Turisti a Cuba: tra danze e colori, fiesta y revolution!
Il clima di festa è il primo ricordo di Cuba di cui parla Mary, sbarcata sull’isola nell’Agosto 2016, in coincidenza con il novantesimo compleanno di Fidel Castro: «Le strade erano piene di festoni, i cui colori si mescolavano a quelli già molto accesi delle facciate, mentre i locali erano decorati con immagini del leader della rivoluzione, posti accanto agli altari domestici caratteristici della Santería. In realtà, al di là dell’incredibile mole di fiori e frasi d’auguri sparsi per l’isola, molti dei decori che colpivano coi loro toni accesi, a Cuba rappresentano l’arredo tipico di una cultura che ama circondarsi di immagini votive e idoli».
Non meno caratteristico è lo spirito festaiolo dei cubani, le cui giornate sono ricche di musiche e balli, in cui amano coinvolgere le belle turiste europee: «Le cubane ci hanno subito messo in guardia sui giovani locali: “L’uomo cubano non è affidabile anche se molto passionale!” – riferisce ancora Mary – In effetti, il numero degli “Hola chica guapa!” che risuonano nelle strade è gratificante, ma spesso si accompagna a piccole richieste in denaro o baratti. L’accoglienza cubana è però davvero incredibile: sono molto solari, disponibili nel dare consigli e desiderosi di parlare della loro patria».
Della stessa accoglienza e della stessa solarità raccontano Franco e Cecilia, che hanno visitato Cuba nel 2008, quando ancora non si affacciavano le possibilità di risoluzione del bloqueo, aperte da Obama nel 2014: «I cubani sono molto orgogliosi della loro storia, di cui amano parlare con i turisti e di cui conservano memoria nei numerosissimi “santuari” della Rivoluzione: monumenti, musei, luoghi storici permettono di capire la storia di questa nazione, che per il fatto di essere recente si differenzia dagli altri stati del Centro America. I locali danno indicazioni e concludono affari con i turisti senza chiedere la propina; fatto che ci ha colpiti, dopo che avevamo incontrato quest’abitudine in buona parte del mondo latino». Un’abitudine che si è forse inserita solo in seguito a contatti significativi con i turisti europei e che comunque rimane in sordina, se posta a confronto con la sua diffusione nei paesi del terzo mondo.
In effetti, inquadrare Cuba da un punto di vista economico non è così semplice: «L’economia a inizio secolo era essenzialmente agricola, con stabilimenti industriali piuttosto arretrati; – spiega Franco – attualmente l’industria turistica ha assunto un’importanza notevole, ma che penso sia anche fonte di forti contraddizioni: di fronte ai cubani che, in base a un sistema di stipendi fissi nazionalizzati e tessere per le derrate, possono avere senza problemi l’essenziale di che vivere, ma solo l’essenziale, lo spreco dei turisti è un pugno nello stomaco». Osservazioni al contempo confermate e smentite dall’esperienza di Mary: «La differenziazione della moneta in CUC per i turisti e Pesos National per i cubani fa sì che anche gli indigeni possano permettersi di acquistare beni destinati principalmente ai turisti, ma a cifre più contenute; lo abbiamo sperimentato su una spiaggia per cubani a Santiago: i prezzi delle baracche in lamiera che vendevano cibo non erano neanche paragonabili a quelli spesi ad esempio sul Malecón de L’Avana, diventato famoso grazie ai videoclip musicali e punto di ritrovo prediletto degli habaneros. Lo stipendio in proporzione è comunque molto basso! Soprattutto nelle periferie che sono ancora molto povere, si cerca di sfruttare la presenza dei turisti per ottenere modeste mance o piccoli doni».
Ritratto emblematico dell’evoluzione della realtà cubana è la città di Varadero, ai primi posti nell’offerta turistica grazie ai numerosi resort all inclusive che si affacciano sulle sue splendide spiagge. Cecilia e Franco ricordano lo spreco esorbitante dei turisti europei di fronte ai succulenti buffet; nel 2016, Mary racconta di come i cubani in vacanza abbiano interiorizzato quest’atteggiamento consumistico: «L’ambiente era molto sporco, ma proprio per la maleducazione dei turisti, che a Varadero sono per lo più indigeni».
Dal Vecchio Continente, i turisti sbarcano a Cuba alla ricerca dell’essenza dell’isola, delle espressioni contemporanee di una cultura radicata e pregnante, di colori e sapori che parlano di tradizione; i cubani rispondono assimilando il più possibile e poi ricostruendo ad hoc gli scenari folkloristici dell’immaginario europeo. Questo sincretismo culturale ed epocale, che mai arriva a una sintesi definitiva, trova espressione nella polifonia della vita notturna cubana: celeberrime le Case della Musica che offrono spettacoli della più fedele tradizione cubana, ma che sfalsano la natura modesta delle balere che si affacciano sugli sterrati periferici, dove anziani ancora arzilli si offrono alle turiste per mostrare loro qualche passo di rumba o per degustare un rum, mentre lungo la via si accendono piccoli falò attorno cui le famiglie si raccolgono a chiacchierare. Se si vuol essere turisti onesti, però, e incontrare la realtà della gioventù cubana, non sono le balere né gli spettacoli d’orchestra la vera attrazione delle notti di Cuba, ma le discoteche reggaeton dove i giovani non indossano foulard, non suonano chitarre, ma cantano hip hop e vestono all’occidentale.
L’occidente si fa strada come richiesta di nuovi consumi, nella musica, nel vestiario, nell’alimentazione; eppure il paesaggio dell’isola riesce a restarne intaccato: «Quello che mi ha stupito è che nel marasma di colori dei paesaggi cubani, tutti caratterizzati dall’abitudine di ridipingere piuttosto che restaurare le case (molte splendide ville di epoca coloniale) o riparare le auto (spesso pickup risalenti agli anni ’20 tenuti insieme a spago), non comparissero cartelloni pubblicitari. A Cuba la pubblicità non esiste! In compenso, su molte facciate si leggono frasi propagandistiche o riproduzioni dei leader della rivoluzione.» racconta Mary. La memoria storica oppone ancora una forte resistenza all’ingresso del capitalismo sull’isola, forse anche a causa dell’onnipresente censura: «Ogni tre case si incontra un CDR – spiega ancora Mary – che si occupa di verificare le voci attorno al regime, denunciando gli oppositori; una sorta di polizia in borghese. Non è facile fare domande sui Castro ai locali; una cameriera si è allontanata dalle colleghe per sussurrarci che “in effetti, Fidel è un dittatore”».
Anche la cameriera, però, finito il turno, si unisce con gioia ai festeggiamenti, seguita dal figlio che cresce da sola, su quest’isola dove gli uomini amano passionalmente, ma abbandonano a cuor leggero; dove non manca nulla ma ci si deve accontentare di poco; dove le ferite recenti di una guerra civile seguita da infinite restrizioni non hanno intaccato l’orgoglio patriottico di un popolo che ha realizzato una rivoluzione unica nella storia; dove il clima mite regala il ristoro di un mare caldo e la vegetazione caraibica si offre a palcoscenico di danze intervallate dall’intramontabile slogan: “Hasta la victoria siempre!”
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