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Russia sì o Russia no? Ce lo spiega Dugin.

Aleksandr Dugin torna in Italia, a Milano, ancora una volta per merito dei membri di Lombardia Russia, questa volta affiancanti dai giovani de L’intellettuale Dissidente – Circolo Proudhon. Un anno fa infatti, sempre questa associazione culturale affiliata alla Lega Nord (sito di Lombardia Russia) aveva invitato l’intellettuale russo a tenere una conferenza sui punti essenziali del suo pensiero politico-filosofico. Quest’anno tuttavia la partecipazione di Dugin è stata una sorpresa: nell’invito alla conferenza si annunciava semplicemente la presenza di un “intellettuale russo di rilievo internazionale”.

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Rispetto allo scorso anno, l’incontro del 22 giugno 2015 ha avuto luogo in un contesto molto diverso da quello asettico ed ufficiale della sala conferenze dell’Hotel dei Cavalieri, nel cuore della capitale meneghina. Stavolta gli interessati si sono riuniti allo spazio Melampo, in una piccola sala affollata, dove prima di Dugin hanno fatto il loro intervento altri relatori, cominciando dal presidente di Lombardia Russia, il leghista Gianluca Savoini.

Segue Francesco Manta, coautore di Rinascita di un Impero. La Russia di Vladimir Putin, libro che ha dato il titolo all’incontro. Manta parla di strategie di soft power, in particolare della demonizzazione della Russia ad opera dei media occidentali, statunitensi e anglosassoni in primis, principali promotori di una visione del mondo unipolare. Al contrario, Putin starebbe conducendo una battaglia contro questo unipolarismo occidentale, con operazioni concrete come la creazione di Russia Today (sito RT) e il progetto Sputnik (pagina italiana di Sputnik).

A questo punto l’atmosfera in sala si è già piuttosto riscaldata: la gente annuisce in segno di approvazione e segue con estrema attenzione e coinvolgimento – molti dei presenti sono russi residenti in Italia. Russo è anche Evgeny Utkin, direttore di Partner N1 (pagina facebook). Utkin nomina il G7 ed esprime le sue perplessità circa la veemenza con cui Obama e Merkel ribadiscono la loro politica delle sanzioni contro la Russia. Del resto, la Germania è lo stato maggiormente colpito da queste ultime, con una perdita dell’1% del PIL (a seguire vi è l’Italia, con lo 0,9% di perdita). A suo dire, le decisioni del G7 e del Consiglio Europeo non corrisponderebbero alla volontà e alle posizioni degli europei – lo testimonia la partecipazione attiva e consistente al forum economico di San Pietroburgo, che al contrario delle aspettative non è stato affatto disertato. Anche l’intervento di Utkin è molto apprezzato dalla platea, che applaude con entusiasmo quando egli accenna al desiderio di molti italiani che vorrebbero che Putin diventasse anche il loro presidente.

Dopo Utkin è la volta di un altro coautore del libro sulla Russia di Putin, Alvise Pozzi, che parla dell’importanza del recupero dei valori e della tradizione, soprattutto religiosa, che costituisce uno dei punti fondamentali della politica putiniana.

Uno dei momenti più coinvolgenti è stato quello dell’antropologo Eliseo Bertolasi, corrispondente per Sputnik (ex Golos Rossii – “Voce della Russia”), che dal dicembre 2013 si è recato numerose volte in Ucraina, sia a Kiev che nel Donbass. I suoi racconti sono intrisi di immagini reali, di testimonianze di persone comuni che si riuniscono in piazza, o ancora di giovani, adulti, uomini e donne che si improvvisano soldati per difendere la propria casa, la propria città, la propria identità. Nei racconti confidati a Bertolasi dagli abitanti di Donetsk e Lugansk c’è molto dolore, troppo, tanto che, azzardando una previsione, sembra quasi impossibile che si possa tornare indietro, come se nulla fosse successo. Per quanto riguarda poi il suo giudizio sul ruolo della Russia nella vicenda ucraina, basato, come ci tiene a ribadire, su quanto ha potuto vedere con i propri occhi, egli esclude che l’esercito russo sia intervenuto in maniera sistematica nel paese: se così fosse stato, i combattimenti probabilmente sarebbero finiti in poco tempo, data la palese superiorità delle forze armate russe rispetto a quelle ucraine.

L'antropologo e corrispondente estero Eliseo Bertolasi durante l'incontro del 22 giugno.
L’antropologo e corrispondente estero Eliseo Bertolasi durante l’incontro del 22 giugno.

È quasi giunto il momento cruciale della serata, l’intervento di Aleksandr Dugin, che viene presentato da Alessio Mulas con una breve introduzione. Chi è Dugin? La rivista americana Foreign Affairs l’ha definito, in un celebre articolo (link), il “cervello di Putin”. Consapevole del fatto che Dugin non abbia bisogno di presentazioni, Mulas si limita a qualche accenno alla quarta teoria politica, descritta come un «ripensare al passato con uno sguardo sul futuro», e alla lotta di Dugin contro l’universalismo, che vuole ingiustamente «ridurre la musica ad una sola nota».

Prende così la parola Dugin, vestito di nero e con la consueta espressione austera, che comincia il suo intervento, rigorosamente in italiano, rammaricandosi del fatto che il suo libro sulla quarta teoria politica non sia stato ancora tradotto nella nostra lingua. Il suo discorso non è molto lungo, ma decisamente intenso, ed è incentrato sull’interpretazione duginiana del concetto di liberalismo, che egli definisce fin da subito come «il vero nemico dell’Europa e della Russia», riscuotendo la prima serie di applausi da un pubblico ormai in fibrillazione.

Aleksandr Dugin.
Aleksandr Dugin.

Il liberalismo vuole liberare l’individuo da tutte le forme dell’identità collettiva, da tutti i vincoli che lo uniscono agli altri, rendendolo finalmente libero. Dugin si chiede però se il risultato sia effettivamente il raggiungimento della libertà, o al contrario, una riduzione dell’individuo verso una condizione di schiavitù assoluta, di distruzione dell’individuo stesso. Dopo aver condannato le istituzioni religiose, rendendo il rapporto dell’uomo con Dio un fatto esclusivamente individuale, e dopo aver distrutto la nazione e l’appartenenza etnica e nazionale, il liberalismo starebbe impiegando la politica di gender con scopi puramente politici ed ideologici, per distruggere l’ultima categoria collettiva cui l’individuo può fare riferimento, l’identità sessuale. Di fronte a questo tipo di rappresentazione del mondo e del liberalismo, la Russia, secondo Dugin, costituisce un esempio di lotta conservativa a favore dell’identità collettiva, ponendosi contro l’Occidente, inteso come «suicidio dell’Occidente» guidato dagli Stati Uniti, non come l’Occidente storico e autentico, l’Europa, di cui la Russia stessa si sente parte. Per questo la lotta conservativa della Russia sarebbe anche la lotta a favore dell’Europa e della sua identità, ma anche una «lotta collettiva per la libertà spirituale e la dignità umana».

Dugin termina così il suo intervento, il pubblico è estasiato e in molti alzano la mano per fare una domanda. Quale sia il significato di tale entusiasmo è difficile da dire, tuttavia è possibile affermare che nonostante la demonizzazione ad opera dei media e dei leader occidentali, la popolarità della Russia continui a crescere senza freni.

In copertina, fotografia di Mahdieh Gaforian [CC BY-SA 4.0/Wikimedia Commons]

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