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Fidelio, storia di un’eroina

 

 

 

Noi, esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito, siamo nati per avere insieme gioie e dolori; e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza.”
Ludwig van Beethoven

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Dato il grande fermento per l’imminente rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano (prevista per il 7 dicembre), per la regia di Deborah Warner e diretta da Daniel Barenboim, vi parlerò proprio di questa grande (nonché l’unica) opera del maestro Beethoven.  Tra il 20 novembre 1805 e il 23 maggio 1814 quest’opera venne riproposta in tre versioni diverse, dopo un taglia e cuci di atti, ripensamenti sul titolo e rimaneggiamenti per conferire maggiore tensione drammatica alla versione definitiva.

Quest’opera si identifica nel modello del Singspiel (letteralmente: “canto e recitazione”), un genere operistico il cui l’azione si distribuisce sull’alternanza di dialoghi recitati e pezzi musicali chiusi. Nato e sviluppato dagli austriaci e dai tedeschi tra il XVIII e il XIX secolo, era molto apprezzato perché, a differenza dell’opera italiana, vi erano vere e proprie parti parlate (in tedesco) come nel teatro di prosa.

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Il soggetto dell’opera è ispirato ad un fatto realmente accaduto in Francia durante gli anni del Terrore, dal quale Jean-Nicolas Boully creò la sua Léonore, ou L’amour conjugal, rappresentata a Parigi nel 1798 con la musica di Pierre Gaveaux. È da quest’opera che Beethoven prese spunto per il suo Fidelio. La vicenda narra di una signora travestita in abiti maschili che si introduce in un oscuro carcere dove suo marito è imprigionato illegalmente. Rivoltella alla mano, lo protegge dal suo persecutore prima dell’arrivo del ministro che libererà i prigionieri innocenti.

Ouverture

La storia è divisa in due atti, senza nulla togliere alla stupenda ouverture iniziale. Siamo in una prigione un po’ fuori Siviglia, dove il governatore Don Pizarro ha rinchiuso ingiustamente il suo personale nemico Florestan. A quanto pare non conosceva sua moglie Leonore che per ritrovare il marito si travestì da uomo, prendendo il nome di Fidelio. Azione, mistero, tentati omicidi, tutto sembra perduto ma ecco il colpo di scena!

Il canto dei prigionieri

Piacevano molto questi intrecci nei quali, dopo lunghe peripezie romanzesche dell’eroe o dell’eroina, incarcerazioni ingiuste, torture e morti, avveniva sempre un’ inattesa “liberazione” in extremis. Stiamo parlando dell’ opéra à sauvetage (“opera a salvataggio”), che arrivava dalla Francia e che piacque tanto a Beethoven (al punto di piantare a metà un’opera che stava componendo, dal sapore un po’ più classico: Il fuoco di Vesta). In queste opere il cattivo era quasi sempre un “tiranno” che incarnava il potere pre-Rivoluzione (la corte, la nobiltà, la Chiesa). Per calamitare l’attenzione del pubblico si usavano i più diversi e spettacolari colpi di scena e situazioni shock, che suscitavano sgomento e portavano brusche svolte all’azione.

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C’è un alto contenuto morale nella storia: la fede nei valori positivi, la libertà, le pulsioni affettive che vengono sopraffatte dal potere, l’umanità che si ribella ai tiranni e alla schiavitù, l’uomo che affronta e vince le difficoltà della vita. Tutti temi e convinzioni etiche molto care a Beethoven che trovò nel nuovo genere francese il mezzo più adatto per comunicarle.

featured, Fidelio, Ludwig Van Beethoven, Scala Milano


Sara Alberti

Nata sulle colline bergamasche nel 1989, percuoto dall’età di otto anni, quando ho iniziato a studiare batteria e percussioni da orchestra nel Corpo Musicale Pietro Pelliccioli di Ranica (W la banda!). Dopo essermi barcamenata tra le varie arti, la Musica ha avuto la meglio e mi è valsa una laurea in Musicologia. Profondamente affascinata dal vecchio e dall’antico, continuo a danzare e suonare nella Compagnia per la ricerca e le tradizioni popolari “Gli Zanni” e per il mio grande amore balcanico Caravan Orkestar. Su questa nave di pirati sono la responsabile della sezione Nuove Premesse, della cambusa e della rubrica musicale.