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Milano expo 2015 e la sharing economy

Avete mai sentito parlare di car pooling, cohousing, coworking, fab-lab? Forestierismi di questi tempi molto comuni, diventati protagonisti di eventi e progetti a favore di città sostenibili.

La stessa Milano con il progetto ShareExpo ha deciso di scommettere su queste alternative, candidandosi come città italiana della sharing economy e approvando il progetto elaborato da un comitato e costituito da rappresentanti della società civile e da aziende. Progetto che invoglierà i visitatori durante i sei mesi di Expo a usufruire di servizi collaborativi come il car sharing per i trasporti o come il social eating per quanto riguarda il campo della ristorazione. L’obiettivo è anche quello di fornire uno stimolo progettuale ed ottenere un adeguamento normativo o un superamento dei vincoli burocratici che impediscono l’effettiva attuazione dei servizi collaborativi nella città.

Venerdì 2 gennaio infatti la giunta di Palazzo Marino ha approvato una delibera d’indirizzo per “promuovere e governare lo sviluppo delle economie di condivisione e collaborazione” sull’esempio di altre città del mondo (Amsterdam, Hong Kong, Sidney). In programma vi è l’evento del prossimo 15 Aprile che avrà una durata di mezza giornata con l’obiettivo di condividere le opportunità legate alla sperimentazione della sharing economy nella Città e Provincia di Milano durante Expo 2015.

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Ma cosa c’è dietro a questo fenomeno? Termini come car sharing o food sharing” sono solo inglesismi che nascondono realtà troppo complesse per il panorama italiano o sono fenomeni concreti in via di sviluppo? Per dare una risposta effettiva al quesito si deve prima fornire una definizione chiara dell’argomento finora trattato; il denominatore comune che raggruppa questi progetti e servizi è la sharing economy, o “economia della condivisione o collaborativa”, che comprende tutte quelle piattaforme digitali che, facendo incontrare domanda e offerta, permettono di utilizzare un bene – che sia una macchina o un appartamento – senza possederlo. Un modello socio-economico basato sull’accesso a beni e prodotti, anziché sul loro possesso in esclusiva, tramite le pratiche di condivisione, baratto, prestito, cambio e scambio, commercio, locazione, donazione e noleggio, amplificato dalle infrastrutture partecipative fornite dalle piattaforme informatiche.

In Italia i fenomeni più noti sono il car sharing, il bike sharing e gli affitti brevi ma le esperienze italiane censite su collaboriamo.org, piattaforma in cui si delineano ogni giorno le realtà mutevoli della cooperazione online, sono ormai 140 e vanno dai portali per il baratto alle piattaforme per la raccolta fondi su internet (crowdfunding), passando per il coworking o per il social eating, cioè appuntamenti culinari in abitazioni private pianificati su social network dedicati. Che si tratti di sharingper la condivisione di beni, servizi, informazioni, spazi, tempo o competenze, di bartering, ossia di baratto tra privati ma anche tra aziende o di crowdcon pratiche come il crowdsourcing e crowdfunding o di makingossia di autoproduzione dall’hobbismo alla fabbricazione digitale (fablab), dal 2011 a oggi in Italia i numeri sono più che triplicati, in particolare nell’ambito del turismo, dei trasporti, delle energie, dell’alimentazione e del design.

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Condivisione dunque è la parola chiave di questo fenomeno in espansione, che oltre a creare un’alternativa all’economia capitalistica e industriale come lo studioso Yochai Benkler sostiene, crea anche un nuovo approccio culturale all’utilizzo di determinati servizi.

Usufruendo del servizio offerto dal sito BlaBla Car, per esempio, non si compie soltanto un viaggio low-cost dimezzando i prezzi con sconosciuti ma si attua un’esperienza unica a livello umano. Un altro esempio può essere quello del Social Street (http://www.socialstreet.it/), dove un quartiere intreccia le vite dei residenti nella condivisione di beni, esperienze e competenze con il proprio vicinato. In via Fondazza infatti uno dei suoi abitanti, Federico Bastiani, era stanco di sapere così poco delle persone del suo quartiere, perciò ha creato un gruppo Facebook dedicato a via Fondazza e ai suoi abitanti, nel tentativo di creare una community formata proprio dai suoi vicini: il successo è stato immediato. «Regole predefinite non ce ne sono – dice Federico – Facebook è solo un mezzo per far incontrare le persone».

Queste azioni non solo offrono un servizio ma sono volte al recupero del senso di comunità in tutte le sue accezioni. Una comunità non solo da un punto di vista locale e globale, ma soprattutto più umano e sociale, una comunità che risponde alle proprie esigenze e non a quelle del mercato. Progetti molto simili di collaborazione tra persone si ritrovano anche a Trento, dove all’interno della “Casa alla vela” si sviluppano veri e propri esempi di cooperazione tra cittadini comuni, decisi a non sottostare alle decisioni altrui e a sviluppare un vero e proprio esperimento di co-housing intergenerazionale. In questo immobile infatti convivono rispettivamente cinque signore anziane, cinque studenti universitari e due assistenti familiari e tutti insieme danno vita a un progetto innovativo che ha l’obiettivo di fornire una soluzione di socialità e convivenza agli anziani che allunghi il loro tempo di autosufficienza, allontanando la prospettiva della casa di riposo. Il tutto con costi accessibili, poiché affitto, vitto, bollette e spese del servizio di assistenza vengono divise per cinque e con l’aiuto degli studenti universitari che abitano al piano superiore e tengono compagnia, organizzano feste di compleanno e aiutano nella cura dell’orto.

Con la sharing economy si vanno a toccare tutti gli ambiti della vita nella città, dalla ristorazione all’ospitalità, dal trasporto al lavoro, con l’obiettivo di renderle più sostenibili e vivibili. Un’utopia che si sta realizzando con la collaborazione di tutti i cittadini.

Ma che futuro ha un’economia fondata su questi principi? Girovagando sul web fonti statistiche certe non se ne trovano, spesso ci si imbatte in dichiarazione di esperti che spingono verso un passo antecedente la sharing economy: un cambio totale di mentalità, abbandonare l’egoismo per farci plasmare dalla condivisione e della collaborazione, anche intergenerazionale. Certo è che, andando avanti di questo passo, con questa nuova sensibilità, tali tendenze avranno un impatto determinante sul nostro futuro. La tendenza più ampia sembra essere quella “progettazione per la condivisione”: solo in questo modo si potrà assistere a un ampio impatto sul modo in cui le merci vengono consumate. Tramite Internet sarà più semplice condividere una gamma crescente di prodotti e servizi e tenere sotto controllo gli accessi degli utenti, aspetto che permetterà di ridurre drasticamente i rischi della condivisione.

Insomma, una progettualità ampia che ci porrà di fronte a un fenomeno del tutto nuovo e profondamente lontano dallo stile di vita a cui siamo abituati ad assistere.

 

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Sara Ravasio

Natale 2008, è l'ora di scartare i regali. Pacco rigorosamente rosso e una busta con il mio nome sopra: Sara. Distruggo la carta natalizia e bam!: è un Nikon D60. Così nasce la nostra storia d'amore, tra sCatti e sBatti (non è facile fare amicizia con ISO e bilanciamento del bianco!). Nel 2009 partecipo a un corso di fotografia che mi rilascia un attestato, il quale mi permette di presentami come fotografa a tutti gli effetti. Nasco nel 1991, vivo in un piccolo paesino della Val Seriana (BG) e il mio hobby è fare la pendolare tra Bergamo e Milano, dove studio Scienze Politiche con passione e ammirazione. La laurea triennale è vicinissima e mi attende una magistrale in Relazioni Internazionali. Per Pequod, come credo abbiate capito, mi muovo tra un fotoreportage e un altro, cercando di raccontarvi ciò che succede con un pizzico di emozioni personali.

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