Ma quando finisce?
«Ma quando finisce?»: penso che sia capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di averlo pensato durante la visita a una mostra o a un museo.
L’esperienza più o meno positiva può dipendere da diversi fattori: innanzitutto gli oggetti esposti – si può essere di fronte a dei celebrati capolavori ma se questi non sono in grado di entusiasmarci, o addirittura di suscitare il minimo interesse, la visita può risultare solo una perdita di tempo.
In secondo luogo l’allestimento: il saper scegliere le modalità di esposizione, dalla sede (in particolare per le mostre) al posizionamento delle opere, fino ai dettagli minori come il colore delle pareti o l’illuminazione, è una componente essenziale per la buona riuscita di una visita.
Altri elementi riguardano fattori che esulano dalle scelte dello staff artistico o dall’architettura che ospita le opere; pensiamo alle guide non sempre coinvolgenti: prestare attenzione a una persona che ha un timbro di voce monotono e noioso non fa altro che aumentare il desiderio che il tempo trascorra il più rapidamente possibile.
Dietro ad una mostra, o alla scelta delle disposizione delle sale di un museo c’è, in teoria, un intento scientifico, vale a dire la volontà di approfondire una tematica attraverso uno studio meticoloso da cui nasce un percorso pensato appositamente a tale scopo. In teoria, appunto, perché spesso lo scopo scientifico viene meno quando vengono organizzate le cosiddette mostre “blockbuster”, eventi in cui il protagonista è il grande artista in grado di richiamare folle numerose e far guadagnare l’ente organizzatore, mentre le opere sembrano scivolare in secondo piano.
Tradire il punto di vista più razionale e intellettuale ha però i suoi vantaggi: tutti possono godere delle meraviglie esposte, soprattutto perché le conoscono già e, da improvvisati ciceroni, possono deliziare amici e parenti con notizie, a volte, piuttosto discutibili.
Questo tipo di esposizioni offrono anche divertenti soluzioni, come la criticata/apprezzata camera da letto allestita alla mostra dedicata a Dalì al Palazzo Reale di Milano, dove un ambiente è stato allestito con mobili ispirati agli elementi onirici caratteristici dell’immaginario del pittore in modo da formare un volto.
Il principale ostacolo al pieno godimento di una mostra o di un museo, tuttavia, resta la mancata comprensione di ciò che si sta guardando: trovarsi di fronte ad un’opera d’arte e non avere la minima idea di che cosa rappresenti è sicuramente fonte di sconforto; a volte nemmeno le targhette esplicative con nome dell’artista e titolo servono a migliorare il nostro stato d’animo.
In uno dei luoghi di trasmissione di cultura per eccellenza, non apprendere rappresenta un fallimento, anzitutto degli organizzatori: è necessario stimolare l’attenzione di un pubblico non composto dai soli addetti ai lavori, ai quali basterebbe la nuda opera, senza bisogno di tanti fronzoli, per lasciarsi coinvolgere alla scoperta di significati profondi e dal mondo interiore dell’artista, ma di soggetti che vanno catturati da percorsi interattivi in cui non si è solamente spettatori, dall’adolescente annoiato in gita scolastica alla famiglia al completo, dai bambini più curiosi ai visitatori più attempati.
È il caso del Museo delle Scienze Naturali di Valencia, noto anche per l’avveniristica architettura, da attraversare in lungo e in largo con grande libertà d’azione (qui Toccare è sempre permesso, in controtendenza alla maggior parte delle strutture museali); tornando a casa nostra, non dimentichiamo le scenografie suggestive e divertenti del Museo Nazionale del Cinema di Torino o l’innovativo festival Uovokids che anima il Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, un omaggio alla creatività dei bambini, tra laboratori pratici e percorsi artistici all’insegna dell’interazione.
In copertina:Salvador Dalì, Viso di Mae West come appartamento.
1104, Dalì Palazzo Reale, featured, musei, Museo Nazionale del Cinema, Uovokids, Valencia
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