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Il 21 marzo si ricorda ( e si agisce )

Questa rubrica ha un nome: si chiama intercity 791. L’intercity, con quel codice numerico accanto, era il treno che presi la prima volta che sbarcai a Milano. Avevo 19 anni e la stazione Centrale era un po’ diversa.
Un nome che ha in sé un romanticismo al limite del mieloso, del patetico, forse.

Tuttavia, nel momento in cui ho pensato a questo appuntamento sulla nostra rivista, in cui si parla di criminalità organizzata, non ho potuto fare a meno di unire le due cose: il viaggio in treno – il cui fascino batte ancora le vantaggiosissime offerte Ryanair – e la drammaticità di una migrazione che, seppur con i connotati della nostra epoca, ha ancora, in molti casi, quel retrogusto amaro della fuga, il sapore della costrizione.

Nel momento in cui scrivo, mi rendo conto di quanto la mia metafora itinerante renda perfettamente l’idea di ciò che succede sotto i nostri occhi, quotidianamente.
Oggi parliamo di due vicende, fatti di cronaca che non possono non farci riflettere.
Parliamo di mazzette o “pizzo”, chiamatelo come volete e che mette in ginocchio interi settori economici e le attività di chi prova a ribellarsi alla “tassa” dovuta alla mafia.
In un momento storico particolare, soprattutto per quanto riguarda la situazione economica, che ci portiamo dietro da quell’anno in cui scesi per la prima volta da quel treno, le condizioni in cui sono costretti a operare molti commercianti oltrepassa il limite di quanto uno stato civile possa permettersi per definirsi tale.


Tiberio Bentivoglio è un imprenditore, titolare di una sanitaria nel centro di Reggio Calabria. Nel 1992, già durante i lavori di ampliamento dei locali del suo esercizio, arrivano le prime intimidazioni. Dopo anni di lotte per pagare fornitori e debiti accumulati per riavviare l’azienda  dopo i vari attentati e furti, nel 2011 gli ‘ndranghetisti alzano il tiro: un giorno Bentivoglio viene seguito, i sicari esplodono sei colpi di pistola alle spalle. Viene salvato dal suo marsupio: uno dei due proiettili che centrano la sua figura rimane incastrato tra le tessere del portafogli che si trovava all’interno del borsello e che l’imprenditore aveva allacciato all’altezza delle scapole, un altro lo colpisce al polpaccio, mentre i restanti quattro finiscono nel vuoto.
L’ultimo drammatico episodio risale allo scorso 29 febbraio. L’imprenditore reggino, in attesa di spostarsi in un immobile confiscato alla criminalità, subisce un altro attentato. L’incendio è devastante, distrugge i locali dell’attività e tutta la merce al suo interno.

Da Reggio Calabria risaliamo lo stivale e arriviamo a Milano. Lunedì 9 marzo è stato presentato il rapporto sulla sicurezza degli esercenti: la percentuale di attività costrette a pagare sono altissime; la pervasività della malavita – della ‘ndrangheta in particolare – è oltre il livello “di guardia”.

Oggi è il 21 marzo. E come ogni primo giorno di primavera l’associazione Libera ricorda le vittime innocenti della mafia. Ma l’impegno di questa e altre associazioni non si esaurisce nei momenti di ricordo.

L’associazione Reggio Libera Reggio di Reggio Calabria è stata molto vicina all’imprenditore vessato dalla ‘ndrangheta, tanto che in pochi giorni si sono tenuti i festeggiamenti per la riapertura, in un locale confiscato alla mafia, della sanitaria di Bentivoglio.

E’ stato un bel segnale, utile, forse, a risvegliare le coscienze e a ricordare a tutti i cittadini, ancora una volta, che tutti noi abbiamo un ruolo fondamentale in questa partita. Anche solo parlarne è un modo per iniziare l’offensiva.

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