Mad Men, grazie di tutto
-SPOILER ALERT-
This is the end come direbbe Jim Morrison. It’s The End of an Era, più precisamente, è la tagline che ci ha accompagnato nella stagione conclusiva di Mad Men, che ha raggiunto il suo epilogo il 17 maggio negli States. Dopo otto anni, sette stagioni, quindici Emmy, quattro Golden Globe e tante, tante, emozioni siamo giunti alla fine di questo viaggio nell’America degli anni ‘60, che ci ha fatto rivivere un’epoca affascinante e controversa, immersi nell’eleganza, nello stile, nei modi di fare e di pensare del tempo, attraverso le storie di uomini e donne in questo mondo ricostruito nei minimi dettagli, dai quotidiani dell’epoca agli oggetti di scena, dai costumi all’arredamento.
Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza una sceneggiatura solida come poche altre sul piccolo schermo, dove i dialoghi, spesso apparentemente insignificanti, nascondono le grandi realtà che ci comunichiamo nella vita di tutti giorni, senza bisogno di artifici retorici o altre impalcature. Make it simple, but significant ha detto una volta Don Draper, riassumendo alla perfezione il lavoro dei writers, del creatore Matthew Weiner e dei suoi collaboratori anche nella regia, dove visibile è l’influenza dei grandi registi della Golden Age di Hollywood come Alfred Hitchcock, una coerenza visiva capace di catapultarci nelle atmosfere di quegli anni. Più di tutti però va sottolineato lo straordinario lavoro che ha fatto il cast di Mad Men, impeccabile in qualsiasi situazione, una serie di attori che ha avuto un contributo decisivo sulla caratterizzazione dei personaggi e delle loro storie. Storie che, come nella vita “vera”, non hanno e non possono avere una conclusione. Insomma, se c’è una cosa che Mad Men ci ha insegnato è che, anche se il sipario è calato, la vita va avanti, con tutti i suoi errori, i momenti belli e brutti, le rivelazioni, la disperazioni, la ricerca di se stessi e della felicità.
“La pubblicità si basa su un’unica cosa: la felicità. E sapete cos’è la felicità? La felicità è una macchina nuova, è liberarsi dalla paura, è un cartellone pubblicitario che ti salta all’occhio e che ti grida a gran voce che qualunque cosa tu faccia è ben fatta, e che sei ok.” (Don Draper)
Una felicità di cui Don è sempre stato alla disperata ricerca, un uomo che sulla carta ha sempre avuto tutto, ma che in realtà non è altro che un fantoccio, finto come lo è il suo nome, attanagliato da una profonda solitudine legata alla sua mancata identità, nel disperato bisogno di amore da parte di chi gli sta vicino, ma che lui vede come irreparabilmente lontano.
Sono questi i temi su cui si basa l’ultimo episodio di Mad Men, dove Don, partito, come direbbero oltreoceano “out of the blue” per un viaggio alla On The Road di Jack Kerouac, affronta il suo passato in una crisi interiore che ha il suo apice nella comunità hippie dove finisce per ritrovarsi. Ted Chaough ha detto una volta che ci sono tre donne nella vita di ogni uomo, e non è un caso che in questa puntata sono proprio tre le telefonate person to person alle rispettive figure femminili fondamentali nella vita di Don.
La prima è la figlia Sally, che gli rivela il tumore terminale ai polmoni che ha condannato a qualche mese di vita Betty, la destinataria della sua seconda, emozionante, telefonata, nella quale Don, dopo che la sua ex moglie gli impedisce di tornare a casa dai suoi figli, la chiama “birdie” forse per l’ultima volta, trascinando entrambi in un rivolo di lacrime amare. A questo punto Don, senza una casa dove tornare, distrutto dal dolore, chiama Peggy e, completamente indifeso e messo a nudo, si rivela “I’m not the man you think I am”, e alla domanda “What did you ever do that was so bad?”, confessa “I broke all my vows, I scandalised my child, I took another man’s name and made nothing of it”. Dopo aver ammesso con se stesso e con gli altri i suoi peccati ecco che Don riesce finalmente a mostrare empatia per un’altra persona, in questo caso uno sconosciuto, Leonard, che racconta di come si senta invisibile e infinitamente solo, scatenando finalmente una reazione in Don.
Mentre Pete Campbell, dopo aver accettato “il lavoro dei sogni”, si trasferisce a Wichita insieme alla moglie Trudy e alla figlia Tammy, mentre Joan capisce di non aver bisogno di nessuno e mette in piedi la propria attività di produzione cinematografica (ironicamente chiamata con i suoi due cognomi Holloway-Harris), mentre Roger sembra aver ritrovato l’amore con Marie, la madre di Megan, e Peggy, rifiutata l’offerta della stessa Joan di diventare sua partner, trova il suo finale da commedia romantica con Stan, ci ritroviamo di fronte all’oceano, in uno scenario paradisiaco, dove vediamo Don per l’ultima volta, mentre medita in una seduta di yoga, e tra un “Ooooom” e l’altro….scappa un sorrisetto. Un sorriso che ha tutto il sentore di una rivelazione, un’illuminazione. Ma di che cosa?
Come poteva concludersi uno show ambientato nel mondo della pubblicità se non con uno degli spot più famosi di sempre? Ma che significato nascondono le note orecchiabili di “I’d like to buy the world a Coke”, ideato proprio nel 1971 dalla McCann-Ericksonn che Don sembra aver abbandonato? Altro che rivelazione esistenziale! E’ “solo” l’idea per la pubblicità del secolo! Accusatemi pure di cinismo, ma questa è di gran lunga l’interpretazione che preferisco e anche la più plausibile, nonostante l’ambiguità.
Eh sì, perché volenti o nolenti le persone non cambiano, è tutto un eterno ritorno se vogliamo dirla come Nietzsche. Le circostanze sono in continua evoluzione, ma la vita va avanti ed è giusto così.
Un finale decisamente originale e geniale nella sua semplicità per una serie che ha già fatto la storia della televisione e che difficilmente sarà eguagliata in futuro.
“La nostalgia. È delicata, ma potente. Teddy mi disse che in greco nostalgia significa letteralmente ‘dolore che deriva da una vecchia ferita’. È uno struggimento del cuore di gran lunga più potente del ricordo.” (Don Draper)
Grazie Mad Men, di tutto.
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