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Musica proibita nella “Decade senza legge”

Il proibizionismo statunitense è spesso accompagnato, nelle nostre menti europee e occidentalizzate, da una musichetta allegra suonata da un pianista afroamericano che sta in un angolo. Lo si intravede tra la fumera di sigari e le bottiglie d’alcool di contrabbando. Prima di sederci a uno di quei tavoli, occorre fare un passo indietro e capire come quel musicista nero sia arrivato lì: potremmo essere al Cotton Club di New York o in uno degli Speakeasy più amati da Al Capone a Chicago. Partiamo dal principio e torniamo a New Orleans, dove tutto ebbe più o meno inizio.

New Orleans. Occorre anzitutto cercare di comprendere la ricchezza artistica della città, un porto commerciale aperto sul Golfo del Messico nonché melting pot musicale: blues, ragtime, le marce di Sousa, musiche a percussione caraibiche, l’opera lirica di derivazione europea era quel che si poteva ascoltare passeggiando per le strade. Ogni gruppo della popolazione poteva sviluppare la sua propria cultura, ma restando sempre in contatto (era inevitabile) con quella dei quartieri vicini. La musica d’influenza caraibica, il ragtime e il blues sono le tre direzioni principali che ci avvicinano al jazz. Quella di swing è la nozione più indissolubilmente legata al concetto di jazz (molti musicisti utilizzano il termine come criterio assoluto di autenticità nella valutazione di un brano) e fino agli anni ’40 era normale associarlo al fatto di provocare il movimento nell’ascoltatore.

A New Orleans si balla, si beve e si canta: locali malfamati in cui la musica “primitiva” si mischia con i balli sofisticati d’origine francese e spagnola; un’esplosione di spettacoli e concerti nei cortili e nelle strade. Si assiste in breve tempo alla strutturazione dei filoni creativi del jazz. Fulcro di questo fermento artistico era Storyville, il quartiere a luci rosse della città, dove suonatori virtuosi trovano i primi impieghi regolati. Si crea una vera e propria “scuola”, dalla quale emersero i nomi più famosi di Jelly Roll Morton e Louis Armstrong.

Nel 1917 tutto questo magico mondo musicale crolla, insieme alla stabilità mondiale: dal porto di New Orleans partono navi zeppe di soldati americani alla volta del conflitto mondiale che sta volgendo al termine sul suolo europeo. La città non era proprio il luogo adatto da cui partire per una missione così seria, tanto che quasi tutti i disertori trovavano rifugio proprio nel quartiere a luci rosse, determinandone l’immediata chiusura. I musicisti iniziarono a cercare fortuna presso i grandi centri urbani del midwest e in pochi anni Chicago diventa la “nuova” città del jazz, il nuovo punto di raccolta dei musicisti (che in realtà si spostano proprio lì anche per lavorare nelle grandi fabbriche della città). Inizia così quella che viene definita la “Decade senza legge” (1919 – 1929) in cui si scatenerà un enorme gioco di interessi, a cominciare dal contrabbando al controllo degli speakeasy (gli spacci illegali e clandestini di alcool), in un giro vorticoso di denaro, divertimento ed evasione. È attraverso queste esperienze che il “jazz campagnolo” della Louisiana diventa più tagliente, più preciso e si afferma definitivamente come colonna sonora della vita di un Paese.

In questo momento la forma dell’improvvisazione raggiunge la sua ampiezza e sarà un cambiamento di repertorio a modificare in modo considerevole l’atteggiamento dei musicisti jazz. Le melodie di Tin Pan Alley possiedono una struttura caratteristica: sono divise in due parti, la prima chiamata verse è la presentazione della situazione che conduce all’altra parte della chorus, un ritornello elaborato per lo più da una serie di sequenze di otto misure. Questa forma corrisponde al genere delle commedie musicali di Broadway, inframmezzate da “numeri musicali” che diventano canzoni molto popolari; ora ogni orchestra degna di questo nome dovrà interpretare tali melodie di successo, ispirandosi ad una visione un po’ esotica del jazz.

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Dalla metà degli anni ’20 i musicisti di jazz abbandoneranno gradatamente la forma più tradizionale del ragtime, la base diventa la parte del chorus delle canzoni più apprezzate del momento (il tema originario diventa un pretesto per l’interpretazione del solista): è la concisione di queste melodie, il più delle volte di 32 misure, che permette ai solisti, ripetendola più volte, di produrre delle variazioni sempre più spinte.

La musica di Louis Armstrong è forse il più bell’esempio di libertà individuale. A quel tempo egli praticava una musica alla “New Orleans” molto più codificata, ma in termini realizzativi di una libertà assoluta: l’improvvisazione collettiva quasi permanente obbliga i singoli musicisti a porsi in rapporto costante con gli altri. Luigi Braccioforte consoliderà la sua posizione di super solista con la fondazione dell’orchestra Hot Five nel 1925. Anche qui riprende gli ingredienti stilistici della musica di New Orleans, li semplifica, soprattutto a livello delle strutture, e si fa avanti sul palco sia come trombettista che come cantante.

Sediamoci ora al tavolino del Cotton Club: siamo a New York e Duke Ellington diventerà il direttore dell’orchestra (nero) nel 1927; si creerà intorno a lui un nucleo affiatato di musicisti che lo seguiranno per tantissimi  anni. Qui egli ebbe la possibilità di sperimentare le sue stesse composizioni e raffinare le proprie tecniche di arrangiamento, spingendo all’estremo configurazioni strumentali inedite con il desiderio e la volontà di dare all’orchestra jazz la stessa consistenza di un’orchestra sinfonica classica.

Una nuova consapevolezza del genere e della pratica musicale di cui si è rappresentanti, questo forse il punto di arrivo che si ha insieme e dopo il periodo del proibizionismo: locali clandestini, commerci illegali e pessimo alcool di contrabbando che hanno permesso a una sottocultura musicale di autodefinirsi e emergere in modo completo… e comunque ad Al Capone il jazz piaceva un sacco.

«Barista! Un altro whiskey!»

«Damn! Shhht! Speakeasy»

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Sara Alberti

Nata sulle colline bergamasche nel 1989, percuoto dall’età di otto anni, quando ho iniziato a studiare batteria e percussioni da orchestra nel Corpo Musicale Pietro Pelliccioli di Ranica (W la banda!). Dopo essermi barcamenata tra le varie arti, la Musica ha avuto la meglio e mi è valsa una laurea in Musicologia. Profondamente affascinata dal vecchio e dall’antico, continuo a danzare e suonare nella Compagnia per la ricerca e le tradizioni popolari “Gli Zanni” e per il mio grande amore balcanico Caravan Orkestar. Su questa nave di pirati sono la responsabile della sezione Nuove Premesse, della cambusa e della rubrica musicale.