase 2 o 3, come preferite chiamarla, ovvero compilare il modulo elettronico, stamparlo e firmarlo e poi compilare un modulo consolare – oltre a fornire la classica foto tessera. E’ poi obbligatorio essere in possesso di un’assicurazione medica valida sul territorio russo.

Se tutto va bene e se non vi siete persi d’animo solo a leggere o pensare di dover fare tutti questi passaggi, beh, allora in tal caso occorrerà aspettare una decina di giorni e con circa 70€ ve la caverete senza eccessivi problemi.

A quel punto non vi resta che preparare le valigie, mettervi comodi sull’aereo e sperare che, una volta arrivati a destinazione, non veniate inghiottiti da qualche party finendo a ballare sulle note di David Guetta o Enrique Iglesias.

 

Il Luna Park in città. Il Parco Giochi Suardi

Ogni tanto, e in maniera del tutto casuale, mio padre ricorda con un misto fra orrore e divertimento un episodio di quando ero piccina. Avrò avuto sì e no sei anni. Dopo una cena in famiglia, usciamo dal ristorante per goderci una passeggiata tra le vie di Sibari, quando a un certo punto la mia curiosità viene catturata dai suoni di un Luna Park.

Solo ora, dall’alto dei miei 27 anni, capisco come un parco divertimenti sia paragonabile allo zucchero nell’alimentazione di un bambino. In un Luna Park, tutto è zucchero. Magicamente anche le canzoncine dei vari giochi contengono saccarosio, per non parlare delle luci. In qualsiasi caso, ero in overdose e, a giudicare dai miei ricordi, anche mio padre si era preso la sua bella dose. Il problema è sorto verso le 3 di mattina, quando i vari giostrai, evidentemente contenti di aver trovato una supporter, continuavano a regalarmi giri gratuiti e a farmi prendere l’immancabile coda di volpe, sino alle fatidiche urla di mio padre: «Fateci scendere!».

Ancora oggi credo sia il suo modo di giustificare il fatto che io sia rimasta figlia unica.

Drammi familiari a parte, tutti quelli della mia generazione si ricorderanno l’estrema euforia di quando si andava alle giostre da bambini, durante le vacanze estive. Poi si cresceva, ma i giostrai continuavano ad avere un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Era il tempo delle Scuole Medie e delle prime cotte. Allora gli autoscontri erano il gentile e dolce modo di approcciare l’altro; tra uno scontro e un tamponamento, incredibile è ricordarsi come l’interesse per un ragazzo o una ragazza fosse direttamente proporzionale alla potenza dell’incidente. E poi c’era il Tagada, luogo di ritrovo e rito di passaggio all’età adulta.

Questi però sono i giostrai itineranti, di quelli che potevi sfruttare solo in certi periodi dell’anno. A Bergamo, invece, esiste un parco divertimenti fisso: Parco Giochi Suardi.

Il parco giochi si estende nel verde cittadino di Parco Suardi e ancora oggi è un punto di riferimento per tutti i bimbi bergamaschi. Per individuare il punto esatto all’interno del parco, basterà seguire i motivetti musicali di ogni piccola attrazione, accompagnati dalle urla dei bambini. All’entrata vi accoglierà un tripudio di colori e rumorose frenate dati dal circuito di autoscontri, il divertimento più quotato e ancora intrinseco di fascino ai miei occhi di adulta. Dopo essere stata per un po’ seduta a osservare i piccoli giocatori, decido di girarmi verso il treno su rotaie e rallegrarmi del suo lento procedere tra funghi, nani e fiori giganti. Prima di uscire dal parco saluto la mia vecchia conoscenza Furia, il cavallo elettronico che ha accompagnato per tanto tempo le mie magnifiche cavalcate in straordinari deserti lontani.

Ma Parco Suardi non finisce qui. Assieme al parco divertimenti, i giochi più comuni! Anche in questo caso i marchingegni di una volta sono affiancati da nuovi giocattoli, e così accanto alle altalene, le nuove reti, accanto agli scivoli, piccoli strutture d’arrampicata… Nel mio girovagare, ho cercato di catturare tutte queste sfumature, tra i miei vecchi ricordi e i nuovi divertimenti: benvenuti al Parco Giochi Suardi!

Dai videogames alla realtà: Escape Room ti mette alla prova!

Una stanza chiusa. Una squadra di giocatori chiusi nella stanza, un tempo limitato per uscirne e vincere il gioco. Escape Room è la nuova frontiera dei giochi di squadra e arriva direttamente dagli Stati Uniti. Un nuovo tipo di divertimento per cui ciò che prima veniva pensato per un videogames, ora è realtà.

Una modalità simile era già presente nel mondo dei videogiochi online: il giocatore ha una visuale in prima persona e si trova rinchiuso in una stanza che di solito rimanda ad un’atmosfera inquietante, come la cella di un carcere, l’interno di una vecchia casa, un ospedale abbandonato, ecc… L’obbiettivo è, appunto, quello di riuscire a scappare dalla stanza (in questo caso puntando il click del mouse su specifici oggetti nascosti, indispensabili per proseguire nella fuga e trovare la chiave). Uno dei primi videogiochi di questo genere venne creato nel 2001: MOTAS (Mystery Of Time And Space).

Nella realtà non virtuale, quella delle Escape Room,  a un gruppo di persone (di solito vanno da un minimo di due a un massimo di dieci) viene esposto il punto di partenza, una trama iniziale, per poi essere rinchiuso all’interno della stanza. Da qui i giocatori hanno 60 minuti per trovare la chiave seguendo e cercando gli indizi nascosti per poi finalmente liberarsi.

Per capirne di più, ho chiesto all’amica Roberta Dondoni di parlarmi della sua “fuga”. «Sono andata in una delle tante Escape Room di Milano, la Get Me Out. Lo scopo è uguale a tutte le altre attrazioni: cercare di uscire tutti quanti in meno di 60 minuti». Continua Roberta «la stanza in cui mi trovavo io si chiamava ‘’la stanza misteriosa’’  ed era allestita come un hotel in stile anni ’80. Una volta entrati parte il timer ed inizia la caccia agli indizi per cercare di uscire». Il gioco in sé è molto originale perché premia l’intelligenza e le capacità intuitive individuali.

A Get Me Out, tutte le stanze sono dotate di microfoni e telecamere per consentire al moderatore di inviare suggerimenti ed indizi garantendo così una migliore esperienza di gioco. «Alcuni piccoli enigmi che bisogna risolvere sono abbastanza semplici, altri invece sono veramente ingegnosi: alla versione a cui ho partecipato una delle tante sfide, ad esempio, consisteva nel cercare il titolo di una canzone in un libro e poi selezionarla su un jukebox solo dopo aver trovato l’apposita monetina per farlo funzionare» mi spiega Roberta.

Sicuramente un modo alternativo per giocare in compagnia: «l’esperienza è stata molto bella perché ci si immerge completamente nel gioco e soprattutto si è costretti a collaborare con i propri amici per trovare una via d’uscita. È un modo per passare una serata diversa e divertente anche perché le risate sono garantite». Un’esperienza che Roberta consiglia vivamente di provare. Questa nuova frontiera del divertimento mette alla prova l’intraprendenza, l’ingegno e soprattutto il gioco di squadra. È questa la ricetta per sperare nella vittoria!

È facile capire come l’idea alla base del gioco sia creativa ed individuale. Abituati a giocare a videogames in cui, tramite precisi comandi, facciamo compiere determinate azioni ad un avatar su uno schermo, con l’invenzione delle Escape Room, tutto ciò a cui eravamo abituati si capovolge. Gli avatar siamo noi, l’avventura è creata per noi e siamo essenziali per determinare lo svolgersi del gioco. In tutto questo contemporaneo trambusto di realtà aumentata, Escape Room potrebbe esserne una piccola e pratica anticipazione.

 

Gni dem Magicland! Andiamo a Magicland!

Le mie mattine senegalesi hanno quasi tutte la colonna sonora di una sveglia polifonica: «Tata Sara! Tonton Pisquo!», dal cortiletto appena fuori la stanza da letto, il ritmo di tanti piedini scuri saltellanti sulle piastrelle richiama gli zii arrivati dall’Europa ad abbandonare l’abbraccio del sonno e accogliere l’arrivo del giorno.

Le membra si stirano, levandosi di dosso gli ultimi strascichi di sogni, e gli arti si allungano fino alla porta, giusto lo sforzo di sfiorare la chiave e imprimerle la forza d’un giro su se stessa. I primi raggi di sole si riversano nella stanza con la stessa curiosità della fiumana di ricci e perline colorate che si portano appresso, mentre manine golose si allungano in gesti di richiesta: «Mayma tangal, s’il vous plaît! Dacci le caramelle, per favore!».

Il rito si è stabilito in pochi giorni: le mie nipotine si raccolgono con le amiche del quartiere fuori la porta della stanza, in attesa di stiracchiare gli occhietti nella concentrazione di un’equa distribuzione dei dolci portati da oltremare, con lo zucchero dolce che però fa male ai denti. Poi via di corsa verso scuola, fino alle caramelle della merenda!

La domenica però anche in Senegal è riposo; non c’è lezione e i bambini si riversano più tardi fuori casa.

Il mio primo risveglio domenicale africano è un impatto con un silenzio inaspettato; per un istante mi chiedo se nel quartiere abbiano perso la golosità e mi sento tradita dai piccoli voraci che mi aspettavo avrebbero segnalato l’arrivo del giorno! Scopro presto che è già una manciata di minuti che dondolano le loro gambette sulla panca fuori dalla porta, troppo educati per disturbare gli adulti nel giorno di ristoro. Da inguaribile e incontrollabile ingorda quale sono, decido che ci vuole un premio per tanto autocontrollo!

Rifletto sulla semplicità dei loro giochi, fatti per lo più di fantasia e piccoli gadget venduti per strada, e stabilisco che l’unico vero modo per rendere la nostra presenza un ricordo indelebile è regalare momenti speciali, così propongo una gita: «Fan ngeen bëgga dem? Dove vorreste andare?».

Un coro di bambini risponde: «Magicland!».

La più felice di partire sono forse io, non appena mi spiegano che si tratta della versione senegalese di Disneyland: la mia immaginazione si nutre dei ricordi dei parchi giochi della mia infanzia e disegna nella mente un turbinio di gioiose voci urlanti, un saltellare di vestitini in vox dai mille colori, un tintinnare di perle e conchiglie intrecciate a ricci d’ebano. Chiamiamo un taxi e infiliamo quante più bimbe ci stiano dall’unica portiera sgangherata lasciata aperta dall’autista, onde evitare fughe di clienti che non vogliono pagare; qualcuna armeggia con le cinture di sicurezza, con cui è impossibile impacchettare il fermento e l’agitazione del numero troppo alto di piccoli passeggeri.

Lungo il tragitto ci avviciniamo alla costa e sorgono i primi dubbi: quanto saranno sicure le giostre in Senegal? Come gestiranno la manutenzione, nonostante la sabbia e la salsedine? Abituata al ferro smaltato e ai giochi di fontane nei giardini di Gardaland, all’animazione dei personaggi Disney, avvolti in imbottiture improponibili sotto il sole d’Africa… Avvicinandomi all’entrata, avvolta da una nube di commercianti che propongono palloncini e molle colorate, realizzo che le mie attese saranno inevitabilmente tradite.

L’ingresso costa davvero poco: con meno di 5 euro si hanno accesso al parco e 10 ticket per le attrazioni, che vanno pagate singolarmente; mentre l’accoglienza è degna della fama del popolo senegalese, che non risparmia sorrisi smaglianti, chiacchiere e convenevoli. In coda aspettando d’esser timbrate, le bambine non riescono a trattenere l’emozione ed esplodono in gridolini di gioia non appena varcano l’arco di soglia del parco. Io chiudo le fila e la mia aspettativa è in continuo crescendo; entro, mi guardo attorno e chiedo: «Ma è aperto? Dove sono i bambini?».

Dapprima penso di esser stata imbrogliata, di aver pagato per un parco divertimenti ed esser stata portata in una città fantasma: tutto è immobile, nessuna giostra gira e nessuna luce si accende; nell’aria non risuonano musiche dalla melodia sciocca né risate di bambini; le attrazioni da lunapark sono ricoperte da una sottile patina opaca. Ci viene incontro un ragazzo dal viso gentile e, dopo interminabili saluti, chiede alle bambine da cosa vogliono iniziare: non essendoci al parco tanta affluenza come in quelli europei, ci spiega che l’elettricità (che a Dakar non è sempre garantita e in alcuni quartieri può talvolta venir sospesa per ore se non giorni) viene risparmiata attivando le giostre solo quando qualcuno ci sale; conviene molto più dare a lui uno stipendio per interrompere l’innaffiatura delle piante e dedicarsi ai clienti. Uno dopo l’altro, il ragazzo avvia i giochi che le dita delle mie nipoti indicano: dal trenino alle tazze, dalla ruota panoramica al bruco… Finché i loro occhi si posano sulle montagne russe, che a loro sono vietate per limite d’età.

«Ma per chi le fanno?» chiedo un po’ sorpresa. È vero che il prezzo è basso per un europeo, ma è tutt’altra questione in moneta locale! E le giostre per adulti sono davvero due di numero! La risposta arriva presto dalle rotaie che ci siamo appena lasciati alle spalle: quattro surfisti inglesi, evidentemente alterati dall’alcool, hanno fatto ingresso nel parco, riempiendolo di risate chiassose.

Noi ci consoliamo con una merenda dolce: ci sediamo ai tavolini del bar e ordiniamo Vimto e popcorn. Il primo è la bibita senegalese per eccellenza: spacciata per la coca-cola africana, è una bevanda dalla dolcezza tanto intensa e innaturale da portare alla mente l’idea di una caramella gommosa sciolta al sole e poi gassata. «Ottima abbinata ai popcorn salati» penseranno i più golosi tra voi. Siate ancora più ingordi!

A Dakar infatti i popcorn sono serviti cosparsi di dolcissimo zucchero a velo, che s’infila tra i denti e impiastriccia le dita. Di quello zucchero a velo è il sapore delle mie merende senegalesi: condite di un eccesso di saccarosio e di innocenti sorrisi sporchi di polvere dolciastra.

L’intrattenimento oltre l’intrattenimento: parchi cinematografici e nuovi esperimenti di realtà virtuale

Nell’epoca segnata dalla corsa all’entertainment, i parchi di divertimento sembrano fare continuamente a gara tra loro, rincorrendo nuove attrazioni e tecnologie innovative con cui stupire il pubblico, giorno dopo giorno.

Spesso figli delle major, i parchi a tema cinematografico dominano ormai una grande fetta dell’industria del divertimento. Oltre alle centinaia di attrazioni presenti in occidente, la stessa Asia dimostra ormai da anni una voglia di imporsi sul campo. La Universal, ad esempio, ha in programma di inaugurare un nuovo parco in Corea del Sud nel 2020, mentre quello già attivo di Osaka si aprirà a breve all’universo del gaming con un’intera area dedicata alle produzioni Ninendo.

Il cinema, soprattutto quello prodotto e promosso dalle grandi casi di distribuzione hollywoodiane, funziona spesso come un giro sulle montagne russe, diventato negli anni sempre più breve. Molti sono i film che, considerati unicamente nel loro essere prodotti commerciali, vengono velocemente metabolizzati per scomparire dal circuito delle grandi sale a pochi mesi dal successo planetario.

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La stessa sorte è spesso toccata alle stesse attrazioni monotematiche ospitate nei parchi di divertimento sparsi per il mondo: una volta terminato il ciclo biologico del successo di un’opera, la giostra stessa viene prontamente sostituita in quella che sembra essere una bulimica corsa al rinnovo, spesso più di facciata che tecnologico.
Questo è il caso di The Gremlins Invasion, ospitato nei Warner Brothers Movie Worlds in Australia e in Germania fino agli anni 2000: dalla proiezione al caos, con i gremlins che correvano tra gli spettatori per spingerli ad una rocambolesca fuga dall’impeto distruttivo dei piccoli mostri a cui non bisognerebbe dare da mangiare dopo la mezzanotte.

Un esempio di parco di divertimento cinematografico che si distanza invece dai modelli canonici, adrenalinici ma sin troppo ridonanti, è quello di Futuroscope, aperto in Francia nel 1987 ed interamente dedicato all’incontro con le nuove tecnologie e all’interazione tra il visitatore e i nuovi media. Nessuna giostra tradizionale nella sua concretezza, ma cinema che propongono proiezioni in 3D ed esperienze in 4D, danze con i robot e avventure a 360 gradi realmente avveniristiche.

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Non priva di echi polemici, la vicenda stessa di Cinecittà è sintomatica di questa trasformazione con la sua nascita – nel luglio del 2014 – di Cinecittà World, meta turistica capace di catturare un pubblico non più unicamente cinefilo. Girando tra vie e piazze intitolate ai grandi nomi che hanno contribuito a tracciare la storia del cinema italiano, il pubblico può così visitare i set che hanno ospitato opere celebri o, più semplicemente, optare per le aree di divertimento del parco cinematografico vero e proprio, con attrazioni spesso ispirate al mondo della settima arte. Un esperimento che coniuga l’abilità di giocare con gusti e bisogni più popolari e l’utilizzo della maestria di artisti di rilievo, come simboleggiano le scenografie ideale e disegnate da Dante Ferretti.

Il cinema come esperienza da vivere nel buio della sala sembra sempre più destinato a rimanere un’abitudine riservata ad un pugno di cinefili.
Oltre alla pura visione, quello che si chiede è un’esperienza multisensoriale, sia che si tratti di puro entertainment per famiglie, sia di esperimenti interattivi legati all’audiovisivo e alle nuove tecnologie.

Il VR cinema di Amsterdam, primo cinema al mondo di realtà virtuale, ha origine esattamente in quest’ottica. Nessuna visione collettiva, nessun maxischermo: un’esperienza da vivere in solitaria all’interno del proprio caschetto e delle proprie cuffie, dove una metaforica cecità nei confronti di un’opera ancora splorare – le proiezioni, che durano 35 minuti, sono infatti sconosciute agli spettatori prima della visione – prende il posto del buio della sala tradizionale.

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Efteling: more than your usual fantasy-themed park

Gardaland in Italy, Disneyland in France, Tivoli Gardens in Denmark, Europa-Park in Germany, PortAventura World in Spain. What about the Netherlands? Well, of course the answer is Efteling, a great fantasy and fairytale-themed park that offers a different experience from any other European amusement park.

When it comes to amusement parks around Europe, one of the most unique fantasy-themed park to spring to mind is Efteling, an entertainment venue located in Kaatsheuvel, a Dutch village in the province of North Brabant. The facilities of the park cover approximately 275 hectares of a beautiful green area, and are integrated with the typically stunning Dutch nature. Historically speaking, this park was first developed to be used as sports grounds. Subsequently, in 1950, the mayor of Loon op Zand, Reiner van der Heijden, founded Efteling Nature Park Foundation with Peter Reijnders and Anton Peck. From that moment, Efteling never stopped evolving, always bringing innovative, entertaining, and appealing attractions to its visitors. Year by year new attractions were added, making the park more interesting and outlining the leitmotiv of fairytales and fantasy. It is important to note that the Fairytale Forest is the core of Efteling, and several depictions of fairy tale figures have been added since its opening in 1952.

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The Fairytale Tree

The exponential growth of Efteling started in the same year, and was always carried out with profound respect towards the surrounding nature. The enlargement of Efteling proceeded in 1992 with the opening of the four-star Efteling Hotel, and was followed by the addition of an eighteen-hole golf course in 1995, the inauguration of Efteling theatre in 2002 and the most recent opening of the Holiday village Bosrijk in 2009, subsequently enlarged in 2015. As previously mentioned, the building planning of Efteling has always taken into account the importance of nature and environment. As a matter of fact, only a small part of the green areas comprised by Efteling have been built upon, and a number of environmental foundations were consulted before building the golf park and the Holiday village. In terms of attractions, the list has been getting longer and longer since the opening in 1952, when the main attraction of the park was the Fairytale Forest. Today more than thirty different attractions make this fantasy-themed park a great place to visit to experience some serious fun. The most famous ones include Python, a fantastic double-loop roller coaster, Piraña, a stunning river rafting ride, the Steam Carousel, the Flying Dutchman and many more. The latest attractions to be incorporated were Baron 1898 in 2015 and Pinocchio, which opened this year. The former is an amazing dive coaster which reaches a speed of 90 km/h descending from the highest peak of 37.5 meters, highly advisable for adrenaline lovers, while the latter represents a great chance to discover in details the fairy tale of “Pinocchio” through three different sections composed of interactive elements.

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The roller coaster Baron 1898

On top of the different attractions offered, Efteling also organises other entertaining events to amaze its visitors. For example, from September 2016 the fairytale musical “Puss in Boots” will be available, in Dutch language only, to all the visitors during weekends and national holidays. Of course the secret of a fantasy-themed park that has more than 4 million visitors each year is to be always competitive and future-oriented to attract even more visitors. Moreover, the secret of its success is represented by the Fairytale Forest, emblem of the park, but also by the peculiar way to model and create big rides using fairytales and legends as source of inspiration.

A passage of Pinocchio
A passage of Pinocchio

Future projects for summer 2017 include the opening of the new dark ride Symbolica: Palace of Fantasy, which consists in an adventurous ride through the Palace of Fantasy, offering three different routes through magical and hidden rooms. Another important opening, expected as of mid-2017, is the new overnight accommodation placed on the border of the Loonsche Land district, which will offer Efteling visitors more overnight facilities to enjoy their stay plunged in the green. The 31st of May 2017 will be a very important date for Efteling, which will celebrate the sixty-fifth anniversary of its opening. The park represents a solid and dynamic reality among the amusement parks of Europe. Made unique by its fairytale theme, its main goal is to become more international and above all to welcome 5 million visitors per year by 2020. Efteling certainly knows how to give its visitors a great experience in the world of fairytales and fantasy: all the ingredients to reach their goal are already there, the rest is only a matter of time.

 

Cover Photo by Stefan Scheer (CCA-SA 3.0 Commons Wikimedia)

Giostre e giostrai: quando il proprio lavoro diventa uno stile di vita

Andare alle giostre in paese è sempre un momento magico per tutti. Musica dance a tutto volume, bancarelle che vendono ogni tipo di dolciume e gli immancabili autoscontri (ma anche il ‘’brucomela’’, se preferite) sono gli ingredienti principali per una fiera che si rispetti. E a completare il tutto non possono mancare loro, quelli che comunemente chiamiamo giostrai. Ma chi sono queste figure a tratti enigmatiche e talvolta un po’ stravaganti?

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“Esercenti viaggianti dello spettacolo” – è questo il termine corretto con cui chiamare i giostrai. Professione che affonda le sue radici nel medioevo e tradizionalmente legata al luna park, entrare a far parte di questo mondo è più difficile di quel che sembra. Come minimo bisogna provenire da una famiglia che svolge questa professione da diverse generazioni ed è  inoltre indispensabile possedere delle giostre proprie con apposita licenza. Ciò non è tanto scontato se consideriamo che quelle che costano meno partono da un minimo di 50-60 mila euro, fino ad arrivare a 600-700 mila euro ed oltre quando si tratta di attrazioni per adulti. Infine, per essere perfettamente in regola è obbligatoria l’iscrizione alla Camera di commercio.

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Il giostraio, per sua natura, è un mestiere itinerante e ciò comporta non pochi ostacoli. Di media gli spostamenti variano dalle venti- trenta volte l’anno in base al ‘’giro’’ creato, il tutto regolarizzato da un calendario che indica gli spostamenti delle varie carovane nelle specifiche piazze. Il continuo spostamento comporta anche il fatto che i ragazzi più piccoli sono costretti a frequentare scuole diverse di volta in volta, non restando più di qualche mese nella stessa classe. Da questo punto di vista esiste, fortunatamente, una legge che obbliga le scuole ad accogliere i figli di giostrai anche per brevi periodi, evitando almeno qualche spinoso problema burocratico alle famiglie.

Alla luce di tutto ciò il guadagno non sempre è soddisfacente. Con l’arrivo dell’estate e con l’inizio delle sagre e delle feste di paese la possibilità di fare affari aumenta notevolmente, tanto che è possibile, in certi casi, supplire periodi in cui le entrate scarseggiano. Tuttavia, la crisi economica degli ultimi anni ha colpito anche questo settore: le famiglie non sono più tanto inclini a portare i figli alle giostre poiché considerata una spesa superflua. Ecco allora che anche gli esercenti viaggianti dello spettacolo devono affinare le loro tecniche di marketing per tornare più competitivi sul mercato, come una vera e propria impresa. Anche perché le spese ci sono e non sono poche. La sicurezza degli impianti, che in questo campo è fondamentale, e i costi per l’occupazione del suolo pubblico, sono le più importanti.

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È dura, veramente dura. Gli spostamenti, le burocrazie e talvolta anche qualche pregiudizio sono all’ordine del giorno. È un mondo a cui devi dare molto, ma che ti restituisce altrettanto: la felicità delle persone, infatti, è forse il guadagno più gradito per chi ha scelto di dedicare la propria vita a questa professione.

La fotografia ai tempi degli hashtag

Il nostro mondo è cambiato con l’avvento del web 2.0: la condivisione e l’interazione a grandi distanze e la conseguente creazione di un nuovo livello di mappe e connessioni ha inevitabilmente modificato il nostro modo di relazionarci e conoscere l’altro.

È l’epoca dei social, degli hashtag, dei geotag e della realtà aumentata, lo è nel nostro intimo quotidiano e lo è nei grandi mondi collettivi, come quello dell’arte contemporanea. Esiste infatti tutta una realtà artistica che, in verità già da tempo, ha abbandonato lo spazio tradizionale dell’arte, fatto di tele, tagli, pennelli e oggetti concreti ed esposti, e ha spostato la riflessione artistica nella sua dimensione procedurale ed esperienziale, anche grazie all’impiego dei nuovi media.

Molte di queste operazioni indagano e si muovono nel vasto universo del web 2.0, spesso utilizzando il medium fotografico nella sua più ampia accezione. Col cambiamento strutturale dell’apparecchio fotografico avviene un cambiamento del suo contenuto e della sua valenza: la fotografia non è più un mezzo individuale e riconoscibile, riconducibile ad un unico dispositivo, ma un dispositivo tra diversi dispositivi, un’immagine tra le immagini.

Con il modificarsi del mezzo fotografico cambia il rapporto tra fotografia e reale, tra professionista e amatore, tra pubblico e privato. Di questa evoluzione e del più generale discorso sulla nuova fotografia un ruolo importante lo gioca Instagram.

Lanciato nel 2010, Instagram è un social network che permette di scattare fotografie, applicare filtri e condividerle insieme a testi e hashtag che le descrivano. Nonostante i numerosi aggiornamenti dalla sua prima versione, Instagram rimane una piattaforma quasi esclusivamente visiva e, a differenza di altre, la sua fruizione è breve ed immediata.

Particolarmente interessante è la nuova direzione che propone in campo fotografico attraverso la sua caratteristica più rilevante: da sistema per lo più chiuso ed archiviabile, la fotografia si apre alla condivisione, immediata e aperta a chiunque.

Questa peculiarità che è propria di ogni social network si districa tra i milioni di frame quadrati di Instagram attraverso l’uso di #hashtag, ovvero un aggregatore tematico, una sorta di etichetta da applicare alle proprie immagini che permette di raggrupparle per contenuto. Spesso utilizzato a sproposito, è in realtà un mezzo molto potente ed efficace: usati coscientemente, gli hashtag permettono di orientarsi nel gigantesco e popolatissimo mondo di Instagram, alla scoperta di immagini e nuovi topoi della fotografia contemporanea collettiva.

Con questo screenshotreportage vi portiamo dunque alla scoperta di immagini attraverso gli hashtag più interessanti proposti da Instagram, #followtheboat!

Lorenzo Bises, sui social senza filtri

Tutti usano i social network, ma non tutti lo sanno fare bene. Lorenzo Bises è uno di quelle persone che, con un tweet lungo 140 caratteri o con una fotografia scattata col cellulare, riescono ad essere interessanti e ad attirare le simpatie di chi non li conosce personalmente. I numeri dei suoi social lo dimostrano: più di 8000 follower su Twitter e addirittura 13000 su Instagram. Ma qual è il segreto di Lorenzo? Gli abbiamo chiesto se nella sua vita o nella sua occupazione ci fosse qualcosa che lo rendesse speciale: «Sono un normalissimo ragazzo di 28 anni, un ibrido romano-milanese nato a Roma ma cresciuto tra Milano e la provincia fin da piccolo. Sono laureato in storia dell’arte, lavoro nel digital e tra le grandi passioni che cerco di coltivare ci sono sicuramente la scrittura, la lettura di biografie storiche e l’arte».

Lorenzo Bises
Lorenzo Bises / instagram.com/lorenzobises

Un ragazzo normale, che però ha trovato in internet il modo di coltivare i suoi interessi e di farlo in maniera allegra, divertente e mai banale. Infatti è proprio la passione per la scrittura che l’ha portato ad aprire il suo blog, Pezzenti con il papillon: «Ho iniziato a tenere un blog quando ancora esisteva solo la versione su MSN, poi ho aperto la piattaforma su Blogspot nel settembre 2009 e pian piano Pezzenti con il Papillon è diventato un viaggio e un’avventura da cui difficilmente riuscirò a staccarmi. Magari non scrivo per settimane ma quando ho l’ispirazione è proprio una corsa alle parole per pubblicare un nuovo post». E i suoi profili social? Quelli sono arrivati quasi contemporaneamente al blog: «Prima Facebook, poi Twitter nel 2011 e a seguire Instagram e Snapchat».

E su come si usano i social network Lorenzo ha le idee ben chiare, o meglio, l’uso che ne fa è spontaneo, non costruito, e forse proprio in questo sta la chiave della sua popolarità online. «Mi interfaccio più o meno nello stesso modo su tutti i social, cambia leggermente lo stile ma la sostanza è quella, sono io, punto. Cerco di essere sempre me stesso e di non dare una visione distorta di me. Facebook è un diario di pensieri, Twitter un mix tra ironia e commenti sul mondo, Instagram una pura vetrina e Snapchat uno sfogo alla logorrea, qui sono proprio un fiume in piena». E dato che proprio a luglio di dieci anni fa veniva lanciato Twitter, abbiamo chiesto a Lorenzo il suo rapporto con questo social così veloce e immediato. «Twitter mi fa compagnia tutto il giorno – racconta – scrivo e mi interfaccio con i tweet di quelli che mi appaiono sulla timeline quando sono online e recupero i miei preferiti la mattina così sono ben aggiornato. È un modo divertente di vivere la giornata, scambiarsi battute ma anche consigli. Sai quante volte ho potuto risolvere un dramma grazie a qualcuno che subito ha risposto a un mio SOS-Tweet? Questa è condivisione. Un difetto? si rischia di dare una visione distorta della realtà e di non riuscire a scrivere un periodo più corto di 140 caratteri».

twitter.com/lorenzobises
twitter.com/lorenzobises

Fra i social preferiti da Lorenzo c’è anche Snapchat, più giovane del terzetto Facebook-Twitter-Instagram. E ci confessa che è anche il suo preferito: «Mi piace Snapchat, perché non ci sono filtri a cane, a stellina o altro che possano renderti più interessante di quello che realmente sei. Su Snapchat si premia la spontaneità e la dimestichezza con l’italiano, e soprattutto con quella voglia di raccontarsi (nei limiti della riservatezza personale) a seconda di un argomento che si propone tra gli utenti. È un bellissimo modo di conoscersi e di star vicino a persone che non puoi fisicamente vedere nel tuo quotidiano. Ho imparato a conoscere persone che seguendo sui social mi stavano “solo” simpatici di sfuggita e che invece ora seguo con grandissimo interesse perché hanno davvero qualcosa da dire». Ed è proprio Snapchat il protagonista di un momento memorabile per Lorenzo: «Ero dal notaio, all’atto del rogito al momento della firma, una situazione piuttosto seria. All’improvviso il notaio mi guarda, legge il mio nome, gli si accende una lampadina e mi dice “MA TU SEI LORENZO BISES LA MIA COMPAGNA TI SEGUE SU SNAPCHAT E MI PARLA SEMPRE DI TE”. Ero rosso come mai nella mia vita».

Dall'Instagram "cromaticamente equilibrato" di @lorenzobises
dall’Instagram “cromaticamente equilibrato” di @lorenzobises

Insomma, la popolarità sui social network non richiede necessariamente finzioni, filtri particolari o abili fotoritocchi. Il vero segreto del successo è essere se stessi. Potrà sembrare un’affermazione banale, ma è proprio così, mostrandosi per quel che si è, che i social possono essere un prezioso strumento per arricchire anche la propria vita offline: «E’ bellissimo usare i social per conoscere persone nella vita reale con cui scopri di avere grandi affinità e teste allineate. E in quel momento non c’è cosa più bella che staccarsi dai social stessi».

Segui @lorenzobises sul suo blog, Pezzenti Con il Papillon, su Twitter, Instagram e Snapchat (lorenzobises).

Se 140 caratteri valgono più di 140 righe: intervista a Iuri Moscardi su TwLetteratura

Dopo l’approfondimento sul progetto di social reading TwLetteratura, Pequod torna a parlarne con uno dei protagonisti, Iuri Moscardi. Trentenne, originario della provincia di Brescia e laureato in Lettere Moderne, dal 2013 collabora con l’originale startup in qualità di project manager, rivelandoci anche i prossimi appuntamenti per vivere un’estate social, grazie all’app betwyll, ma all’insegna della cultura: #Comunità, dedicato ad Adriano Olivetti, e #CaroMichele a Natalia Ginzburg; l’incontro a Viareggio con gli insegnanti il 16 luglio e la manifestazione Un paese in posa a Barni (Co) del 17 luglio.

Scoprite di più su TwLetteratura in questa intervista, un rapido botta e risposta che non poteva non giocare con il meccanismo caratteristico di Twitter: l’occhio più attento, infatti, noterà che ogni risposta è formulata entro e non oltre lo spazio di 140 caratteri!

Iuri Moscardi, project manager di TwLetteratura
Iuri Moscardi, project manager di TwLetteratura

Cosa è TwLetteratura?

Un metodo che promuove la lettura sfruttando i meccanismi dei social network: sintesi, interazione, disintermediazione.

Cosa vi ha spinto a crearla?

Usare un social network come strumento nuovo che stimolasse il maggior numero di persone a leggere.

Chi e dove, o quando, ha avuto per primo l’idea?

Edoardo Montenegro (@emontene) nel 2012 con #TweetQueneau: lettura e commento degli Esercizi di stile di Queneau su Twitter.

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Quale è il vero punto di forza di questo progetto?

Permette di riscoprire la bellezza della lettura insieme, attorno al falò virtuale dei nostri tweet e – in futuro – twyll.

Cosa rappresenta per te un libro?

Un intreccio di storie, parole, emozioni che ognuno di noi – leggendolo – assapora in modo diverso.

Sei un nostalgico della carta o preferisci le copie digitali?

Il digitale è comodissimo per avere sempre con sé libri e titoli, la carta però ha ancora il fascino dell’oggetto da toccare e annusare.

Perché puntate ad opere del passato e non a qualcosa di contemporaneo?

Abbiamo lavorato anche sul contemporaneo, vedi #LabExpo, progetto scientifico dedicato al Patto per la Scienza alla base di Expo 2015.

Cosa ne pensi del “protagonismo da social network”, vale a dire il voler far sapere la propria opinione a tutti costi?

È un rischio dei social; ma, d’altro canto, è proprio il sentirsi protagonisti in prima persona che coinvolge chi partecipa ai nostri giochi.

Lo riscontri in TwLetteratura o gli utenti della comunità non ti sembrano ossessionati da questa mania?

Chi usa Twitter condivide informazioni o le cerca e le mette a disposizione di tutti. Capita per esempio davanti a una parola sconosciuta.

Volendo fare un po’ di autocritica, cosa andrebbe migliorato?

Non si finisce mai di migliorare: per farlo, cerchiamo di ascoltare il più possibile le richieste della nostra comunità.

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Negli ultimi mesi Twitter ha avuto un calo di iscrizioni: questo ha influenzato in qualche modo la partecipazione a TwLetteratura?

Abbiamo rilasciato a maggio la nostra app betwyll, disponibile su Apple e Google Stores, creando un nuovo spazio per i nostri giochi; ma su Twitter la presenza dei fedelissimi è sempre costante.

Perché Twitter e non Facebook? Su Facebook l’utente ha la possibilità di esprimere in modo più ampio il proprio pensiero…

La sintesi obbliga a pensare e rielaborare il messaggio da scrivere, che si rivela più pregno che se fosse stato scritto in 140 righe.

Centoquaranta caratteri possono essere uno stimolo alla scrittura sintetica ma un ostacolo a riflessioni più complesse, non trovi?

La nostra esperienza dice il contrario: è incredibile quanti approfondimenti siano possibili in soli 140 caratteri!

Quindi pensi che non si rischi di cadere nella superficialità…

È un rischio, ma tutti i partecipanti ai nostri giochi cercano di solito di fare “bella figura” leggendo prima accuratamente il testo.

In base a quali criteri vengono scelti i testi?

A particolari ricorrenze legate agli autori, la volontà di sperimentare con generi e epoche diverse e alle richieste della nostra comunità.

Da un punto di vista filologico, non dovrebbero essere in lingua originale?

Puoi scrivere nella lingua che preferisci; per consentire una partecipazione ampia ed essendo in Italia, abbiamo prediletto l’italiano.

Applicate una sorta di censura ai commenti degli utenti?

No, mai, assolutamente. Non ce n’è mai stato bisogno.

Trattate argomenti culturali che spaziano molti campi, questo prevede ogni volta una fase preparatoria di studio e approfondimento?

Esatto: di solito si sceglie una tematica o un autore e si studia il libro da proporre, anche in base al target o al tipo di sperimentazione.

Quali sono le difficoltà ricorrenti nella preparazione di ognuno dei vostri eventi?

Il tempo, che non è mai abbastanza per fare tutto quello che vorremmo.

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Lavorate molto con le scuole, quali sensazioni vi lascia questa collaborazione?

Sensazioni molto positive: se lasciati liberi di sperimentare – sotto la guida degli insegnanti – gli studenti sono davvero ricettivi.

C’è qualcosa che ti ha sorpreso nella collaborazione con le scuole?

Le reazioni degli studenti nel progetto #TwSposi sui Promessi sposi: un libro di solito mal sopportato è stato letto con entusiasmo.

TwLetteratura è rivolta a chi usa Internet, ma per tutti gli altri?

Sì, giochiamo su Twitter e con l’app betwyll, ma poi ci incontriamo in festival ed eventi, dove proponiamo di scrivere dei “tweet di carta”.

Lancia uno slogan per promuovere TwLetteratura ai nostri lettori!

Quello che ci contraddistingue: “La TwLetteratura non esiste, i libri e i lettori sì”.

Chris Blog di Viaggi, in cammino per raccogliere fondi e regalare sorrisi

«Sto organizzando, partirò per un giro d’Italia a piedi, è quello che Marta vuole». Così si legge nella lettera che Chris scrive ai suoi followers su Blog di Viaggi, cui ha dato vita insieme alla moglie Marta.

Nel 2011 la coppia, da sempre appassionata per la scoperta e il viaggio, ha aperto il proprio blog, attraverso cui condividere le numerose avventure vissute in giro per il mondo. Dall’esperienza di vita da espatriati a Londra, al viaggio che li ha portati a percorrere l’intera circonferenza del globo, zaino in spalla e budget low cost, il blog di Marta e Chris raccoglie immagini di paesaggi dall’Australia all’Africa, dalla Nuova Zelanda all’Europa. Accanto a racconti e fotografie, i due blogger offrono consigli per i viaggiatori fai da te; il loro entusiasmo è stato tanto coinvolgente che il blog si è trasformato in breve tempo in un’animata community di viaggiatori, dove condividere aneddoti, recensioni, manifestazioni e curiosità.

Una coppia giovane e felice, con tanti progetti in testa e sogni da realizzare, il cui destino è stato però sconvolto da un tragico evento. Marta è drammaticamente mancata nel Dicembre 2015, insieme al figlio Leonardo che portava in grembo. La voglia di viaggiare e di mettersi in gioco di Chris non si è però esaurita: la passione esplorativa che condivideva con la moglie è diventata motivo per pensare di dare al loro progetto un nuovo significato. Egli è riuscito a trasformare il grande dolore che porta dentro, in una stimabile forza di agire e di fare del bene poiché, come scrive sul blog, «il male finisce quando comincia il bene».

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Marta in uno scatto del marito Chris

Chris ha iniziato il suo cammino da Bassano del Grappa il 2 Aprile del corrente anno, giorno in cui suo figlio sarebbe venuto al mondo, con l’intento di percorrere a piedi all’incirca 4000 chilometri, in un viaggio che lo terrà in marcia fino a Febbraio 2017. Un percorso che lo porterà dalla Toscana alla Sicilia, procedendo sulla costa Ovest della penisola, per poi risalire sul versante adriatico, tra Abruzzo e Marche, fino a riportarlo a casa, in Veneto. Un tragitto che ha come obiettivo quello di «far conoscere bellezze italiane spesso poco note così come malattie tanto rare quanto gravi per le quali neppure il governo riesce a finanziare abbastanza la ricerca per trovarne la cura».

Il viaggio di Chris è infatti un viaggio di beneficienza: attraverso la Onlus Marta4kids, raccoglie donazioni destinate alla ricerca sulla fibrosi cistica e agli ammalati che ne hanno bisogno; settimanalmente raggiunge gli ospedali che trattano questa malattia, al fine di sensibilizzare alle donazioni; quotidianamente raccoglie  testimonianze dei suoi spostamenti, dando «la possibilità a tutti, anche a coloro impossibilitati nel farlo di persona, di poter vedere attraverso i miei occhi e virtualmente anche con quelli di Marta e Leonardo, tutte le meraviglie che per strada incontrerò».

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Chris a Bassano del Grappa, in partenza per il suo tour

Chris è infatti convinto che nel suo viaggio non camminerà mai solo: è certo che gli occhi di Marta guarderanno attraverso i suoi gli splendidi paesaggi del Belpaese di cui la moglie era innamorata e che attraverso gli stessi occhi riuscirà a trasmettere lo stesso amore al bambino che non vedrà mai, ma che lo accompagna in ogni passo. «I miei due angeli vedranno tramite i miei occhi e con loro anche chi vorrà seguirmi, sia virtualmente che fisicamente».

Il progetto di Chris dovrebbe infatti non solo dare vita a un travel blog di beneficienza, bensì creare una vera e propria rete empatica e solidale di viaggiatori: è possibile sia accompagnarlo in alcune sue tratte, sia aiutarlo dandogli ospitalità, oltre alle numerose possibilità di finanziare il progetto Marta4kids. Chris è quotidianamente raggiungibile attraverso la rete informatica: oltre al blog, costantemente aggiornato sulla sua posizione, particolarmente attiva è l’account twitter Chris Blog di Viaggi, dove sono quotidianamente condivisi i traguardi raggiunti e l’ammontare delle donazioni. Ogni giorno foto e frasi vogliono ricordare agli utenti le motivazioni che hanno mosso questo viaggio e incoraggiano attraverso l’hashtag #marta4kids a donare per la ricerca. Il messaggio di Chris è forte e coraggioso: il dolore che l’ha colpito, la perdita non solo dell’amore della sua vita, ma anche del bambino che sarebbe stato il loro futuro non l’ha portato a chiudersi in se stesso, anzi! Così motiva la scelta di devolvere alla ricerca sulla fibrosi cistica i proventi del suo progetto: «ho scelto questa patologia (che affligge un bambino su 2500) perché si manifesta già dai primi mesi di vita dell’ammalato e la sofferenza dei nostri piccoli angioletti deve per lo meno alleviarsi».

L’amore per la moglie e per il figlio non smette di battere nel cuore di Chris, la loro presenza costante nella sua vita si esprime nella sua straordinaria capacità di entrare in contatto con il prossimo; così i bambini che Chris incontra negli ospedali diventano i suoi angeli, i nostri angeli: attraverso il suo messaggio, la serenità e la salute altrui diventano responsabilità di tutti.

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Itinerario del viaggio di Chris per #marta4kids

Ridando nuovo senso alla propria vita, Chris ne ha fatto un modello in positivo: attraverso i tweet che quotidianamente condivide, ricorda costantemente ai suoi lettori la fugace fragilità della vita e l’importanza di dare valore a ogni istante e ogni gesto. Dal piacere estetico delle fotografie delle realtà che scopre nel suo cammino, ai momenti trascorsi accanto ai bambini negli ospedali, l’account Blog di Viaggi ci mette di fronte a valori intramontabili, che spesso riscopriamo mettendoci in viaggio.

«Ed eccomi qui a presentarvi il mio nuovo scopo di vita: donare e fare del bene, convertendo rabbia e dolore in amore, sorrisi e speranze».

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Commenti d’autore su TwLetteratura

Dalla brillante intuizione di Paolo Costa, Edoardo Montenegro e Pierluigi Vaccaneo nel gennaio 2012 nasce TwLetteratura, definita dai tre creatori come il «metodo con cui, attraverso l’esperienza interattiva e la riscrittura mediata da Twitter, proponiamo la lettura di opere della letteratura, delle arti e della cultura e la loro divulgazione».

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Il gioco in sé è semplice: innanzitutto c’è un campo d’azione, internet, che al giorno d’oggi utilizziamo in milioni di persone; in secondo luogo, quindi, si interagisce con una comunità di utenti, che sceglie un libro leggendone un capitolo alla volta, seguendo le tempistiche stabilite da un calendario ben preciso; terza e fondamentale componente è Twitter, dove i lettori mettono in atto la fase di riscrittura commentando con parafrasi e libere interpretazioni quanto letto, giocando con registri linguistici differenti, a seconda dell’ispirazione del momento.

Un gioco, appunto, che come tale ha le sue regole e le sue difficoltà. Quali? Anzitutto se siete lettori distratti forse è meglio lasciar perdere: eviterete di scrivere castronerie e commenti superficiali. per evitare di scrivere castronerie. Oltre al contenuto, un limite è imposto dal mezzo Twitter: 140 caratteri per esprimere in modo chiaro il proprio pensiero.

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L’obbiettivo è quello di far riscoprire le grandi opere delle letteratura, quella con la “L” maiuscola, non le storielle d’amore frivole tra magnati e ninfomani o vampiri e scolarette, ma quella che abbiamo studiato, o che avremmo dovuto studiare, sui banchi di scuola.  Non è un caso infatti che TwLetteratura abbia trovato riscontro positivo proprio nelle scuole: decine di insegnati hanno fatto eco a questo approccio interattivo, consci di quanto i loro alunni siano ormai esperti marinai della navigazione online; hanno trovato un modo per farli appassionare a una materia, la storia della letteratura, che spesso risulta noiosa e pesante se chi sta in cattedra non è capace di animare la classe con un entusiasmo tale da sollevare la polvere da testi secolari.

Con i progetti di TwLetteratura si interpretano e ricompongono opere di Shakespeare, Levi, Pavese, gli intramontabili Promessi Sposi e il Pinocchio di Collodi; noi stessi diventiamo allo stesso tempo scrittori e critici letterari, e così la scusa del twittare un nostro pensiero, una pratica così social e moderna, ci fa prendere in mano un buon libro che forse non avremmo mai pensato di leggere.

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Esiste un rovescio della medaglia? Probabilmente sì, e sta nella fruizione stessa di questo metodo – insomma, nell’interpretazione delle regole del gioco.

Il rischio più immediato è quello di stravolgere il significato del lavoro di uno scrittore: sicuramente tra le fila della comunità di TwLetteratura si contano scrittori, appassionati e studenti che conoscono gli autori, ma anche altri che, elevandosi allo status di critico letterario, può lasciare commenti del tutto inappropriati. In realtà si tratta di un problema trasversale a tutti i social network, ossia quella mania di protagonismo diffusa sulla piazza virtuale, dove ognuno si sente in diritto di dire la propria senza pensarci troppo, giusto per far sapere al mondo della propria esistenza.

Fortunatamente però quello a cui siamo di fronte è un gioco (di squadra) intellettuale: ci si diverte con le parole favorendo lo scambio di idee, perché ogni tweet può dare origine a tutta una serie di commenti da parte degli altri utenti, arrivando anche a dialoghi costruttivi che possono svelare aspetti non colti dal nostro punto di vista, in un continuo processo di arricchimento dell’interpretazione dell’opera in esame.

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L’altro limite è ineludibile e fondante di tutto il progetto, i 140 caratteri entro cui è possibile scrivere: uno stimolo per chi è dotato del prezioso dono della sintesi, una difficoltà per tutti coloro che sono inclini a dilungarsi fin troppo e che, costretti in poche battute, si ritrovano a esprimersi in modo superficiale o poco chiaro, tornando a desiderare gli spazi illimitati dei post su Facebook. Ma non c’è gioco senza sfida a se stessi e ai propri limiti, perciò il nostro consiglio è quello di creare il vostro account su Twitter e di iscrivervi subito a TwLetteratura: magari scriverete pensieri spezzati, incompleti, o semplicemente castronerie, magari illuminerete la rete con i vostri commenti. L’importante è partecipare, come in ogni gioco, e non sottrarsi alla lettura e alla rielaborazione personale che in ogni caso rende la nostra mente attiva e vivace.

Piccola Bretagna: il referendum europeo visto da una migrante

Il mio primo periodo a Londra fu caratterizzato dall’impressione che la mia vita si fosse improvvisamente rimpicciolita. Tutte le cose che avevo considerato importanti fino a quel momento sembrarono recedere sullo sfondo, mentre mi concentravo sugli aspetti pratici dell’iniziare una nuova vita. Prima di tutto dovetti adattarmi alla goffaggine del mio inglese: nonostante lo scoraggiamento iniziale riuscii in qualche modo ad affittare una stanza da un’agente immobiliare che non voleva saperne di parlare più lentamente, non importa quante volte la pregassi. Questo fu niente se paragonato al tentativo di prenotare un appuntamento per ottenere il codice fiscale britannico tramite un’operatrice telefonica la cui parlata mi risultava incomprensibile, e che però fu tanto paziente da scandire ripetutamente le sue parole per me, una nuova arrivata confusa da quello che solo più tardi avrei scoperto essere un marcato accento del nord. Mi sentii terribilmente insicura anche sotto lo scrutinio dell’impiegato che mi permise di aprire un conto in banca solo dopo averlo assicurato oltre ogni dubbio che avrei iniziato un lavoro a tempo pieno la settimana successiva. Infine dovetti soccombere allo schiacciante disorientamento che mi pervase nei mesi successivi, mentre cercavo di capire come funzionasse tutto quanto: dai mezzi di trasporto alle sottigliezze dell’interazione sociale.

Non ero completamente nuova a questo tipo di esperienza: la mia famiglia si trasferì in Italia nel 1992 per sfuggire alla guerra in Jugoslavia, e mi ricordo chiaramente quanto fu difficile per i miei genitori trovare un impiego e qualcuno che si fidasse ad affittare loro un appartamento. Mi ricordo come anche le loro vite sembrarono rimpicciolirsi per anni, mentre si battevano contro l’insopportabile lentezza della burocrazia italiana e cercavano di adattarsi al senso di impotenza e isolamento che caratterizzano l’esperienza migratoria in una piccola cittadina di destra. Mi ricordo ancora vividamente la sensazione dell’essere osservati e valutati dagli abitanti del luogo quando i miei genitori ed i loro amici cercavano di ricreare un senso di casa bevendo caffè dopo caffè (com’è d’uso nei Balcani) al bar centrale, ridendo e parlando ad alta voce nella loro lingua madre. Mi ricordo anche come i bambini del posto mi escludessero dai loro giochi perché non ne conoscevo le regole e nessuno aveva la pazienza di insegnarmi. Ancora oggi sono dolorosamente consapevole di quanti usi e costumi italiani ci siano sconosciuti, nonostante i tanti anni passati nel paese, un’incompletezza che mi ricorda come la nostra italianità sia stata acquisita attraverso un percorso accidentato, non tramite il privilegio di usi e costumi tramandati ma andando per tentativi e facendo errori.

Foto di Elliot Stallion / Pixabay
Foto di Elliot Stallion / Pixabay

Per me l’esperienza della migrazione si può riassumere nella sensazione che la tua vita si rimpicciolisca, mentre il tuo vissuto si riduce ad un numero limitato di problemi pratici ed emozioni spiacevoli. Ma proprio come era successo ai miei genitori in Italia, il processo si invertì gradualmente anche per me ed infine la gamma completa delle emozioni ed esperienze che compongono il vissuto mi tornò di nuovo accessibile. Oggi la mia vita è più ricca grazie al tempo passato nel Regno Unito e mi rendo conto che il rimpicciolimento che percepii inizialmente era parte di un processo che oggi mi permette di guardare il mondo attraverso una prospettiva più completa. A Londra ho completato un Master, ho lavorato nella ristorazione, all’università e nel sociale, ho conosciuto persone provenienti da ogni angolo del mondo ed ho fatto esperienze che mi hanno spinta a rivedere le mie opinioni ed i miei valori. Col tempo ho imparato ad apprezzare la vastità di questa città e la diversità dei suoi abitanti e sono diventata orgogliosa di far parte di una società che valorizza la pluralità e la tolleranza. Diamine, ho persino imparato a capire gli accenti del nord!

Se ho potuto godere delle sfide e delle ricompense che comporta la vita in questo paese è stato grazie al privilegio della cittadinanza europea. Se da ragazzina ho potuto partecipare a progetti di scambio che mi hanno portato in Inghilterra e in Finlandia è stato grazie a borse di studio create dall’Unione Europea per favorire la mobilità dei giovani nei suoi Stati membri. Anche io penso che l’Europa abbia bisogno di cambiamento, ma nutrivo la speranza che sarebbe migliorata e che i suoi confini esterni si sarebbero allentati, non che l’avremmo vista implodere mentre ne nascevano di nuovi al suo interno. Per tutti questi motivi, quando i risultati del referendum sono stati annunciati la mattina del 24, la mia reazione è stata di sconvolgimento e preoccupazione per la direzione che avrebbero preso le cose dal quel momento in poi. Indipendentemente dalle conseguenze a lungo termine che l’uscita dall’Europa avrà sul Regno Unito, non riesco a non pensare che tramite questa decisione i cittadini britannici abbiano scelto di rimpicciolire volutamente le loro vite. All’interno del Paese ci sono molti motivi per preoccuparsi: il mercato del lavoro potrebbe indebolirsi ulteriormente, i cittadini britannici potrebbero perdere il diritto di viaggiare, lavorare e vivere nei Paesi europei senza visto, i finanziamenti europei al settore sociale e alla ricerca potrebbero sparire e c’è da chiedersi cosa ne sarà dei diritti umani e di quelli dei lavoratori una volta che le protezioni assicurate dall’Unione Europea saranno venute meno.

Foto by Alexas Fotos / Pixabay
Foto by Alexas Fotos / Pixabay

Nessuno sa esattamente cosa succederà una volta che l’articolo 50 sarà stato invocato e le negoziazioni avranno avuto luogo; è persino possibile che il libero movimento dei lavoratori ed il mercato unico vengano mantenuti. Ma il problema è più profondo: tutti coloro che vivono in questo paese sanno che l’immigrazione è stata il vero punto della questione e che l’attitudine britannica verso la diversità è stata drammaticamente ridefinita durante le campagne referendarie. Lo shock sui volti dei miei amici e colleghi britannici, che continuano a chiedersi come questo sia stato possibile, è testimone della loro riluttanza nell’accettare che i valori di cui il loro paese si è fatto portatore per così a lungo siano stati deliberatamente accantonati, se non proprio cestinati, nel periodo precedente al voto da entrambe le parti del dibattito politico. Li ascolto ed empatizzo con loro, mentre, forse per la prima volta nella storia del Regno Unito, contemplano la possibilità che le loro vite si rimpiccioliscano, senza che ne abbiano alcuna colpa.

Chi non impara le lezioni della storia è condannato a ripeterle. Lo shock dei miei amici britannici mi ricorda inevitabilmente quello della generazione dei miei genitori quando la disintegrazione della Jugoslavia ha avuto inizio: che i principi della coabitazione e del rispetto reciproco potessero essere abbandonati così facilmente a favore di interessi nazionalistici era per molti jugoslavi semplicemente inconcepibile, così come lo è per molti britannici oggi. L’Unione Europea non è perfetta, così come non lo era la Jugoslavia, ma sono dell’opinione che per far parte di un’unione politica sovranazionale sia necessario mostrarci pazienti l’uno verso l’altro mentre negoziamo le regole del gioco ed accettare il carattere accidentato del percorso attraverso cui è possibile costruire un senso di comunità, imperfetto ma condiviso. Mentre nel Regno Unito le segnalazioni di abusi motivati da odio razziale aumentano e le estreme destre europee si fanno forti del risultato del referendum britannico, temo che il Regno Unito e l’Europa si stiano riducendo a versioni sempre più piccole e limitate di se stesse. Mentre guardo l’ormai piccola Bretagna migrare via dall’Europa, non mi resta che sperare che questo processo possa invertirsi il più presto possibile.

Sina Weibo: better than Twitter? Not yet

Over the past few months a number of news outlets have claimed that the social network Twitter is dead, mainly due to the platform’s struggle to gain new members and make profits. Whether this is true or not – commentators have declared Twitter deceased pretty much every year since 2009 – what is certain is that another Twitter-like social media is definitely on the rise in China: Sina Weibo. With 222 million monthly active users in 2015 – 33% more compared to the same period the previous year – Weibo, as it’s commonly known, is one of the most successful and influential microblogging services in the Middle Kingdom.

Often referred to as “the Chinese Twitter”, the platform combines the functions of Facebook and Twitter, but it’s ultimately unique. Like Twitter, Weibo has a 140 character limit per post and the relationship between followers and followees is unidirectional: one can follow other users and read their weibo (posts), without being followed back.

Independent.co.uk/EPA

Similarly to Facebook users, however, those on Weibo tend to disclose more personal information about themselves than most people do on Twitter. This is probably due to the fact that Weibo is much more user-friendly and offers a wider variety of features than its Western counterpart. For example, not only it is possible for users to upload rich media such as videos, images and gifs, but these can be viewed directly from one’s home timeline without the necessity of clicking on a link.

Another great feature of Weibo is threaded comment. While on Twitter users need to browse the @mentions to see what other people think about their tweets, Weibo’s threaded comments allow one to see all the comments made to their posts with just one click.

Weibo.com
Weibo’s Board of Fame, where the hottest trends are sorted by categories

In addition to these Facebook-like features, Weibo also offers its users the possibility to check out the hottest trends on the platform. Unlike Twitter, however, the Chinese social network sorts these by several categories (sport, entertainment, finance, gaming, travelling, etc.), so that users can easily find what interests them most. Not only one can view the first 10 hottest trends by category at the moment, but these can also be tracked back by setting a specific date or timeframe for the search.

Finally, Weibo has introduced a medal reward system that encourages users to spend more time on the site. Medals can be won for interacting with people and brands or for meeting milestones, and each user has a page where they can see their (and other people’s) medals. While this may seem unnecessary at first glance, the system is actually part of Weibo’s business strategy. Brands such as Nike and Transformers actually partnered with Weibo to market their products by offering medals as rewards, which can be acquired by performing certain actions, like retweeting about their events.

Globalvoices.org
Globalvoices.org

Weibo appears to offer much more features than Twitter and it does so in a much more user-friendly way. So, what’s not to like?

Well, as usual all that glitters isn’t gold. Following the Chinese authorities’ ban of Twitter and Facebook after the Urumqi riots in 2009, Sina Weibo was introduced the same year as a new social media platform that would keep posts under control by tracking and blocking sensitive content. Basically, the platform automatically removes posts with specific words or covering sensitive topics.

As a result, in the past few years Chinese activists have come up with coded phrases to share information and criticise the state. For example, when a user account is deleted, Chinese activists say that the account has been “river-crabbed”. This word in Mandarin sounds like “harmonise”, so it aims at making fun of the government’s stated reason for censorship – to keep society “harmonious”. As the expression “Grass-mud horse” in Mandarin sounds similar to the phrase “f*** your mother”, you can deduce what the following post may mean: “Someone’s account has been river-crabbed. These people can grass-mud horse”.

The problem is that these phrases can remain undetected only as long as they don’t go viral. Once a phrase becomes popular, the censors crack down on it everywhere making it completely disappear from the platform and even deleting users accounts caught using it. For this reason, people now tend to use WeChat (an instant messaging app similar to American Whatsapp) for private conversations on human rights and political issues, even though some activists have recently claimed that their WeChat accounts have been deleted too.

Despite these issues, Weibo is known in China to allow more criticism of the government than other sites. Most of the Chinese users I’ve spoken to said that censorship on Weibo is limited to “false news” and that only accounts that actively contribute to spread them get deleted. It would make sense, I suppose, if one didn’t know that most of non-government-approved news are marked as “false”.

Censored or not, Sina Weibo is the first public social media platform in China and the country’s most dominant source of news content, where netizens come to acquire, share and comment news. Twitter could definitely learn a thing or two from it, but we do hope it maintains the censor-free spirit that has always characterised it.

 

Cover photo by webstershows (CCA-SA 4.0 Commons Wikimedia)

Fotografare fotografi: ritratti di turisti asiatici a Milano

Il turismo asiatico in Italia e in Europa sta acquisendo anno dopo anno una fetta sempre più ampia del turismo globale. L’importanza economica del fenomeno non è affatto marginale: molti Paesi europei hanno infatti scelto di investire in questo ramo del turismo, snellendo le procedure burocratiche per i viaggiatori e aumentando il personale parlante cinese-mandarino.

E fra le tante città europee visitate, Milano è da tempo una delle mete favorite. Un giro nel centro della capitale meneghina e si ha subito la conferma di questo trend, con insegne in giapponese e cinese nelle vetrine e commessi multilingue. Infatti, se in generale la Lombardia è la meta più ambita per lo shopping dagli stranieri, cinesi e giapponesi  fra tutti sono quelli che spendono di più durante le loro visite, specialmente nell’alta moda.

Ma a contraddistinguere il turista asiatico medio a Milano come altrove non sono soltanto le mille borse e pacchetti, frutto dello shopping nei negozi più costosi delle vie della moda, ma anche l’immancabile macchina fotografica. E soprattutto chi viene dal Giappone, patria di Nikon e Canon, sfoggia un’attrezzatura professionale da fare invidia, spesso impiegata per fotografare ogni singolo dettaglio, dal piccione di fronte al Duomo ai piatti di spaghetti. Questa frenesia nello scattare non è da imputare, come spesso si è detto malignamente, alla volontà di appropriarsi delle amenità occidentali per riproporle in patria attraverso l’imitazione: semplicemente lo sviluppo di rullini e l’acquisto di apparecchi fotografici è da sempre meno costoso in Asia, mentre in Europa soltanto l’avvento del digitale ha reso la fotografia meno proibitiva.

Abbiamo fatto un giro in Piazza Duomo a Milano, per immortalare i turisti asiatici intenti nella loro attività preferita. Che si tratti di una reflex o di uno smartphone con tanto di bastone per i selfie, la missione rimane sempre la stessa: scattare a più non posso per non dimenticarsi neanche un istante del proprio viaggio.

 

Questa casa è un albergo!

Questa è la storia di un ragazzo che, circa un anno e mezzo fa, decise di aprire la sua casa ai turisti trasformandola in un bed and breakfast. Lo chiameremo Mario.

Innanzitutto occorre chiarire che questa operazione diventa da subito una “missione di vita”, come la definisce Mario: «Se qualcuno vuole cimentarsi nel farlo è giusto che lo sappia: deve sapere che a lungo andare si trasformerà in una colf. Aprirne uno in casa propria è un bell’impegno».

Ha preso questa decisione circa un anno e mezzo fa, quando a Utopia partiva una nuova ondata di airbnb. Un’esplosione pazzesca (anche nel mondo online) data probabilmente sia dall’aumento del turismo e dall’immediatezza della sharing economy, come mi suggerisce Mario: «C’è molta più gente che usa internet, tutti sono in generale più aperti, la maggior parte della gente parla inglese. Probabilmente l’insieme di queste cose ha fatto sì che ci sia stato il recente boom».

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La sua casa rimane nella zona centrale della città, in una cornice di tranquillità, verde e edifici antichi che credo colpiscano molto i turisti di passaggio. Mario ha girato il mondo, ha incontrato e provato ogni tipologia d’alloggio: dall’hotel al B&B, la tenda, l’amaca in spiaggia, i divani di Couchsurfing. Una volta tornato a vivere stabilmente nel Bel Paese, «mi mancava proprio l’idea di viaggiare e di avere intorno viaggiatori e mi sono buttato, ho provato a farlo così per ridere. L’ho fatto perché nella casa in cui vivevo c’erano due stanze i più che non usavo, nella realtà dei fatti, a lungo andare ti accorgi che mantenere un altro lavoro diventa ingestibile, soprattutto se hai due stanze da gestire. Fa si che i turisti arrivino davvero in ogni momento».

Chiaro è che l’impegno è direttamente proporzionale al servizio che si decide di offrire. Nella città la situazione è diventata molto competitiva: solo 200 sono i B&B registrati legalmente, aggiungendo il numero delle stanze affittate da privati e non registrate si potrebbe arrivare al doppio (queste le voci di corridoio del losco giro dei B&B fantasma).

Per sopravvivere alla spietata concorrenza occorre metterci la testa e dare all’attività un’impronta imprenditoriale, continua Mario: «Se decidi di farlo per hobby (come può essere couchsurfing) puoi decidere che, per 200 euro al mese, il turista che arriva in ritardo può aspettarti anche sotto la pioggia e chi se ne frega – anche della recensione negativa che ti faranno e del fatto che probabilmente da quel momento avrai due ospiti in meno. Oppure decidi di farlo seriamente e in maniera professionale, quindi di farne il tuo lavoro a tempo pieno».

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Come mi spiega il giovane albergatore, l’entusiasmo iniziale è un sentimento comune: il pensiero di avere intorno tanti viaggiatori da conoscere, l’intesa che si crea con le persone abituate a viaggiare nella realtà dei fatti tutto questo non esiste. Meglio, esiste in una dimensione marginale che può creare situazioni molto piacevoli; sta di fatto che gestire l’arrivo e la quotidiana accoglienza di turisti crea stress, non è più un piacere. La verità è che passerai tutti i giorni a pulire, sistemare la casa, rifare i letti e stirare tutti i giorni della tua vita. «In realtà avere un B&B vuol dire “fare la colf”, questa è la realtà dei fatti. Chiaramente esistono mille modi per affrontare questa cosa: penso a coloro che hanno la fortuna di avere una (o più) case di proprietà, quindi senza affitto da pagare, che possono permettersi di avere un addetto alle pulizie».

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L’elemento chiave di questa forma di ospitalità sono diventate le recensioni: su siti, quali Booking, Trip Advisor, Expedia, Airbnb ognuno registra il “profilo” del proprio B&B con la sua offerta e le recensioni di coloro che in quel letto han già dormito. C’è da dire che tante recensioni sparano a zero un po’ su tutto, spesso risultano non veritiere come l’esempio di Mario: «C’è della gente che, veramente, viaggia e non capisce. Dei turisti sono riusciti a scrivere nella recensione che il mio corridoio “è spoglio”! Cosa vuol dire che un corridoio è spoglio?!». Il corridoio in questione è un corridoio bianco con appese alle pareti delle mappe geografiche. Questo per farvi capire quale “cappio al collo” siano le recensioni per un’attività di questo tipo. Sono estremamente rigide e questo influisce molto sull’avvio dell’ airbnb.

Aggiungete a questo l’ansia dei turisti in ritardo. Qualche volta colpevoli, qualche volta semplicemente in balìa dei mezzi di trasporto, hanno la capacità di scombussolare totalmente la tua giornata e i programmi che ti eri fatto. «Non puoi farci nulla. Ne succedono di ogni sorta: gente che si perde tra la stazione e Porta Nuova, gente che “Arriviamo alle 17.00”, alle 17.00 non arriva, provi a contattarli e scopri che  “Ci siamo fermati a mangiare qualcosa e arriveremo alle 18.30”. Poi magari si scusano, però va così». Il segreto è prenderla con positività, incastrare al meglio il lavoro e i propri impegni tenendo sempre in considerazione il fattore imprevedibilità.

Questa è la storia di Mario e del perché non aprire un B&B in casa propria.

 

 

In copertina, ph. Stevepb (CC0)

 

Meglio soli che mal accompagnati?

Italiani, rassegniamoci, siamo un popolo di vacanzieri. Che si tratti di vacanze low budget o di soggiorni lussuosi, sono più di 57 milioni i viaggi compiuti dai cittadini del Bel Paese nel 2015. Se si considerano poi i 340 milioni di pernottamenti registrati dall’ISTAT nello scorso anno non si può fare altro che constatare che sì, ci piace viaggiare e lo facciamo spesso.

Ma, come si dice, che gusto c’è se le passioni non vengono condivise? Nessuno, infatti. Per questo il turista italiano sceglie ancora di frequente di unirsi a viaggi di gruppo, o gruppi-vacanza che dir si voglia, e di condividere gioie e dolori delle proprie avventure con altri connazionali. Siamo sicuri che, volenti o nolenti, tutti voi abbiate partecipato ad una vacanza in compagnia e che probabilmente la vostra esperienza rientri in una delle categorie individuate in questo articolo. Ecco dunque la lista di Pequod dei gruppi-vacanza che avrete il piacere di incontrare quest’estate. Attenzione: uno di questi gruppi potreste proprio essere voi!

Pensionati in pellegrinaggio

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Pensionati di Monticello a Misano Adriatico (RN) / casateonline.it

L’evergreen dei viaggi organizzati, il trionfo del marsupio e del sandalo con calzino. A tutti voi sarà capitato di incontrare gruppi di allegri pensionati ammassati fuori da chiese e luoghi sacri. I più devoti vicinissimi alla guida, rigorosamente con microfono e con abiti dai colori sgargianti, così che nessuno la perda di vista. Le mete più apprezzate da queste comitive? In Italia nella top 4 ci sono San Giovanni Rotondo, località del foggiano dove oggi riposano le spoglie di Padre Pio, Padova, che con la Basilica di Sant’Antonio rappresenta un vero e proprio classico del turismo religioso del Nord Italia, Assisi e, chiaramente, la Basilica di San Pietro.

Addii al nubilato e addii al celibato

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Addio al celibato di Marco ad Amsterdam / noiduepercaso.com

Il merito (o la colpa) di aver sdoganato i festeggiamenti pre-nuziali in trasferta va senza dubbio alle compagnie low cost. Da quando volare in una capitale europea costa quanto una pizza e un tiramisù, gli organizzatori di questi eventi goliardici scelgono sempre più spesso di portare tutta la comitiva di amiche o di amici in una località esotica, che soddisfi la sofisticata equazione “alcool a buon prezzo + discoteche = ci spacchiamo”. I tratti distintivi dei gruppi degli “addii”? Riconoscerete un addio al nubilato perché ci sarà un gruppo di ragazze con discutibili t-shirt rosa, o fucsia, con scritto “amica della sposa”, mentre l’outfit della suddetta sposa sarà impreziosito da una coroncina con velo. Le destinazioni predilette dai gruppi di ragazze sono quasi tutte in Spagna, Barcellona e le Baleari in primis. Perché l’ultima sbronza pre-matrimoniale ha più gusto se a servirvi la sangria o la cerveza è un tenebroso macho latino di nome Miguel. Gli addii al celibato vedono invece protagonisti le parrucche, pazze e colorate, e un abbigliamento improbabile studiato espressamente per mettere in imbarazzo il povero sposo, costretto a fotografie compromettenti con le bellezze locali. Per questo gli organizzatori del viaggio-festa scelgono solitamente località famose per la bellezza delle loro dame: città del Nord Europa, del Paesi Bassi e dell’Europa dell’Est.

Viaggi post-maturità

da "Che ne sarà di noi" (Giovanni Veronesi, 2003) / ivid.it
da “Che ne sarà di noi” (Giovanni Veronesi, 2003) / ivid.it

Li riconoscerete dal cappello di paglia e dalla bottiglia di vodka nascosta male nello zaino all’imbarco dell’aereo. Sono i neodiplomati che, finalmente liberi, partono per la loro prima avventura da maggiorenni, per la vacanza della vita. La loro eccitazione non conosce limiti e difficilmente riuscirete a dormire se li troverete sul vostro aereo, ma un po’ dovete aspettarvelo, se scegliete di andare ad Ibiza o a Mykonos a luglio o agosto…

Visita guidata al museo

Guida con microfono / prolocosovico.it
Guida con microfono / prolocosovico.it

Sapevate che negli ultimi anni sono aumentati gli italiani che scelgono di visitare i musei, specialmente in gruppo e con la guida di un esperto? Un dato senz’altro positivo, che però rende la vita del visitatore solitario un po’ più difficile. I gruppi di persone che si avvalgono della guida per visitare un museo sono spesso molto affiatati e curiosi e le guide amano soffermarsi a lungo sui dettagli per permettere al pubblico di godere di un’esperienza culturale completa. Lo spiacevole risultato per chi non fa parte del gruppo ma vuole comunque vedere la mostra è il sovraffollamento di fronte ai pezzi principali della collezione. E non dimentichiamoci che quando il gruppo è numeroso, la guida ha bisogno di un microfono per farsi sentire…

Cinquantenni tecnologici

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howtogeek.com

Se è vero che i trent’anni sono i nuovi venti e che i quaranta sono i nuovi trenta, per certi versi i cinquanta sono i nuovi quindici. Che cosa significa? Se pensiamo all’appeal che le nuove tecnologie hanno sui nati negli anni Sessanta, è facile ritrovare nel loro entusiasmo di fronte ad uno smartphone o nella complicità con cui si scambiano immagini divertenti su WhatsApp la stessa emozione, ma anche lo stesso fare impacciato, degli adolescenti che per la prima volta escono il sabato sera. Quale conseguenza nell’universo dei viaggi di gruppo? I cinquantenni di oggi, solitamente con figli ormai grandi ed autonomi, hanno sempre più spesso l’idea di organizzare weekend a spasso con i loro coetanei. Da cosa si riconoscono questi ritrovati adolescenti? Senz’altro dalla spensieratezza sui loro volti, dovuta al non essere più costretti a fare vacanze a misura di bambino, ma soprattutto dal tablet con cui immortalano ogni singolo dettaglio del luogo che stanno visitando. Alzi la mano chi di voi non ha mai ricevuto dai propri genitori, zii o colleghi un selfie fatto con l’ipad retto da entrambe le mani, o una fotografia del mare, rigorosamente storta e con un pezzo di dito (non voluto) ad incorniciare il panorama?

Sperimentarsi sul palco, senza etichette: il teatro secondo i villaggi turistici

Anche quest’estate, come ogni estate, le stagioni teatrali sono già concluse e gli stabili calano il sipario, dando appuntamento al loro pubblico tra qualche mese. Senza fissa dimora, gli spettacoli vagabondano, cercano altri palchi e inseguono i loro potenziali spettatori in piazza, per strada, al bar o al parco; si adattano a nuovi spazi, non proprio a misura d’attore, e a nuovi sguardi, non sempre interessati. Camaleontico, il teatro si trasforma, assume forme diverse, si avvicina all’intrattenimento e conserva i testi impegnati nel cassetto. Così riesce a intrufolarsi persino in quei paradisi di relax e svago che sono i villaggi turistici, e quella che potrebbe sembrare l’occasione meno adatta diventa una sfida per sperimentarsi con un pubblico diverso dagli “abbonati”.
L’animatore deve far ridere, lo spettacolo deve piacere; se i tempi per le prove sono stretti, i costumi non calzano a pennello e il compagno sbaglia la battuta, the show must go on. Non sono luoghi comuni, ma conferme che ci arrivano dalla chiacchierata con Elisa Cattaneo. Classe 1991, laureata in Beni culturali, Elisa continua la sua formazione teatrale, tra scuole e workshop, ed è tra le fondatrici della compagnia MITO, specializzata in musical.

«Ho iniziato a fare l’animatrice turistica nel 2008, quasi per scherzo. Ero in vacanza in un villaggio in Sardegna e la coreografa se ne andò perché sfinita dalla stagione; il direttore e il gruppo di animazione mi conoscevano da due anni e mi hanno chiesto di sostituirla. È stato il mio battesimo, un po’ inaspettato, ma se non avessi iniziato così non avrei mai iniziato. Ogni anno mi dico: “Non parto più”, “Sono stufa”, “Chi me lo fa fare?”, e poi parto comunque. Non è facile, ogni anno devi metterci del tuo, nella convinzione che sia un’occasione per crescere».
In effetti la giornata-tipo dell’animatore non dà tregua, soprattutto se, come Elisa, sei coordinatore di gruppo. Al sesto anno di esperienza, Elisa è responsabile delle attività fitness diurne e delle coreografie serali, che impegnano dalle 8.30 a mezzanotte non-stop, perché «tra un’attività e l’altra fai “contatto”, ossia non ti fai gli affari tuoi – spiega Elisa – ma cerchi di farti conoscere e di conoscere le esigenze degli “ospiti”, come li chiamiamo noi». L’ora del sonno per gli “ospiti” è per gli animatori ora di riunioni, programmazione e soprattutto tempo di prove.

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Questa è una delle prime, sostanziali differenze rispetto agli spettacoli proposti nei teatri: «Il 99% delle volte sali sul palco non sapendo cosa potrebbe succedere. È tutta improvvisazione: hai un canovaccio, sai cosa succede in quella scena e si improvvisa; a forza di ripeterla si definisce una specie di copione. Se ci sono copioni, vengono seguiti poco anche per un problema pratico: non c’è tempo di studiarli. Io ho sempre odiato questa cosa – confessa Elisa, abituata a tempi di prova più distesi, tra le pareti delle sale teatrali – ma impari».

Nella logica del villaggio, però, poco importa se c’è un vuoto di memoria o qualche errore, l’importante è fidelizzare i clienti e soddisfare le loro esigenze. Individuato il target, si programma il “cartellone” delle attività: liscio e burraco per la comitiva di anziani, baby dance e spettacoli più semplici per le famiglie con bambini.
Anche per questo negli show serali «si propone quasi sempre il cabaret, con 6-7 sketch in scaletta per un totale di un’ora, oppure il musical, con cui puoi arrivare a un’ora e mezza di spettacolo. La maggior parte degli spettacoli nasce dall’unione di tanti pezzi, per alcuni prendiamo ispirazione da altri artisti, per altri ci riuniamo davanti a un foglio bianco per dar sfogo alla creatività».

spettacolo itinerante corso circo

animazione 2012 Romeo e Giulietta il musical

Senza troppi giri di parole, sintetizziamo con Elisa la proposta teatrale-spettacolare dei villaggi turistici: «È un teatro fatto per il cliente, quindi non un teatro di ricerca, ma per far ridere, per piacere e attirare gente; per farla rilassare, svagare, per farle vedere qualcosa di nuovo e comunque di ben fatto, perciò si punta molto su costumi e scenografie, anche perché spesso gli attori, se non vengono da grosse agenzie di animazione, non sono professionisti».

Non si tratta di teatro sperimentale: per spettacoli innovativi nel linguaggio e provocatori nei contenuti c’è un anno intero; in vacanza, allora, ci vogliono spettacoli che colpiscono per leggerezza, comicità, freschezza. Questo non significa che la sperimentazione sia esclusa, che tutto sia preconfezionato e riproposto identico a se stesso.

«Si azzarda qualche sperimentazione sempre tenendo conto di esigenze pratiche, prima di tutto quelle degli ospiti; si può giocare con dei cambi di battute negli sketch comici, si può pensare di proporre un musical più impegnativo, senza happy end, come mi è capitato con un Romeo e Giulietta e Nôtre-Dame de Paris – ricorda con piacere Elisa – È un rischio che ti prendi se sei in un buon gruppo di animazione, ben affiatato. Sperimentare qui significa anche adattarsi a costumi un po’ arrangiati: non puoi avere troppe pretese, non tutte le agenzie hanno soldi da investire in abiti per il musical di una stagione che ritornano con i buchi!».
Il valore di un’esperienza di lavoro estenuante come quello dell’animatore turistico si misura nella pratica, cogliendo gli spunti di riflessione nei momenti in cui si devono affrontare (e in fretta) problemi e novità. «Questa è una buona scuola per imparare a improvvisare e ad arrangiarsi con quello che si ha a disposizione. Se per un musical sei abituato a scenografie importanti, impari a farti bastare un fondale; così per la costumeria, l’oggettistica e anche per le persone. Se si è in pochi, tutti fanno tutto, dal tecnico all’attore al presentatore, il che è un fattore positivo».

Salire su un palco e lanciarsi, anche dopo poche prove; improvvisare e seguire i compagni, “sentire” il pubblico e “aggiustare il tiro”: tutte esperienze che richiedono sensibilità e prontezza, con cui non sempre ci si misura nelle scuole o nelle Accademia. Al tempo stesso, però, secondo Elisa sarebbe ingenuo pensare di formarsi, come attore e teatrante, solo con i periodi di lavoro nei villaggi turistici: «Sicuramente da una stagione di animazione non esce il nuovo Gassman. Fatte più stagioni, tanti si sono iscritti a scuole di musical proprio perché l’animazione in sé non basta. Io ho seguito i tre anni al Teatro Prova di Bergamo, ad esempio, e ci sono anche altri corsi, scuole, accademie… ma è importante avere un’impostazione di base per emergere».

Shrinking Britain: a migrant’s view on the EU referendum

When I first moved to London it felt like my life had suddenly shrank. All the things that had been important to me until then pulled back to the background as I navigated my way through the challenges of adjusting to a new life. First came the awkwardness of not being able to communicate properly in English: the despair of trying to rent a room with a letting agent who would not speak slower irrespectively of how many times I asked her to, please. Then the frustration of booking an appointment for a National Insurance Number, mitigated only by the patience of the call handler who repeated her words over and over for me, a newcomer startled by her inscrutable inflection which I later learnt being a thick northern accent. Insecurity followed suit, felt under the scrutiny of the bank employee who let me open an account only after I had assured him beyond doubt that I would start a full-time job the following week, finally leaving ground to the overwhelming disorientation that pervaded me throughout the next months, as I tried to figure out how everything worked – from public transport to the subtleties of social interaction.

I was not new to this kind of experience: my family moved to Italy in 1992 to escape war in Yugoslavia, and I remember clearly how my parents struggled to find work and a landlord who would trust them enough to rent to them. I remember how their lives, too, seemed to shrink for years, as they battled the unbearable slowness of Italian bureaucracy and adjusted to the constant feeling of disenfranchisement and isolation guaranteed by life as a migrant in a small Italian town better known for its right-wing political views. I still remember vividly being observed and evaluated by the town’s inhabitants when my parents and their friends tried to recreate some sense of homeliness by drinking coffee after coffee (as it is custom in the Balkans) at the cafe in the town centre, talking and laughing loudly in their mother tongue. I also remember being excluded from the local children’s games because I didn’t know their rules and they didn’t have the patience to teach me. To this day, I am painfully aware of how many Italian uses are still unknown to my family and me despite having lived there for most of our lives, an incompleteness that testifies to the process through which we became Italian, not through the privilege of inherited customs but through the bumpiness of daily trial and error.

Photo by Pete Linforth / PIxabay
Photo by Pete Linforth / Pixabay

So, if you ask me, the initial experience of migration is best described as the feeling of your life narrowing, as your daily experience is reduced to a limited set of practical issues and uncomfortable feelings. But just like had happened to my parents in Italy, the process gradually reversed, and I eventually got to a stage where the full range of life’s experiences and feelings was available to me again. Today my life is richer thanks to my time in this country, and I can see that the initial shrinking I experienced was part of a process that eventually enabled me to look at the world through a wider, more complete perspective. I completed a Master degree in London, worked jobs in hospitality, academia and the charity sector, I got to know people from all over the world and made experiences that pushed me to reconsider my views and values. I came to appreciate the vastness of this city and the diversity of its inhabitants and became proud to be part of a society that values plurality and tolerance. Heck, I even learnt to understand northern accents.

If I was able to enjoy the challenges and rewards of life in this country, it was thanks to the privilege of European citizenship. If, as a child, I could participate to exchange programs that took me to England and Finland, it was thanks to projects sponsored by the EU to foster the movement of young people across its member states. I, too, see project Europe as limited and in need of change, but I hoped that over time we would see Europe improve and loosen its existing borders, rather than implode as new ones emerged internally. For all these reasons, when the result of the EU referendum was announced on the morning of the 24th, I felt truly devastated and could not shake off the feeling that the tide had turned in a direction ridden with dangers. Regardless of the long-term consequences that the decision to leave the EU will have on the UK, I can’t help but feeling that through this vote the British people have chosen to willingly narrow their lives. Within the country, there are many reasons to worry: job security may be jeopardised even more, Brits could loose their right to travel, work and live in Europe without visas, EU fundings to charities and research may be lost and there are concerns as to what will happen to human rights and worker’s rights once the protections afforded by the EU are taken away.

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Photo by Rohan Reddy / Pixabay

Nobody knows for sure what will happen once article 50 has been invoked and the negotiations have taken place; it may even be the case that the common market and the free movement of people will be, after all, maintained. But the problem is more fundamental: everyone who lives in this country knows that immigration has been the real issues at stake, and that the UK’s attitude towards diversity has been completely redefined throughout the referendum campaigns. The shock on my British friends’ and colleagues’ faces as they struggle to make sense of how this could happen testifies to the reluctance to accept that the values their country has long stood for have been so blatantly sidestepped, when not deliberately trashed, in the run up to the vote by both sides of the political debate. I listen and empathise as they, in what is probably a first for Britain, contemplate the possibility of their lives shrinking, through no fault of their own.

If we don’t learn the lessons of history, we are doomed to repeat them, they say. My friend’s shock reminds me inevitably of that of my parent’s generation when Yugoslavia started to fall apart: that the principles of cohabitation and diversity could be so readily abandoned in favour of nationalistic interests was for many Yugoslavs simply beyond comprehension, just as it seems to be for many Brits today. Europe is not perfect, just as Yugoslavia was not, but it seems to me that membership to a larger, supranational entity must entail a willingness to show patience to each other as we negotiate the rules of the game, accepting the bumpiness of the process that leads to the creation of a sense of belonging and community, imperfect but shared. As reports of racial abuse in the UK increase and the far-right across the continent is emboldened by the referendum result, I fear that Britain and Europe may be shrinking into smaller, more limited, versions of themselves. Watching the UK migrate away from Europe, I hold onto the hope that this process may reverse sometime soon.

Cover photo by Jamie Street / Unsplash