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Becoming Jake. Viaggio da un genere all’altro

Appena entro nel locale in cui ci siamo dati appuntamento, il mio sguardo inizia a scrutare i volti di chi è seduto ai tavoli finché non si posa sulle spalle di un ragazzo intento a leggere. Lui è Jake, Giacomo Arrigoni Gilaberte, classe ’91, nato in Brasile ma cresciuto in Italia. Jake è un giovane transessuale FtM (Female to Male, sigla per la transizione da un corpo femminile a uno maschile), che da circa due anni ha iniziato la terapia ormonale sostitutiva (TOS) per diventare colui che ha sempre sentito di essere: un uomo.

Durante l’inesorabile susseguirsi degli anni, ognuno di noi è soggetto al continuo rimodellamento della propria identità. Cruciale è il periodo a fine scuola elementare, quando dal corpicino di bimbo cominciano a spuntare i primi segni di una prosperosa femminilità o di una muscolatura virile. Jake non possiede un nitido ricordo che condusse colui che una volta era conosciuto come Jessica al desiderio di vivere come Giacomo. Ricorda tuttavia di essersi posto tantissime domande alle quali non trovava risposta: «A dodici anni non mi piaceva nulla del mio corpo. Pensavo comunque di essere un’adolescente come tante che si sentiva troppo grassa o troppo brutta… Ma con il passare degli anni mi sono accorto che non riuscivo a mostrarmi». Assieme alle prime esperienze, Jake si crede una donna e lesbica, incapace però di sentirsi a proprio agio nell’intimità sino ad arrivare al punto di considerare il sesso sopravvalutato.

La svolta avviene durante una puntata de “Il Testimone”, il programma di MTV Italia firmato da Pif, dove un gruppo di ragazzi si svela alle telecamere raccontando la propria transessualità. Sin da subito, Giacomo si ritrova nelle esperienze e parole degli intervistati e pian piano, assieme ai primi Pride e ai primi incontri, inizia cautamente a farsi strada l’uomo che c’è in lui. «Una sera, in discoteca, una mia amica mi presenta a un ragazzo transessuale (FtM come Jake, n.d.r.): mentre lui mi mostrava i vergini muscoli che si erano appena rafforzati su braccia e spalle (grazie alla terapia ormonale, n.d.r.), io rimasi rapito dal suo entusiasmo e capii che quella poteva essere la mia strada».
Una volta giunto allo Sportello ALA Milano Onlus, Giacomo incontra l’attivista e Responsabile Antonia Monopoli, che lo invita a iniziare un percorso psicologico: «Grazie alla bravissima Chiara Caravà, ho iniziato ad aprirmi e a parlare di tutto sino al fatidico giorno in cui mi ha detto “Per me, sei pronto”». Jake ha circa 22 anni quando si reca per la prima volta all’Ospedale Niguarda di Milano.

Giacomo ha fatto molti coming out nella sua vita. Il primo è stato per lo più taciuto: «Decisi di vivermi la mia identità da lesbica fregandomene del pensiero altrui, per poi scoprire che non mi bastava. Ciò che ero non rappresentava il vero me stesso… dovevo fare di nuovo coming out». E così Jake si è affidato al canale YouTube, grazie al quale l’involucro Jessica si è spezzato per far apparire per la prima volta Giacomo. Il timore maggiore era la paura che gli altri non riuscissero ad accettare il fatto che Jessica fosse stata sempre e solo mero rivestimento. Come a rimarcare il ruolo che i Social media detengono nella nostra società, Giacomo afferma che «condividendo il video sul mio profilo Facebook, mi sono tolto il peso di dover andare da ognuno e iniziare con “Ti devo dire una cosa”. Dopo la condivisione, invece, molte persone sono venute a chiedermi di parlarne assieme». In famiglia, Jake non ha fatto fatica a essere accettato e anzi, si ritiene fortunato poiché non pochi sono stati i casi di ragazze o ragazzi trans allontanati da casa.
«Il coming out lo vivo tutt’oggi – continua Giacomo – soprattutto con persone che ho appena conosciuto e in situazioni che non posso evitare. Ad esempio, se siamo in giro e mi scappa la pipì, non posso dirigermi in un angolo come qualsiasi uomo, quindi devo spiegare a chi ancora non mi conosce il perché debba cercare un bagno. E comunque anche nei bagni maschili ho le mie difficoltà: spesso le porte non si chiudono».

Non sono dunque i familiari o gli amici ad aver deluso Giacomo di fronte al suo presentarsi non più come ragazza ma come uomo: «Sono state le istituzioni e la burocrazia. Per iniziare la cura ormonale devi aver superato un percorso psicologico e avere l’approvazione dal Tribunale. Un giorno vado quindi in comune per ottenere l’atto di nascita da consegnare al Tribunale e inizio a compilare dei moduli di richiesta appositi per la transizione assieme alla signora dello sportello… la quale continua a chiamarmi “signorina”. Un’altra volta invece sono andato a fare i prelievi del sangue e un infermiere, leggendo la mia cartella e poi guardandomi, mi fa: “Ma sei un uomo o una donna?”. O ancora il medico di base, che durante il solito controllo della pressione, sdraiato sul lettino, mi alza i pantaloni e mi dice: “Ma sei sicura? È proprio un peccato”. Ma se ho bisogno di assistenza medica a chi posso far affidamento se non a un medico?!». Questi sono solo alcune delle violenze di genere che Jake ha dovuto subire da parte delle istituzioni pubbliche al servizio del cittadino.

In Italia non è difficile accedere alla procedura di transizione, mi confessa Jake, sebbene l’iter sia tremendamente lungo e lento. Giacomo iniziò il 3 dicembre 2013 le punture di testosterone e da allora un po’ di cose sono cambiate.
Nel successivo frizzante video, i cinque cambiamenti più significativi dei primi 9 mesi di terapia ormonale:

Ma a che punto siamo con il rispetto dei diritti delle persone transessuali in Italia? «Sulla carta sono sì rispettati, ma poi la realtà è ben diversa. C’è molta ignoranza in materia! Senza contare che la comunità trans italiana non si è ancora affermata definitivamente e questo è un peccato poiché potrebbe far tanto per sopperire alle lacune delle istituzioni. Certo è che ognuno di noi fa coming out quando può ed è pronto».

Dopo gli ultimi due sorsi di birra, lascio Jake partendo dalla prima domanda che gli feci: come stai? «Ah! Da due anni a questa parte sono solo gioie! Mi sveglio benissimo, sempre proiettato verso il futuro: domani è sicuramente un giorno migliore perché è un giorno in più verso quello che voglio essere. Verso Giacomo».

Fotografie di Giacomo Arrigoni Gilaberte

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Francesca Gabbiadini

Nata in valle bergamasca nell’inverno del 1989, sin da piccola mi piace frugare nei cassetti. Laureata presso la Facoltà di Lettere della Statale di Milano, capisco dopo numerosi tentavi professionali, tra i quali spicca per importanza l’esperienza all’Ufficio Stampa della Longanesi, come la mia curiosità si traduca in scrittura giornalistica, strada che mi consente di comprendere il mondo, sviscerarlo attraverso indagini e ricomporlo tramite articolo all’insegna di un giornalismo pulito, libero e dedito alla verità come ai suoi lettori. Così nasce l’indipendente Pequod, il 21 maggio del 2013, e da allora non ho altra vita sociale. Nella rivista, oltre ad essere fondatrice e direttrice, mi occupo di inchieste, reportage di viaggio e fotoreportage, contribuendo inoltre alla sezione Internazionale. Dopo una tesi in giornalismo sulla Romania di Ceauşescu, continuo a non poter distogliere lo sguardo da questo Paese e dal suo ignorato popolo latino.

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