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“Tommy e gli altri”, alla scoperta dell’autismo adulto

Cinema e autismo, un tema affrontato spesso dalle grandi produzioni hollywoodiane (indimenticabile Dustin Hoffman in Rain Man) e forse, proprio per le classiche esigenze di copione (e di botteghino), sempre più romanzato in storie che non riescono a raccontare fino in fondo la complessa realtà dell’autismo e delle neurodiversità.
In Italia, però, qualcosa è cambiato: Gianluca Nicoletti, giornalista per La Stampa e Radio24 e padre di Tommaso, ragazzo autistico, ha deciso di raccontare la realtà che vive quotidianamente e quella di altre famiglie come la sua nel documentario Tommy e gli altri, presentato in anteprima lo scorso 30 marzo in Senato e poco dopo sul piccolo schermo, l’1 e il 2 aprile, in occasione della giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo.
Non solo il primo film italiano sull’autismo: nella pellicola scopriamo l’ “autismo adulto”, qualcosa a cui non siamo abituati a pensare, qualcosa che nemmeno lo Stato italiano, racconta Nicoletti, sembra riconoscere, se non nei termini del contributo mensile destinato a chi si occupa di queste persone nella maggiore età.
Ne parliamo con Nicola Gualandris, fonico, compositore e musicista, che nel progetto filmico si è occupato dell’audio in presa diretta.

Tutto nasce dall’incontro a Roma tra Nicoletti, fondatore del sito web Per noi autistici e Massimiliano Sbrolla, futuro regista di Tommy e gli altri e già fondatore della Zoofactory film production, con la quale aveva realizzato il documentario Il viaggio di Sammy su un ragazzo affetto dalla sindrome dell’invecchiamento precoce. Un incontro tra esperienze vissute in prima persona, un incontro di interessi comuni: raccontare quelle che a prima vista sembrano vite inenarrabili.

In Tommy e gli altri colpisce anzitutto la differenza tra la “strategia educativa” adottata da Nicoletti con Tommaso e il comportamento delle altre famiglie incontrate: la scelta di un’educazione quasi “marziale”. «In effetti spicca questo suo modo di non far diventare un problema la situazione» conferma Gualandris, «Nicoletti analizza tutti i lati positivi del problema. Certo, lui negli anni è stato forte. Spesso diceva: “Devi dargli dei paletti, essere costante, diretto, quasi fosse un addestramento. Tranquillo e duro allo stesso tempo. Trattarlo come una persona uguale a tutte le altre, e non nasconderlo in casa”».

È proprio questo il nodo della questione: «Sono persone come tutti, con desideri, bisogni ed esigenze», continua; «non si può pensare di rinchiuderle in strutture e dimenticarsi di loro oppure fingere che i genitori potranno occuparsene per sempre. E infatti la quasi totalità dei genitori intervistati si domanda: “Cosa faranno quando io non ci sarò più?”». In Italia, appunto, la legge prevede che dopo i 18 anni coloro che fino al giorno prima erano considerati bambini autistici di cui prendersi cura diventino adulti “normali”, con diritti ma soprattutto doveri, pur essendo a tutti gli effetti dipendenti dalle cure parentali o delle strutture ospitanti.

Poche le strutture d’eccellenza in Italia: il pensiero va a Casa Sebastiano, raccontata in Tommy e gli altri nelle scene di vita quotidiana degli ospiti e nelle parole del presidente, Giovanni Coletti, imprenditore trentino e padre di due bambine autistiche. «È la dimostrazione che se accompagnate da un personale adeguatamente formato», racconta Gualandris, «queste persone sono perfettamente in grado di lavorare, di svolgere mansioni magari semplici, ma comunque possono essere membri attivi della società, non certo dei “pesi” da scaricare sulle famiglie o da segregare in casa». Una soluzione possibile, ma pur sempre parziale.

 

A fronte di uno Stato assenteista o comunque inadeguato nel supporto a queste famiglie, non resta che guardare agli aspetti positivi della vita: questo sembra l’approccio che Nicoletti vuole trasmettere a chi vive con un figlio autistico, oltre a scardinare i pregiudizi ancora radicati nel Paese. Gualandris ne è convinto: «Questo documentario è importante perché Nicoletti, con il suo lavoro di educazione, dimostra quanto sia possibile vivere serenamente una dimensione simile. Alcune famiglie intervistate, invece, hanno cresciuto i propri figli nella paura che agli occhi degli altri fossero percepiti quasi come dei mostri, e questo ovviamente non aiuta, soprattutto per chi ha l’introversione come caratteristica dominante, ad aprirsi, ad interagire, a vivere bene. Nicoletti lancia un messaggio fortissimo», continua Gualandris: «che il ragazzo autistico deve vivere in mezzo alle altre persone perché respira, sente, guarda e vive il mondo come gli altri».

E in mezzo alle altre persone, quelle della troupe, Tommaso ha cercato momenti di interazione e di affetto con ognuno. «Ogni volta che si sedeva su una sedia girevole il gioco era che ad ogni giro mi dava il cinque, e si divertiva tantissimo… poi certo, magari a volte mentre gli parli lui prende e se ne va, ma poi ti cercava, ti voleva. Percepiva la troupe come una famiglia». Ma Gualandris ci racconta anche episodi che lasciano basiti. «Un giorno, durante le riprese, a Nicoletti è arrivata la notizia, tramite colleghi, che la Rai voleva produrre una fiction sulle persone affette da autismo e aveva lanciato un casting in cui si cercavano “bambini disabili che ispirano tenerezza”. Capisci? Ancora pietismo, vittimismo, buonismo a buon mercato».

Se i mass media più influenti sono lo specchio del pensiero diffuso nel Paese, è evidente che in questo caso le parole che lo esprimono a loro volta fanno emergere una comprensione davvero scarsa del fenomeno e talvolta, nonostante questo, incurante dei rischi di rappresentazioni semplicistiche e distorte. L’obiettivo di Tommy e gli altri è stato proprio offrire una narrazione diversa dell’autismo: «Lo vedi nel documentario: le famiglie delle persone affette da autismo non cercano compassione, è tutta gente che affronta i problemi giorno per giorno con caparbietà. Chiedono solo che qualcuno si occupi dei loro figli quando loro non potranno più farlo».

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