Sperimentarsi sul palco, senza etichette: il teatro secondo i villaggi turistici
Anche quest’estate, come ogni estate, le stagioni teatrali sono già concluse e gli stabili calano il sipario, dando appuntamento al loro pubblico tra qualche mese. Senza fissa dimora, gli spettacoli vagabondano, cercano altri palchi e inseguono i loro potenziali spettatori in piazza, per strada, al bar o al parco; si adattano a nuovi spazi, non proprio a misura d’attore, e a nuovi sguardi, non sempre interessati. Camaleontico, il teatro si trasforma, assume forme diverse, si avvicina all’intrattenimento e conserva i testi impegnati nel cassetto. Così riesce a intrufolarsi persino in quei paradisi di relax e svago che sono i villaggi turistici, e quella che potrebbe sembrare l’occasione meno adatta diventa una sfida per sperimentarsi con un pubblico diverso dagli “abbonati”.
L’animatore deve far ridere, lo spettacolo deve piacere; se i tempi per le prove sono stretti, i costumi non calzano a pennello e il compagno sbaglia la battuta, the show must go on. Non sono luoghi comuni, ma conferme che ci arrivano dalla chiacchierata con Elisa Cattaneo. Classe 1991, laureata in Beni culturali, Elisa continua la sua formazione teatrale, tra scuole e workshop, ed è tra le fondatrici della compagnia MITO, specializzata in musical.
«Ho iniziato a fare l’animatrice turistica nel 2008, quasi per scherzo. Ero in vacanza in un villaggio in Sardegna e la coreografa se ne andò perché sfinita dalla stagione; il direttore e il gruppo di animazione mi conoscevano da due anni e mi hanno chiesto di sostituirla. È stato il mio battesimo, un po’ inaspettato, ma se non avessi iniziato così non avrei mai iniziato. Ogni anno mi dico: “Non parto più”, “Sono stufa”, “Chi me lo fa fare?”, e poi parto comunque. Non è facile, ogni anno devi metterci del tuo, nella convinzione che sia un’occasione per crescere».
In effetti la giornata-tipo dell’animatore non dà tregua, soprattutto se, come Elisa, sei coordinatore di gruppo. Al sesto anno di esperienza, Elisa è responsabile delle attività fitness diurne e delle coreografie serali, che impegnano dalle 8.30 a mezzanotte non-stop, perché «tra un’attività e l’altra fai “contatto”, ossia non ti fai gli affari tuoi – spiega Elisa – ma cerchi di farti conoscere e di conoscere le esigenze degli “ospiti”, come li chiamiamo noi». L’ora del sonno per gli “ospiti” è per gli animatori ora di riunioni, programmazione e soprattutto tempo di prove.
Questa è una delle prime, sostanziali differenze rispetto agli spettacoli proposti nei teatri: «Il 99% delle volte sali sul palco non sapendo cosa potrebbe succedere. È tutta improvvisazione: hai un canovaccio, sai cosa succede in quella scena e si improvvisa; a forza di ripeterla si definisce una specie di copione. Se ci sono copioni, vengono seguiti poco anche per un problema pratico: non c’è tempo di studiarli. Io ho sempre odiato questa cosa – confessa Elisa, abituata a tempi di prova più distesi, tra le pareti delle sale teatrali – ma impari».
Nella logica del villaggio, però, poco importa se c’è un vuoto di memoria o qualche errore, l’importante è fidelizzare i clienti e soddisfare le loro esigenze. Individuato il target, si programma il “cartellone” delle attività: liscio e burraco per la comitiva di anziani, baby dance e spettacoli più semplici per le famiglie con bambini.
Anche per questo negli show serali «si propone quasi sempre il cabaret, con 6-7 sketch in scaletta per un totale di un’ora, oppure il musical, con cui puoi arrivare a un’ora e mezza di spettacolo. La maggior parte degli spettacoli nasce dall’unione di tanti pezzi, per alcuni prendiamo ispirazione da altri artisti, per altri ci riuniamo davanti a un foglio bianco per dar sfogo alla creatività».
Senza troppi giri di parole, sintetizziamo con Elisa la proposta teatrale-spettacolare dei villaggi turistici: «È un teatro fatto per il cliente, quindi non un teatro di ricerca, ma per far ridere, per piacere e attirare gente; per farla rilassare, svagare, per farle vedere qualcosa di nuovo e comunque di ben fatto, perciò si punta molto su costumi e scenografie, anche perché spesso gli attori, se non vengono da grosse agenzie di animazione, non sono professionisti».
Non si tratta di teatro sperimentale: per spettacoli innovativi nel linguaggio e provocatori nei contenuti c’è un anno intero; in vacanza, allora, ci vogliono spettacoli che colpiscono per leggerezza, comicità, freschezza. Questo non significa che la sperimentazione sia esclusa, che tutto sia preconfezionato e riproposto identico a se stesso.
«Si azzarda qualche sperimentazione sempre tenendo conto di esigenze pratiche, prima di tutto quelle degli ospiti; si può giocare con dei cambi di battute negli sketch comici, si può pensare di proporre un musical più impegnativo, senza happy end, come mi è capitato con un Romeo e Giulietta e Nôtre-Dame de Paris – ricorda con piacere Elisa – È un rischio che ti prendi se sei in un buon gruppo di animazione, ben affiatato. Sperimentare qui significa anche adattarsi a costumi un po’ arrangiati: non puoi avere troppe pretese, non tutte le agenzie hanno soldi da investire in abiti per il musical di una stagione che ritornano con i buchi!».
Il valore di un’esperienza di lavoro estenuante come quello dell’animatore turistico si misura nella pratica, cogliendo gli spunti di riflessione nei momenti in cui si devono affrontare (e in fretta) problemi e novità. «Questa è una buona scuola per imparare a improvvisare e ad arrangiarsi con quello che si ha a disposizione. Se per un musical sei abituato a scenografie importanti, impari a farti bastare un fondale; così per la costumeria, l’oggettistica e anche per le persone. Se si è in pochi, tutti fanno tutto, dal tecnico all’attore al presentatore, il che è un fattore positivo».
Salire su un palco e lanciarsi, anche dopo poche prove; improvvisare e seguire i compagni, “sentire” il pubblico e “aggiustare il tiro”: tutte esperienze che richiedono sensibilità e prontezza, con cui non sempre ci si misura nelle scuole o nelle Accademia. Al tempo stesso, però, secondo Elisa sarebbe ingenuo pensare di formarsi, come attore e teatrante, solo con i periodi di lavoro nei villaggi turistici: «Sicuramente da una stagione di animazione non esce il nuovo Gassman. Fatte più stagioni, tanti si sono iscritti a scuole di musical proprio perché l’animazione in sé non basta. Io ho seguito i tre anni al Teatro Prova di Bergamo, ad esempio, e ci sono anche altri corsi, scuole, accademie… ma è importante avere un’impostazione di base per emergere».
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