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Il caffè americano in Italia: welcome Starbucks?

Il caffè è il prodotto più scambiato al mondo, secondo solo al petrolio sui mercati finanziari del pianeta, e con una produzione mondiale di 5,9 milioni di tonnellate. Quanto al consumo di caffè, ogni giorno in tutto il mondo se ne bevono quattro miliardi di tazzine. Apprezzato quasi quanto l’acqua, nel mondo esistono molteplici modi per produrlo. Dal 1885 l’Italia è considerata patria dell’amara bevanda grazie al brevetto internazionale dell’imprenditore torinese Angelo Moriondo, inventore della macchina per il caffè espresso. Sebbene al 7° posto della classifica europea sul consumo giornaliero, i dati presentati dalla Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, sottolineano come l’Italia si gusti ogni anno 6 miliardi di tazzine espresso e cappuccini, servite in oltre 200.000 bar con un giro di affari intorno ai 6,6 miliardi di euro.

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«La caffetteria al bar è un prodotto di punta e rappresenta oggi il 30% del fatturato complessivo», dichiara Luciano Sbraga, direttore dell’Ufficio Studi Fipe. «Un dato che sancisce il ruolo fondamentale del bar nei consumi fuori casa e fa in modo che alcune grandi catene internazionali del settore non siano ancora entrate nel mercato italiano». Affermazioni datate febbraio 2016 e subito smentite dall’annuncio di Howard D. Schultz, presidente e CEO della famosa catena di caffetterie Starbucks, nei primi giorni di marzo di quest’anno, che aprirà il suo primo bar in Italia agli inizi del 2017 nel centro di Milano, sebbene per ora non si sappia ancora l’indirizzo esatto. Catena internazionale fondata nel centro di Seattle nel 1971, l’idea di creare Starbucks venne in mente a Schultz durante un viaggio fra Milano e Verona, lungo il quale rimase affascinato dall’immagine del bar italiano, dalla passione che il nostro Paese riserva alla preparazione della bevanda e dall’inconfondibile gusto espresso che, una volta ritornato a casa, adattò al mercato statunitense. La catena del famoso caffè americano ha seguaci in tutto il mondo, tanto che Shultz possiede oggi 24 mila negozi in 49 Paesi sparsi per il globo.

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Distribuzione di Starbucks nel mondo.

Cosa significa introdurre il caffè americano in Italia? Secondo i dati di Euromonitor il 90% delle caffetterie sono indipendenti, e fino a oggi i colossi internazionali (per esempio McDonald’s McCafe) non hanno sfondato. Assolutamente ottimista è invece il Gruppo Percassi, business company promotrice non solo di questa catena americana, ma anche di altre importanti partnership internazionali. Il proprietario è l’imprenditore bergamasco Antonio Percassi, scelto come licenziatario unico di Starbucks in Italia e che diventerà a breve proprietario e gestore dei locali.

3La sfida sarà riuscire a vendere un prodotto all’interno della forte “tradizione italiana” guidata dall’espresso: forse sarebbe il caso di comprendere la differenza fra un prodotto e un servizio. Per quanto riguarda il prodotto, il primo Starbucks italiano si adatterà alla nostra cultura, inserendo nel menù piatti tipici italiani e servendo una miscela di caffè creata appositamente per i gusti dei milanesi; altresì la struttura interna del locale, che riprodurrà il classico bancone da bar all’italiana. Scelta fondamentale se si vuole concorrere coi prezzi della nostra tazzina, che sta “sempre” attenta a non superare il costo di un euro. Shultz infine, da bravo imprenditore, ci tiene subito a sottolineare al Magazine del Sole24Ore che «Starbucks non arriva in Italia con la pretesa di insegnarvi a tostare il caffè o a consumare un espresso» ma «ci arriva con grande umiltà per presentarvi la nostra interpretazione del caffè, la cui componente essenziale è quella di creare un senso di comunità, di terzo luogo, tra casa e posto di lavoro».

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Il servizio di Starbucks non si limita solo ad ampliare l’offerta delle nostre caffetterie. La forza della sua prossima apertura giocherà indubbiamente sul servizio offerto alla clientela milanese: la presenza del wi-fi (non sempre presente dei nostri bar), la vendita di dischi e riviste, ampi spazi dedicati non solo al relax o alla condivisione. Il bar italiano medio è invece concepito per una clientela dotata di un numero ignoto di pause caffè, comunque non superiori ai cinque minuti. Strabucks cerca invece di dare risposta a quelle fascia di lavoratori che oramai va per la maggiore: i liberi professionisti. «Il piccolo dettaglio fin troppo trascurato è che la clientela liquida di chi non ha orari da ufficio tradizionale è in aumento, mentre l’altra in diminuzione», scrive il direttore Massimiliano Tonelli su “Gambero Rosso”.

Il fascino dell’occidentale caffè americano potrebbe dunque lusingare la clientela italiana, abituata almeno fra le nuove generazioni a usufruire della catena Starbucks all’estero. La prossima apertura, in una delle città più europee d’Italia, saprà sciogliere o confermare lo scetticismo di molti.

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Francesca Gabbiadini

Nata in valle bergamasca nell’inverno del 1989, sin da piccola mi piace frugare nei cassetti. Laureata presso la Facoltà di Lettere della Statale di Milano, capisco dopo numerosi tentavi professionali, tra i quali spicca per importanza l’esperienza all’Ufficio Stampa della Longanesi, come la mia curiosità si traduca in scrittura giornalistica, strada che mi consente di comprendere il mondo, sviscerarlo attraverso indagini e ricomporlo tramite articolo all’insegna di un giornalismo pulito, libero e dedito alla verità come ai suoi lettori. Così nasce l’indipendente Pequod, il 21 maggio del 2013, e da allora non ho altra vita sociale. Nella rivista, oltre ad essere fondatrice e direttrice, mi occupo di inchieste, reportage di viaggio e fotoreportage, contribuendo inoltre alla sezione Internazionale. Dopo una tesi in giornalismo sulla Romania di Ceauşescu, continuo a non poter distogliere lo sguardo da questo Paese e dal suo ignorato popolo latino.

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