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Dall’architetto agli architetti. L’open source è una risorsa aperta a tutti

Un modo di progettare nuovo nonostante le sue origini antiche. Un modo di progettare ufficiale nonostante la partecipazione (anche) di non addetti al lavori.

È l’architettura open source, quella che permette di costruire case e città “dal basso”, la protagonista del nuovo libro dell’architetto Carlo Ratti “Architettura Open Source – Verso una progettazione aperta”, edito da Einaudi: la sua esperienza negli Usa, dove al Massachusetts Institute of Technology dirige dal 2004 il MIT Senseable City Lab, e il lungo lavoro sulle città e la tecnologia, culminato in un intero padiglione alla Biennale di Venezia del 2006, porta oggi l’architetto a considerare un modo di progettare tanto antico quanto innovativo.

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Nel volume vengono infatti sviscerati i momenti salienti in cui l’architettura open source si è sviluppata, e quali mezzi sono oggi a nostra disposizione per poterne beneficiare.

La prima parte è costituita dalla dimostrazione della inadeguatezza della figura dell’architetto “prometeico”, quel “faccio-tutto-io” nata dal Movimento Moderno di inizio del secolo XX con figure del calibro di Le Corbusier. Ratti fa risalire questa sopravvalutazione del singolo a Vasari e alle sue Vite, quando se un edificio non era immediatamente riconducibile al nome di un architetto allora quell’edificio non era degno di considerazione: ne è conseguita l’idea di un’architettura gonfiata oltre ogni limite.

Ma a fronte del fallimento dell’architettura Moderna vengono esaminate anche alcune figure che avevano capito in anticipo: Rudolfsky in Usa con l’architettura senza architetti e il suo ritorno alla tradizione vernacolare, Cedric Price in Uk e Giancarlo de Carlo in Italia, il quale già negli anni Sessanta prevedeva la partecipazione degli abitanti al progetto edilizio.

 

Nella seconda parte si illustrano poi i vantaggi delle nuove tecnologie della rete: Linux, software Open Source, Wiki sono infatti piattaforme aggregative che, accorciando le distanze, permettono alla popolazione 2.0 di aggregarsi in una vera piazza, quella digitale, e scambiarsi idee e pareri in vista della realizzazione di un progetto condiviso.

Nascono così gli effetti dell’open source: stampanti 3D, la costruzione come educazione, ma soprattutto i Fab Lab, quei Fabrication Laboratory in cui la dotazione tecnologica, costituita da macchine a taglio laser, stampanti 3D e frese consentono a chiunque di produrre o aggiustare (quasi) qualunque cosa.

Ratti si dimostra a favore dell’abbandono del copyright per il Creative Commons, licenze che permettono ai creatori di scegliere e comunicare quali diritti riservarsi e a quali diritti rinunciare a beneficio dei destinatari.

 

Molti sono stati i pareri espressi: la constatazione del fallimento dell’architettura moderna sollazza chi gli archistar proprio non li sopporta, mentre il massiccio utilizzo che si farebbe del web è un palese tentativo di riattivare non solo la partecipazione con la tecnologia attuale ma anche l’intervento delle nuove generazioni, forse non esperte di architettura ma sicuramente più ferrate nella modalità open di un progetto on line.

D’altro canto non sono mancate le perplessità: c’è chi ha azzardato il rischio di proporre un mondo virtuale che annullerebbe l’architettura fisica riducendola a uno schermo. Un altro rischio ventilato è stato quello di cadere dalla padella alla brace, passando cioè dalla “macchina per abitare” di Le Corbusier al “computer in cui si vive”. Nostalgici contro innovatori: chi avrà ragione? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

In copertina: la torre di Carlo Ratti e Bjarke Ingels a Singapore.

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Clara Amodeo

Classe 1989, nasco a Milano dove frequento il Liceo Classico Parini. Forse con la benedizione del mio ben più noto predecessore compagno di scuola, Walter Tobagi, intraprendo la sua stessa strada lavorativa iniziando a collaborare con una testata giornalistica di Sesto San Giovanni, proprio quando, nel 2008, mi iscrivo al corso di laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali. Da quattro anni sono pubblicista all’Ordine dei Giornalisti di Lombardia, e, per non farmi mancare nulla, conseguo anche la laurea magistrale nel corso in Storia e Critica dell’Arte nel 2014. Attualmente frequento la Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano, forte di un’esperienza non solo redazionale ma anche direttiva: sono infatti vicedirettrice del sito Pequod rivista.

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