Tosca: la recensione
«Puccini è un invito all’amplesso»
(Mosco Carner)
È il 14 gennaio 1900: il sipario del Teatro Costanzi di Roma si alza sulla pucciniana Tosca.
Destinata a diventare uno dei capolavori più rappresentativi del teatro verista, Tosca continua ad avere successo e presa sul pubblico di tutto il mondo e a Bergamo ricorre dieci volte nei cartelloni operistici del teatro Donizetti, in un arco temporale di un secolo circa, tra la prima del 1903 e l’ultima rappresentazione del 2002.
E sempre al Donizetti di Bergamo è tornata, lo scorso 1 ottobre, nell’ambito del IX Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti, kermesse che sta coinvolgendo palcoscenico, orchestra e pubblico in un serie di eventi che interessano i nomi del panorama performativo; in contemporanea L’Altrofestival anima la città con rassegne, concerti, conferenze ed eventi pensati per un pubblico giovane, non rigidamente operistico.
Ma chi era Tosca? E qual è la sua storia? Ve ne presentiamo una sinossi per conoscerla meglio.
L’opera, composta tra la primavera del 1896 e l’ottobre 1899, venne rappresentata per la prima volta al teatro Costanzi di Roma nel 1900. È tratta dall’omonimo dramma storico di Victorien Sardou e ambientata in una Roma dall’atmosfera tesa a causa dei tumulti rivoluzionari francesi appena avvenuti e dalla caduta della prima Repubblica Romana: è sabato 14 giugno 1800, il giorno della Battaglia di Marengo (Napoleone sbaraglia l’esercito dell’Impero d’Austria, si prende un bel pezzo di nord Italia e fa prendere la strizza a re e regine). I tre luoghi romani dove si svolge questa storia di gelosia, vendetta, amore e morte, sono la chiesa di Sant’ Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo.
I personaggi principali sono Floria Tosca, una cantante innamorata follemente di Mario Cavardossi, un pittore che ricambia il sentimento; il cattivone di turno è il Barone Scarpia, il capo della polizia che vuole impedire il loro amore. Alla fine tutto si complica e come in tutte le opere liriche qualcuno muore: la bella e fragile protagonista. La vicenda è divisa in tre atti e in ognuno troviamo una romanza importante, un momento in cui l’azione si ferma, si cristallizza e il personaggio si abbandona alle sue emozioni (erano quei pezzi che tutti conoscevano e che magari cantavano mentre si lavavano nella tinozza, le hit del momento).
Andante lento e appassionato molto è l’indicazione per i musicisti dell’orchestra circa come interpretare l’ultima romanza: è un momento tragico in cui Cavardossi sta per andare incontro alla sua condanna a morte e ripensa al suo legame con la sua amata Tosca, ma lo ripensa in termini così sensuali che in questi versetti c’è l’unica scena di spogliarello dell’opera lirica:
E lucean le stelle… e olezzava/la terra…stridea l’uscio/ dell’orto… e un passo sfiorava la rena./Entrava ella, fragrante,/ mi cadea fra le braccia. Oh! Dolci baci, o languide carezze,/ mentr’io fremente/ le belle forme disciogliea dai veli!/ Svanì per sempre il sogno mio d’amore…/ L’ora è fuggita/ E muoio disperato!…/ E non ho amato mai la vita!
Il tenore in questo momento è come se stesse sognando a occhi aperti e, mentre lui canta sulla stessa nota i primi versi, l’orchestra sta già definendo in sottofondo la melodia che esploderà sui dolci baci, quando voce e musica eseguono lo stesso motivo. Questo per mostrarvi un piccolo esempio della complessa macchina musicale che è Puccini e di tutti gli elementi che raccoglie, incastra e amalgama il genere musicale del melodramma.
In copertina, immagine dalla Tosca in scena al Teatro Donizzetti di Bergamo.
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