Viaggiar per frequenze: pregi e difetti dell’autoradio
È passato un paio d’anni dall’incontro con la mia Ford Ka. Un incontro non programmato né voluto: abbandonata improvvisamente dalla mia precedente automobile, sono stata costretta a cercare la migliore offerta tra i rivenditori di usato. La migliore offerta era lei, la Ford Ka. Ci siamo capitate, non certo scelte e in comune avevamo ben poco: lei con le sue curve femminili, diligentemente ricoperte di strass dalla precedente proprietaria; io già preoccupata delle sue ridotte dimensioni. Il più imperdonabile dei difetti della Ka non stava però nelle sue misure, facilmente dimenticabili in virtù dei parcheggi improbabili che è capace di occupare; il più imperdonabile dei difetti era per me l’autoradio incorporata con mangianastri.
Benché io sia nata appena in tempo per veder finire gli anni ’80 e abbia nella mia infanzia consumato centimetri su centimetri di nastro magnetico, sopravvivere della musica delle mie vecchie cassette era alquanto improbabile: tralasciando l’imbarazzo di riascoltare i gusti musicali della mia adolescenza, il problema insormontabile è la scarsa resistenza dei nastri all’usura, per cui i già ridotti minuti registrabili sul supporto svaniscono col tempo e le sbobinature. Non mi restava che imparare a conoscere e usufruire delle frequenze radio.
La prima sensazione era di esser stata incatenata a un passato senza tecnologia. Rivedevo mia nonna svegliarsi la mattina e accendere la sua radiolina, cercando ogni volta di ottimizzare la ricezione e come lei mi vedevo scorrere le frequenze alla ricerca di una stazione stabile. Abitare in alta valle non aiuta; le curve della strada e i rilievi montuosi rappresentano un ostacolo che ben poche onde riescono a sormontare per un tempo dignitoso, perciò si è costretti a saltellare da una frequenza all’altra, sfidando disturbi e interferenze. Eppure ci sono stazioni che riescono a raggiungerti sempre, sebbene tu non le abbia mai cercate! Con assoluta disinvoltura si intrufolano tra i segnali in ricezione e in toni pacati tentano di indurre all’ascolto di riflessioni religiose, di litanie sgranate sui rosari, di messe celebrate altrove. Non c’è ricerca tra le frequenze di un’autoradio che non includa almeno per pochi istanti anche quelle di qualche radio cattolica.
Come non bastasse, i miei gusti in fatto di musica sono abbastanza difficili e assecondarli con melodie che possano piacere anche al resto degli ascoltatori non è cosa né semplice né diffusa. Me ne hanno dato prova fin da subito le stazioni già memorizzate nella Ka: una rassegna di frequenze captanti suoni sempre più rapidi ed elettrici, voci femminili urlanti, testi sdolcinati volti a portare al limite della malinconia, il tutto intervallato da discussioni sempre più futili e vuote di senso. La totale democrazia dei canali radio apre finestre sulla quotidianità delle persone e ci spinge a scoprirla, anche qualora non fossimo per nulla intenzionati a guardarvi dentro; ed è così un fiorire di programmi che invitano a parlare delle proprie più piccole abitudini, a condividere ogni pensiero, a opinare sul nulla. È pur vero che anche a me è successo di veder stuzzicata la mia empatia dalle telefonate dei radioascoltatori; sentirsi un po’ meno folli, un po’ meno avulsi, un po’ meno tonti è una reazione inevitabile, ma bastano già le mie stranezze a riempire le giornate, senza bisogno d’includere nei miei pensieri quelle altrui. Invece la radio t’imbroglia proprio così: trovi finalmente quella canzone che incontra il tuo piacere, già iniziata ovviamente, ma che importa? Inizi a canticchiare il ritornello, ripassando nella mente i versi della seconda strofa… ma no! Le ultime note scompaiono in un decrescendo di volume e le voci dei presentatori tornano a riempire l’abitacolo, quando addirittura non lasciano spazio agli interminabili tempi pubblicitari, che attraverso i segnali radio sembrano essere ancora più penetranti e persistenti.
Eppure dopo due anni di convivenza, anche io e la Ka abbiamo imparato ad andare d’accordo: lei sostituendo ai suoi brillantini il mio ciarpame etnico, io imparando ad apprezzare le risorse dei canali radiofonici. Dopo i primi mesi di estenuante ricerca di audiocassette presso amici e parenti, ho presto scoperto che il ventaglio di onde che potevo captare, una volta memorizzata la localizzazione geografica delle diverse possibilità di ricezione, offre una varietà di generi tale che è ancora più semplice conciliare i miei ascolti ai suoni trasmessi, che non rovistare tra i gusti degli amici. Le mie stesse orecchie ne hanno tratto giovamento: estenuate nel tempo dai miei ascolti monotoni di musiche giamaicane, hanno infatti riscoperto il piacere di generi il cui eco giaceva inascoltato sul fondo dei miei ricordi. Dal cantautorato italiano di cui mia madre riempiva la casa, alla musica anni ’90 della mia giovinezza; dai suoni in bianco e nero delle canzoni dei miei nonni, ai primi rock’n roll ascoltati nell’auto di mio fratello maggiore; senza dover rinunciare all’ascolto tanto delle novità, quanto dei miei amati suoni etnici dal retaggio tribale. Sormontando l’impressione iniziale di una totale assenza d’organizzazione nel funzionamento della ricezione radiofonica, si impara a scandire i propri spostamenti al ritmo dei programmi, a regolarsi al momento giusto sulla frequenza gusta.
Uno dei piaceri ormai irrinunciabili per me e la Ka è ad esempio il giornale radio della sera, che senza richiedere lo sforzo di ricerca e lettura di articoli giornalistici, mi evita i notiziari televisivi, di cui non sono mai stata amante. Eliminato l’elemento di distrazione rappresentato dalle immagini spesso fuorvianti e ridotti i tempi di trasmissione, le informazioni sono riportate nella loro essenza, in modo chiaro e conciso, senza sfruttare le notizie per trasformarle in temi di gossip mediatico. La politica soprattutto trova spazi d’espressione che in tv non sempre sono così ben delineati, permettendo l’approfondimento su aspetti lasciati in ombra o addirittura facendo spazio a fatti che non ne trovano nelle trasmissioni video. Un piacere tutto da tifosa atipica, di quelle che seguono il calcio solo attraverso commenti e repliche dei momenti salienti, è poi quello della radiocronaca sportiva, soprattutto se edulcorata dei momenti morti di gioco.
Per godere del più poetico dei piaceri regalati dalla radio, è però necessario uscire dal proprio raggio di frequenze e avviarsi ad attraversare il Paese: di regione in regione le onde portano con sé le sfumature dialettali degli accenti dei presentatori, accogliendoci con il suono delle voci di chi vive nei luoghi in cui viaggiamo.
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