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Le due aquile d’Albania

DONG!!!

Non si può che iniziare da qui. Se fosse un video o una registrazione questo dong lo si individuerebbe subito e facilmente come un suono di campana. Uno solo, forte e profondo che invade tutti gli spazi della piazza semideserta.

Campana della pace e piramide, ex mausoleo per Enver Hoxha

Tirana, 23 luglio, ore 00:37. Dopo aver approfittato abbondantemente del cambio euro-leke (mezzo litro di birra costa tra gli 80 centesimi e 1euro) nei vari baretti del quartiere Blokku (quello della movida insomma) ci dirigiamo verso il monumento dedicato a Enver Hoxha, il vecchio dittatore comunista che era riuscito a trasformare questo piccolo paese mediterraneo in un vero e proprio inferno socialista.

Il monumento è un enorme mausoleo, nei pressi del centro di Tirana, dove inizialmente fu seppellita la salma del “padre – padrone” della patria. Oggi i suoi resti riposano dimenticati in un’altra parte della città e l’immenso mausoleo è ormai un edificio abbandonato con vetri rotti e odore di piscio sulle pareti. La piramida, come qui viene chiamata è scalabile con facilità e sicurezza e dall’alto dei suoi circa 20 metri si può godere un’ottima vista sulla Tirana by-night scarsamente illuminata.

Come numerose altre cose la piramida è un po’ il simbolo di quest’Albania dove poco più di 20 anni fa cadeva uno dei regimi più terribili della storia e che cerca ora di correre verso la modernità, tentando di recuperare il tempo perduto. «Sì, l’Albania corre veloce ma il problema di fondo è che non sa bene dove vuole andare». Quante volte ci è stata detta questa frase, durante la nostra permanenza; e chissà che sia un po’ così: un paese dove quasi nessuno parla della recente dittatura terminata e dove il mausoleo al suo dittatore è ancora in piedi, sebbene in disuso. In realtà, dicono, qui sorgerà il nuovo parlamento. O meglio, lo ripetono da 2-3 anni. I tempi sono già lunghi di per sé, senza contare corruzione, clientelismo e soprattutto un cambio di governo che ha portato al potere i socialisti a fine giugno. Per inciso, socialisti che sono i pieni ereditari della tradizione comunista, e che ovviamente si oppongono all’abbattimento della piramida. Vederla ancora in piedi provoca così un certo effetto, ed anche contribuire a riversare parte del contenuto della birra ingerita sotto forma di piscio sulle sue pareti contribuisce a farti sentir parte, seppur in misura minuscola, della storia albanese.

Poco distante dalla piramida c’è una passerella che porta sotto una massiccia campana appesa ad almeno 2 metri d’altezza. È la campana della pace, ricavata dai bossoli dei colpi di fucili mitragliatori e benedetta da Giovanni Paolo II. Dopo alcuni tentativi andati male, all’ultimo salto riesco ad afferrare il batacchio con la mano e atterrando con un colpo di reni gli imprimo la forza giusta per muoversi. Il risultato ci galvanizza e rimaniamo lì a goderci il DONG. Un unico colpo che si spande nella piazza indifferente dei tre giovini italiani che se la sghignazzano allegramente dopo aver sconsacrato il mausoleo di uno degli uomini più terribili della storia e dopo aver fatto risuonare la campana della pace.

Cattedrale Ortodossa della Resurrezione di Cristo [ph. Daniel CC BY-SA 2.0/Wikimedia Commons]

Indifferenza e velocità. Il paese delle due aquile sembra percorrere senza indugi questa strada verso l’integrazione all’interno dell’Unione Europea. Veloce, perché nel giro di vent’anni si è scrollato di dosso una terribile dittatura cinquantennale, nonché la guerra civile di fine anni ’90 dopo il crollo dello stato. Crollo che fece seguito a quello demografico iniziato a fine regime con i celebri barconi della speranza. Indifferente, perché per gli albanesi la bandiera blu con dodici stelle non significa nulla, o quasi. I problemi della vita quotidiana e l’accesa lotta politica tra il Pse (Partito Socialista d’Albania, centrosinistra) e il Pd (Partito Democratico d’Albania, centrodestra) catalizzano tutte le attenzioni dell’albanese medio. È un continuo noi contro di voi, ex-comunisti contro anticomunisti, socialisti contro democratici, tradizionalisti contro modernisti.

In mezzo a tutto questo vi è una rinascita religiosa, seppur limitata, che cerca di mediare tra le parti e di andare semplicemente oltre. Sì perché in un paese dove la conflittualità politica e sociale è alle stelle convivono, per ora senza scontri, ortodossi, cattolici, musulmani tradizionalisti e bektashi (una setta minoritaria di orientamento moderato presente quasi unicamente in Albania). Ma anche qui l’indifferenza la fa da padrona, anche perché dopo 23 anni di ateismo di stato (La Repubblica Popolare d’Albania si dichiarò il primo stato ateo nel 1967) e i 20 precedenti di repressione, la religione è considerata dagli albanesi un elemento decisamente secondario.

Così, le due aquile, a testa bassa, veloci e nell’indifferenza generale, sfrecciano verso quella bandiera blu stellata che significa integrazione europea, approdo individuato, in ipotetica data, nel 2015. E mentre le due aquile si dirigono verso l’Europa, quelli che andarono a cercare “l’America” nella vicina Italia negli anni ’90 fanno il percorso inverso, in fuga da un Europa povera e impaurita dal futuro. Con l’economia che cresce la situazione sociale e politica, anche se a fatica e con alcuni strappi, si stabilizza lentamente. Non è difficile capire le parole di Nik, emigrato in Italia dove ha fatto fortuna ma pronto a tornare al suo paese d’origine: «No, in Italia ormai c’è poco o niente da fare. Il futuro è qui. Io all’Italia devo tanto, ma il mio, il nostro futuro sarà qui», ci dice ridendo.

Sì, lui ride, sa dov’è casa sua e sa bene che a casa sua il futuro lo stanno costruendo adesso, con fatica ma anche con grande speranza e ottimismo. Ma noi, sorvolando l’Adriatico, non ridiamo, anzi. Guardiamo sconsolati casa nostra. Un’Italia che sembra aver perso la bussola, dove la parola ottimismo è sepolta sotto metri di terra, dove chissà quale sarà il nostro di futuro.

Italia-Albania. Un lembo di mare che ci divide come un universo. Così vicine, eppure così lontane. Paesi a due velocità: uno che spicca il volo e l’altro che accoglie e fa da traino, tanto negli anni ‘90, quanto nei prossimi decenni. E chissà che in futuro le parti non si invertiranno.

Cimitero dei martiri

In copertina, Piazza Skanderberg

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