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Se questi sono esseri umani

La notizia risale a un paio di settimane fa. Sono stati ritrovati i carnefici (animali – se non siete animalisti e vi va di usare questa perifrasi-) che nel gennaio del 2014 uccisero un bambino di 3 anni, bruciandone il cadavere insieme a quello del nonno che se lo era portato appresso mentre non stava andando a fare la spesa e neppure a giocare nel parco. Forse, chissà, con la convinzione che – visto il bambino – i suoi poco ragionevoli interlocutori, avessero avuto pietà di lui per gli sgarri commessi.
Il finale l’ho già descritto.
La storia è quella di Cocò -come hanno imparato a conoscerlo tutti- e di una famiglia disgraziatamente criminale, nella quale aveva avuto la sfortuna di nascere.
Aveva anche avuto la sfortuna di nascere in una terra dove accadono cose di macabra assurdità e indicibile orrore.
Una regione d’Italia chiamata Calabria che, in alcuni tratti, somiglia alle periferie più remote della Colombia, dove la crudeltà e lo spirito animalesco (ripeto l’accostamento e le scuse agli amici animali e animalisti) che certi uomini hanno conservato, supera qualsiasi immaginazione e/o passo tratto dall’Antico Testamento.

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Oggi, in questo spazio indegnamente riservato al sottoscritto, volevo parlare dei morti ammazzati dalla cosidetta “lupara bianca”.
Valentino Galati, Francesco Aloi, Pasquale Arlacchi, Santo Panzarella. A questo elenco – che potrebbe andare avanti ancora a lungo – si sarebbe potuta aggiungere anche la testimone di giustizia Lea Garofalo (e subito qui contraddico quanto detto sopra, perchè la Garofalo è stata uccisa a San Fruttuoso, in Lombardia, riflettiamo.. ) se i 2000 frammenti ossei del corpo, lasciato bruciare per 3 giorni, non fossero stati trovati nella campagna brianzola a 3 anni dalla morte, su indicazione del pentito Carmine Venturino.
Degli altri, invece, nulla. Dalle sterpaglie dei boschi delle pre-serre calabresi, in provincia di Vibo Valentia, ogni tanto riaffiora una clavicola, un pezzo di stoffa, un pezzo di osso portato da chissà quali correnti o bestie selvatiche. Talvolta può accadere – come è successo nel febbraio del ’95 – che un pescatore, sbadatamente, inciampi su una scarpa da tennis e che, dalla stessa, escano brandelli di qualcosa, forse tessuti o resti di varia natura che il mare ha sputato a riva. Scrive il giornalista Sergio Pelaia “Peggio che uccidere un uomo, è ucciderne anche il ricordo. Farlo svanire nel nulla, privarlo anche di una degna sepoltura e tenerlo sospeso, come in un limbo eterno, in uno spazio e in un tempo che non è né della vita, né della morte”.

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Valentino Galati è morto che aveva 21 anni. Era un ex seminarista ed è stato fatto sparire il 27 dicembre del 2006. Si era invaghito della moglie di un boss. Non ha avuto scampo. Il fratello Cristian, due annni dopo, voleva cercare di capire chi e cosa avesse ucciso suo fratello. Finì legato a un albero, tramortito a martellate e bruciato vivo. Tre mesi dopo morì all’ospedale di Bari.
Ci sono poi le storie di Pasquale Arlacchi, di anni 18 come recitava il manifesto funebre che annunciava la celebrazione dei suoi funerali, svoltisi 5 mesi dopo perchè il cadavere non si trovava. Era in un cassonetto, fatto a pezzetti. E poi, ancora Francesco Aloi, Santo Panzarella e gli altri 40 che, negli ultimi trent’anni sono stati fatti sparire senza che di loro si sapesse nulla. L’unico dato certo è che stiamo parlando di un territorio appartenente allo Stato italiano, i cui figli spariscono, senza lasciare traccia e, spesso, dimenticati anche da chi avrebbe il dovere – non solo morale – di ricordarli.

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