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Intervista a El Joulani Ghiath: i Giovani Musulmani d’Italia e la vita a cavallo tra due culture

El Joulani Ghiath è un venticinquenne membro di Giovani Musulmani d’Italia (GMI), associazione no profit con 15 anni di vita che si prodiga per l’inserimento e l’impegno civile dei giovani musulmani all’interno del tessuto sociale italiano.

Studente di ingegneria edile, Ghiath è un ragazzo di origini siro-palestinesi entusiasta dell’Italia e di tutto ciò che rappresenta. Ricorda bene quei giorni del 2001, quando GMI nacque: una manciata di ragazzi che discutevano di come realizzare un’associazione che riunisse tutti i giovani di seconda generazione, ognuno con le sue origini e le sue peculiarità ma uniti dalla stessa fede.

L’associazione è cresciuta molto da allora e Ghiath con lei: «al primo convegno nazionale che venne organizzato eravamo in una cinquantina di partecipanti; abbiamo iniziato ad aumentare di anno in anno fino ad arrivare ai più recenti convegni dove addirittura abbiamo difficoltà a trovare luoghi adatti ad ospitare più di 1500 persone. Nella mia storia sono passato dall’essere partecipante ai convegni, al diventare membro dell’associazione di Milano per poi aprire la sezione di Bergamo e divenirne responsabile. Addirittura l’anno scorso sono stato membro del direttivo nazionale dell’associazione».

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GMI è una realtà dinamica formata da ragazzi che studiano e lavorano in una grande varietà di campi possibili, dove ognuno porta il suo contributo. Ghiath mi spiega che gli scopi dell’associazione sono essenzialmente due: uno “interno”, volto a formare i giovani e a fornire loro gli strumenti per conciliare al meglio la realtà italiana alla fede islamica, il secondo “esterno”  e rivolto a una fascia più ampia di fedeli che mira a fare chiarezza sulla cultura islamica e sui suoi valori.

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Vivere a cavallo tra due culture non dev’essere cosa semplice: abitudini, pensieri, caratteri si foggiano sotto spinte differenti, non sempre facili da conciliare. Ghiath ammette di non aver trovato grandi difficoltà nell’adattarsi e spiega: «C’è sempre qualcuno che ti discrimina, che ti vuole vedere diverso da lui, che si ritiene superiore. Questo non vale solo per la diversa fede ma anche quando semplicemente la si pensa in modo diverso. Io ho sempre detto che con l’incontro ci si accultura e si diventa più intelligenti.
La mattina, quando mi sveglio, saluto i miei in arabo e facciamo colazione con cappuccio e brioches; poi vado in università, seguo le lezioni in inglese, parlo con i miei amici in italiano, vado a mangiare in mensa e ormai la cuoca, conoscendomi, mi indica subito quali piatti non posso mangiare. Dopo ci si riunisce per bere un caffè, mi ritrovo con altri amici musulmani dell’università, facciamo la nostra preghiera in qualche aula e ognuno torna alle sue lezioni».

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E’ fiducioso per il futuro e alla domanda su come ci possa formare un’idea reale e non distorta dell’Islam, risponde sagace «La cattiva “pubblicità” rende a volte difficile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Abbiamo tanti mezzi di informazione e quasi tutti abbiamo un conoscente che si chiama Mohamed o Mustafa ma è compito nostro cercare di conoscere chi abbiamo vicino e chiedere di più su quello in cui la persona accanto a noi crede, per migliorarci».

1803, featured, Giovani Musulmani d'Italia, islam


Daniele Donati

Classe 1989, introverso e osservatore. Mi piace rischiare la sorte, non programmare le emozioni. Gli appunti su fogli volanti lasciati chissà dove mi complicano, più che aiutare. Appassionato di pittura e ritrattistica, dopo il Liceo Artistico mi laureo in Scienze dei Beni Culturali. L’arte e la materia, ciò che più mi affascina. Conquistato dalle ambizioni dell’equipaggio di Pequod, proverò a dare il mio contributo per fornire ai lettori quel timone che Pequod vuole essere tra i cavalloni dell’informazione.