L’ambiente come tela
Creare con l’ambiente circostante, questa è l’essenza della Land art: non una superficie da dipingere, né un blocco di marmo da scolpire, ma lo spazio stesso in cui viviamo è la tela privilegiata dai protagonisti di questo movimento nato alla fine degli anni sessanta negli Stati Uniti.
Le opere realizzate partono sempre dall’intervento dell’uomo, che si pone in dialogo con gli elementi naturali di un luogo cercando di realizzare qualcosa che sia in armonia con il contesto; molto sentita infatti è la vicinanza alla causa ecologista, oltre ad un generale rifiuto per l’esasperata esaltazione del progresso tecnologico celebrato da movimenti come la Pop art.
Questa attenzione nei confronti della natura e del paesaggio nasconde una silenziosa protesta verso la civiltà occidentale: questa sventra la “madre terra” arrogandosi diritti che non le appartengono, come un tiranno che spadroneggia senza limiti e non entra in rapporto simbiotico con l’ambiente.
Altro fattore importante è il tempo, creatore fondamentale quanto l’artista, sia che si tratti di quello circolare, vale a dire l’eterno alternarsi delle stagioni, sia che si tratti del succedersi dei cambiamenti climatici. Il tempo modifica il paesaggio e le opere, fortemente inserite nel contesto naturalistico, sono irrimediabilmente soggette a questo cambiamento.
Per chiarire meglio quanto detto non resta che citare un paio di esempi; primo tra tutti, la Spiral Jetty di Robert Smithson. Realizzata sulla sponda del Great Salt Lake, l’opera consiste in una sottile lingua di roccia e terra che si distende sulle acque avvolgendosi su se stessa creando un legame tra acqua e terra; esposta all’azione erosiva degli agenti atmosferici, essa muta il suo aspetto in continuazione durante l’anno.
Altro riferimento d’obbligo a The Lightning Field di Walter de Maria, un campo nel deserto del New Mexico dove sono installati pali metallici che attirano i fulmini dei frequenti temporali che si verificano nella zona, creando uno spettacolo tanto terribile quanto affascinante e irripetibile.
Negli ultimi mesi è però un altro il nome che occupa le pagine dei giornali, quello di Christo; il suo ambizioso progetto, The Floating Piers, prevede la costruzione di una temporanea passerella sul lago d’Iseo che collegherà Montisola alla terraferma.
L’artista, che per anni ha collaborato con la ormai scomparsa moglie Jeanne-Claude, è noto per le originali performance in cui interi palazzi e monumenti sono stati letteralmente impacchettati per nasconderli alla vista dei passanti, mostrandoci quanto anche oggetti e visioni apparentemente scontate, a cui siamo abituati, improvvisamente diventino importanti nel momento in cui ne siamo privati.
Quello che l’artista sta realizzando non è una semplice opera architettonica, un ponte gettato tra una sponda e l’altra, bensì un percorso per portare i visitatori in una nuova dimensione, concentrandosi sulla valorizzazione dello spazio. The Floating Piers non si discosta molto dalla produzione dell’artista; egli non copre il lago con un telone, sarebbe impensabile, ma trova il modo di ribadire questa presenza attraverso una via nuova, che non nasconde ma rivela: l’uomo potrà spostarsi sull’acqua, esplorando con le proprie gambe un “territorio” dove prima era impossibile andare. Camminando sul pelo dell’acqua riscopriremo un luogo di cui forse ci eravamo dimenticati.
In copertina: Robert Smithson, Broken Circle, Paesi Bassi (1971-2011)
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