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In viaggio verso casa, un mese di vita a Dakar

Ripensando Dakar, i primi ricordi che sempre riaffiorano alla mia mente sono le sensazioni provate nei primi minuti, appena atterrata sul continente Africa: la presenza umana e l’odore speziato dell’aria. Sono anche le sensazioni che mi hanno accompagnata per il resto del viaggio,delle mie cinque settimane dedicate a capire e imparare ad amare il popolo di questo Paese, il Paese dell’uomo che ho sposato e della sua famiglia d’origine.

È soprattutto all’interno dei vari quartieri di Dakar che si ha la possibilità di vedere quella vita comunitaria per cui l’Africa è tanto rinomata. La capitale del Senegal è infatti divisa in 19 quartieri, a loro volta divisi in rioni numerati, i cui abitanti sono tendenzialmente accomunati dall’appartenenza ad etnie che da generazioni si tramandano gli stessi mestieri.  La mia tanta, ossia mia suocera, abita ad HLM, non ci è nata: viene da un villaggio, dove ha incontrato il marito che l’ha portata qui; la stessa storia mi racconta la domestica di casa Yacine, di cui i primi giorni non capisco la presenza, visto l’esubero di donne in casa: «Così mi aiutano -mi spiega Yacine- se ogni famiglia fa lavorare in casa una ragazzina dal villaggio, in cambio lei non solo mangia con loro, ma ha anche la possibilità di studiare e fare qualcosa di meglio un giorno».

L’istruzione in Senegal è un diritto imprescindibile e un dovere cui è difficile sottrarsi: gran parte dei bambini frequenta due scuole,una francese e una coranica, dove studia un numero per noi inimmaginabile di lingue: wolof, francese, inglese, arabo.

E i bambini in strada? Loro sono un pensiero fisso della mia prima settimana a Dakar: sono tantissimi, chiedono l’elemosina o vendono piccoli prodotti: noccioline, acqua fresca, arance… Ma mi insegnano che in Africa comunità è anche questo: non avendo un sistema assistenziale statale, la comunità pensa ai più deboli. Così i bambini studiano con l’imam, dormono nelle moschee o sotto le bancarelle dei mercati dove fanno da guardie, si vestono e mangiano di quello che le famiglie lasciano per loro la sera aspettando che bussino alla porta.

Venditrici di angurie

E lungo la strada ci sono tante iai (mamma/donna) pronte a tenere un occhio su loro. Di giorno infatti tutta Dakar sembra trovarsi in strada; tutto si produce e si vende alla luce del giorno: dagli alimenti ai divani, dalle borse alle stoviglie… e per tutto si deve fare waχale, ossia trattare sul prezzo. E così che le strade si riempiono di voci urlanti cifre, prezzi e ciniche battute delle donne senegalesi, che vanno a mescolarsi al caos prodotto dai motori, che qui sono un numero esorbitante. In pochi possiedono un’auto,ma nessuno cammina:Dakar è intasata dai mezzi pubblici,nelle forme più svariate: taxi regolari, taxi abusivi,taxi a 9 per lunghe tratte, dem ak dikk (letteralmente “andata e ritorno”, una sorta di bus di linea) e i cars rapides, pulmini le cui fermate e la cui destinazione si disegnano durante il percorso, a misura di chi ci è seduto o deve salire.

Solo la Grande Moschea può riportare il silenzio, battendo l’ultima chiamata alla preghiera, l’ultimo bagno, l’ultimo momento di ritrovo all’interno delle decine di minareti dispersi per Dakar; poi ognuno torna in famiglia, per sedersi attorno a un unico grande piatto in cui ognuno immerge il proprio cucchiaio. Nelle vie di Dakar resta solo quell’odore speziato, che è il mischiarsi dei fumi della benzina di scarsa qualità all’odore di tostatura delle noccioline, ed il suono portato dal vento di qualche gruppo di uomini in chissà quale quartiere della città che stanotte starà sveglio a cantare il nome di Allah.

Venditori di arance

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Sara Ferrari

Nata e cresciuta nelle valli bergamasche a fine anni 80, con una gran voglia di viaggiare, ma poca possibilità di farlo, ho cercato il modo di incontrare il mondo anche stando a casa mia. La mia grande passione per la letteratura, mi ha insegnato che ci sono viaggi che si possono percorrere anche attraverso gli occhi e le parole degli altri; in Pequod faccio sì che anche voi possiate incontrare i mille volti che popolano la mia piccola multietnica realtà, intervistandoli per internazionale. Nel frattempo cerco di laurearmi in filosofia, cucino aperitivi e stuzzichini serali in un bar e coltivo un matrimonio interrazziale con uno splendido senegalese.

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