Muoversi oggi nel mondo del lavoro: tra voucher, stage e contratti atipici
Orientarsi nel mondo del lavoro di oggi, regolato da contratti atipici e di formazione, è una sfida che impegna non pochi sforzi: un vero e proprio viaggio alla ricerca di informazioni circa diritti e spettanze del lavoratore. Contratti di lavoro interinale, di apprendistato, formativi sono stati introdotti allo scopo di combattere le forme di lavoro irregolare che abbondano nel nostro Paese. L’intento era di ridurre la realtà del cosiddetto free riding: l’usufrutto di beni pubblici, senza che si abbia pagato per il loro utilizzo. Il fenomeno è diffuso e complesso e, come tale, lo è anche il disegno di governance della politica di emersione, che implica una particolare visione d’inclusione sociale, non intesa come semplice assistenza a imprese e lavoratori, ma come un’occasione di partecipazione in termini occupazionali.
Purtroppo, anche se le intenzioni sono buone, non sempre i risultati sono positivi: smisurata complessità legislativa e eccessiva precarietà del lavoro. Alla precarietà corrisponde una continua rioccupazione in lavori nuovi, il passaggio tra vari settori lavorativi e, di contro, una certa paura nel lasciare una condizione di occupazione stabile. Il viaggio del lavoratore italiano è perciò colmo di svolte e imprevisti, ma è spesso svuotato di sogni e aspirazioni.
Negli ultimi mesi anch’io mi sono gettata nel marasma burocratico creato dalle leggi che regolano i rapporti di lavoro: provo a dare una svolta alla mia vita, vagliando la possibilità di conciliare il mio lavoro part-time con un’attività che metta a frutto la mia laurea nel cassetto. Prima tappa del mio tour è l’accessibile e vicina rete informatica, che abbonda sia di fonti ufficiali sia di esperienze informali. Purtroppo la prima reazione alle testimonianze condivise sul web è di totale sconforto: numerosissimi i precari non più giovani che esibiscono curriculum di svariate pagine, ricoperte di elenchi di contratti a tempo determinato. Non di maggiore aiuto sono i siti legislativi ufficiali: le leggi che disciplinano i rapporti di lavoro e di formazione variano con molta frequenza e in alcuni casi sono differenti tra regione e regione. Un caso eclatante è la disciplina che regola il compenso degli stagisti: dal 2013, per i tirocini extra-curriculari, ovvero quelli formativi, di inserimento o reinserimento, per disoccupati, neo-laureati e disabili, esiste l’obbligo di riconoscere allo stagista un rimborso spese. Tuttavia ogni Regione ha recepito la normativa a suo modo ed esistono differenze oscillanti tra i 200 e i 300 euro.
Un comparto a sé è rappresentato da tutte quelle prestazioni pagate sotto forma di voucher. Il pagamento in voucher, detto anche buono lavoro, rappresenta la remunerazione per una particolare modalità di prestazione lavorativa definita accessoria: non è riconducibile a contratti di lavoro in quanto svolta in modo saltuario. Questa formula è quella che più specificatamente è nata con l’intento di regolamentare e tutelare situazioni non disciplinate: contratti di prestazione occasionale, in molti casi stipulati in seno alle famiglie, tanto come assistenza di minori e anziani quanto nel ramo del turismo. Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione. Il voucher garantisce la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL.
Durante la mia ricerca mi imbatto di rado in offerte di lavoro che specificano che la modalità di pagamento sarà in buoni lavoro. Tuttavia la situazione italiana rivela come, nella realtà, i buoni lavoro siano notevolmente diffusi e utilizzati come sostitutivo per contratti di lavoro a tempo determinato, soprattutto dopo la riforma del lavoro del 2012, che ha esteso il loro utilizzo a tutti i settori lavorativi. Nella mia condizione di lavoratrice part-time il buono lavoro sarebbe una buona alternativa: potrei conciliare un contratto indeterminato al pagamento in voucher, a patto di non superare una certa soglia di guadagno annuale, che cambia a seconda del settore.
A stuzzicare la mia curiosità è nel frattempo un link che rimanda a uno stage. Provo a vagliare anche questa possibilità, aprendo pagine su pagine di proposte lavorative per neo-laureati, presentate in toni clamorosi da pubblicità e ricche più di requisiti richiesti che di informazioni sull’impiego. Contatto qualche numero disponibile; in risposta ottengo valanghe di domande: «Età? Famiglia? Esperienze? Hai già intrapreso uno stage? Un apprendistato? Hai superato la soglia di remunerazione in prestazioni occasionali?».
Tra una chiamata e l’altra, scovo un paio di stage che sembrano in linea con quello che cerco, ma in effetti i miei sforzi telefonici per avere un’idea chiara dei contratti che mi sono proposti non producono frutti. Il telefono è ancora nelle mie mani, penso allora di comporre il numero di qualche ufficio preposto a fornire informazioni sull’argomento. Lunga la lista: centri per l’impiego, sindacati, assessorati alle politiche giovanili, sportelli informa-lavoro. A domande specifiche circa la possibilità di portare avanti, in parallelo, un lavoro part-time e uno stage formativo le risposte sono discordanti e insicure: il buonsenso dell’operatore, circa la necessità di avere un altro reddito per compensare la retribuzione dello stage, si scontra con la legge che, di fatto, non permettere di avviare uno stage se si ha già un contratto a tempo indeterminato.
Chiudo la ricerca e rimetto la mia laurea nel cassetto, in attesa di nuove norme che mi permettano di sfruttarla. Gli ultimi anni hanno visto infatti la comparsa di numerosissime nuove tipologie retributive, volte a regolare prestazioni di lavoro solitamente remunerate tramite pagamenti “a nero”; è un segnale positivo sia dell’impegno di una parte della politica, sia di una rinnovata coscienza comune che condanna i rapporti di lavoro che mancano di regolamentazione fiscale. Purtroppo i buoni propositi e il cambiamento culturale in atto sono messi a dura prova: dalle difficoltà che si incontrano nel districarsi tra la regolamentazione dei contratti atipici e dall’impressione che l’ago della bilancia punti solo in direzione delle aziende, che risparmiano considerevolmente sul costo del lavoro. Non da ultimo, per poter fare uno stage e riuscire a mantenermi, sarei costretta ad accettare lavori non regolamentati da un contratto, vista la poca remunerazione dei primi, e l’abbondanza dei secondi. Non resta che la speranza nelle proprie capacità, a spingere i lavoratori italiani a rimettersi in viaggio.
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