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Perché gli inni nazionali sembrano tutti uguali?

Avete mai ascoltato attentamente, durante le premiazioni di varie manifestazioni sportive, gli inni nazionali? Vi siete mai chiesti per quale motivo risultino essere un po’ tutti uguali e soprattutto suonati con gli stessi strumenti di derivazione sinfonica e bandistica occidentale? Gli inni nazionali rimangono un genere musicale snobbatissimo che rientra nel grande pentolone di quella che si considera world music.

In realtà si tratta di una questione molto seria e questo tipo di musica viene eseguito nei momenti di maggiore solennità, dedicato a mettere in scena l’essenza stessa di una nazione nei momenti di espressione pubblica dell’orgoglio patriottico, quindi ci aspetterebbe di sentire delle differenze musicali notevoli e rappresentative della tradizione  nazionale. Colpisce il fatto che le musiche degli inni nazionali sembrino incredibilmente tutte uguali. Per esempio, anche per quanto riguarda gli inni di composizione più recente, creati o adottati dalle nazioni africane e asiatiche post-coloniali, suonano paradossalmente simili a quelli che siamo abituati ad ascoltare da secoli.

C’è da ricordare che, nella storia degli inni nazionali, molti di questi brani sono nati durante crisi e momenti di grande subbuglio delle nazioni. Per quanto riguarda i motivi per cui spesso risultano essere molto simili tra loro, c’è da ricordare che molti dei “nuovi” inni nazionali si basano su pezzi preesistenti, anche quando servivano per fungere da composizioni transitorie al fine della creazione di un nuovo inno. Sicuramente e storicamente i modelli più inflazionati sono stati God Save the Queen (Inghilterra), La marseillaise (Francia) e il Kaiserhymne di Franz Joseph Haydn, che fu l’inno dell’impero Austro-Ungarico fino alla Prima guerra mondiale, e poi della Germania a partire dal 1922.

Inoltre, sebbene gli inni nazionali facciano parte di generi diversi, come gli inni (propriamente detti), marce, fanfare, in pratica sono eseguiti secondo le stesse modalità per produrre un alto grado di omogeneità, usando per esempio insiemi di ottoni al fine di dare rilievo alla solennità. E poi, diciamola tutta, gli inni suonano simili anche perché vengono suonati  sempre nelle stesse occasioni come le cerimonie di stato o inseriti in trasmissioni radiofoniche e televisive nazionali e internazionali. In generale testi e melodie sempre piuttosto noiosi non aiutano.

Rimane affascinante la storia di questo genere musicale che segue di pari passo quella del nazionalismo: si inerpica attraverso una serie di fasi, partendo nel XVIII secolo con l’Illuminismo, proseguendo con il Nazionalismo romantico del XIX secolo (soprattutto in Europa e in America Latina) e con l’espansione coloniale tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, giungendo alla fase post-coloniale che va dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi. Tutte queste diverse fasi gli inni nazionali hanno assunto significati diversi, così come sono stati composti per esprimere idee di nazioni diverse: i primi inni, per esempio, erano riconducibili a melodie di canti folklorici, mentre nella fase intermedia erano orientati marcatamente verso generi di musica religiosa e militare; infine, nell’epoca post-coloniale gli inni mostravano una tendenza a incarnare la storia della nazione moderna.

Immaginate quanta complessità nel momento in cui si doveva scegliere un canto che desse voce all’intera nazione! Il procedimento che ci è più familiare è quello per cui la nazione decide di affidare la realizzazione di un canto rappresentativo ad un compositore o un letterato: il processo di valutazione e approvazione era di una complicatezza estrema e il problema è che sono state sempre seguite le ragioni ideologiche più che quelle musicali e che le proposte più interessanti musicalmente sono state spesso scartate per via della scorrettezza ideologica. Un esempio è il Va pensiero vs Inno di Mameli (al di là di tutte le recenti polemiche e similitudini), dimenticatevi di tutto e ascoltate soltanto.

 

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Sara Alberti

Nata sulle colline bergamasche nel 1989, percuoto dall’età di otto anni, quando ho iniziato a studiare batteria e percussioni da orchestra nel Corpo Musicale Pietro Pelliccioli di Ranica (W la banda!). Dopo essermi barcamenata tra le varie arti, la Musica ha avuto la meglio e mi è valsa una laurea in Musicologia. Profondamente affascinata dal vecchio e dall’antico, continuo a danzare e suonare nella Compagnia per la ricerca e le tradizioni popolari “Gli Zanni” e per il mio grande amore balcanico Caravan Orkestar. Su questa nave di pirati sono la responsabile della sezione Nuove Premesse, della cambusa e della rubrica musicale.