C’erano una volta i ricettari dei colori
Fino all’avvento dell’epoca industriale procurarsi i colori necessari a dipingere richiedeva tempo e conoscenze degne di un chimico. Nonostante l’uso e la ricerca di pigmenti si perda nella notte dei tempi (pensiamo ai graffiti rupestri delle caverne realizzati con colori ottenuti da terre colorate), è soltanto nel Medioevo che questi procedimenti divennero oggetto di studi attenti e metodici, tanto da sentire l’esigenza di consegnare ai posteri queste nozioni fissandole nelle pagine dei libri.
Le prime note scritte iniziarono a circolare nei manuali degli alchimisti; l’interesse per l’argomento è in realtà marginale e il linguaggio utilizzato è a tratti oscuro per i non adepti, ma si tratta comunque di una base di partenza da cui furono tratti i cosiddetti Libri di segreti, manoscritti depositari di svariate conoscenze: dall’arte di conquistare le donne, ai sistemi per far passare le verruche, fino, appunto, alla preparazione dei colori. Molti di questi Libri di segreti finirono nei monasteri, dove i monaci ne conservarono le preziose nozioni copiandoli nel silenzio delle loro biblioteche nel corso dei secoli. Alla teoria si aggiunse la pratica e qualche monaco decise di applicarsi di persona nel campo delle arti studiando i testi e specializzandosi: chi era artista, chi miniatore e chi tintore.
I laboriosi monaci non si limitarono però a restare entro le mura delle loro celle. La loro abilità era richiesta anche nelle città; fu in questa fase che il patrimonio di conoscenze sulla fabbricazione dei pigmenti passò dai religiosi ai laici, diffondendosi tra gli artigiani.
Di questa fase è il celebre testo latino del monaco Teofilo, vissuto nel XII secolo, intitolato De diversis artibus; gran parte del trattato è dedicato alla metallurgia, tuttavia esiste anche una consistente parte dedicata ai colori e, a renderla importante, è il suo carattere enciclopedico: secondo molti studiosi essa sarebbe infatti una raccolta delle “ricette per pigmenti” circolanti per l’Europa fino a quel periodo.
Il più importante contributo in questo campo arriva però da un artista, o meglio da un artigiano (visto che quella era la considerazione comune di chi realizzava opere d’arte), vale a dire il Libro dell’arte di Cennino Cennini, scritto in italiano volgare (e anche in questo sta la sua importanza); esso restituisce una panoramica dettagliata su tutte le tecniche artistiche dell’epoca, tanto da essere usato ancora oggi dai restauratori nel loro lavoro.
Voglio chiudere con uno dei passi più belli del Libro dell’arte, in cui traspare lo spirito di ricerca e di sperimentazioni di tutti quegli artisti-artigiani che dovettero letteralmente creare dal nulla i loro grandi capolavori.
“Giallo è un color naturale, il quale si chiama ocria. Questo colore si trova in terra di montagna, là ove si trovano certe vene come di zolfore; e là ov’è queste vene, vi si trova della sinopia, del verdeterra, e di altre maniere di colori. Vi trovai questo, essendo guidato un dì per Andrea Cennini mio padre, menandomi per lo terreno di Colle di Valdelsa, presso a’ confini di Casole, nel principio della selva del comune di Colle, di sopra a una villa che si chiama Dometaría. E pervegnendo in uno vallicello, in una grotta molta salvatica, e raschiando la grotta con una zappa, io vidi vene di più ragioni colori: cioè ocria, sinopia scura e chiara, azzurro e bianco, che ’l tenni il maggior miracolo del mondo, che bianco possa essere di vena terrigna; ricordandoti che io ne feci la prova di questo bianco, e trova’lo grasso, che non è da incarnazione. Ancora in nel detto luogo era vena di color negro. E dimostravansi i predetti colori per questo terreno, sì come si dimostra una margine nel viso di uno uomo, o di donna. Ritornando al colore dell’ocria, andai col coltellino di dietro cercando alla margine di questo colore; e sì t’imprometto che mai non gustai il più bello e perfetto colore di ocria. Rispondeva non tanto chiaro quanto è giallorino; poco più scuretto; ma in capellatura, in vestimenti, come per lo innanzi ti farò sperto, mai miglior colore trovai di questo color d’ocria. È di due nature, chiaro e scuro. Ciascuno colore vuole un medesimo modo di triarlo con acqua chiara, e triarlo assai; chè sempre vien più perfetto. E sappi che quest’ocria è un comunal colore, spezialmente a lavorare in fresco, che con altre mescolanze; che, come ti dichiarerò, si adopera in incarnazioni, in vestiri, in montagne colorite, e casamenti, e cavelliere, e generalmente in molte cose. E questo colore di sua natura è grasso”.
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