Permacultura: vivere con la natura, non contro la natura
Seduti in giardino, tra l’aria temperata di questo finire di Marzo che illude di una Primavera 2017 che ci restituisca finalmente le mezze stagioni, con Davide osserviamo la fortuna di vivere entrambi immersi nel verde, lui rifugiato tra le colline maremmane, io nascosta tra le montagne bergamasche, ancora a contatto con la natura che ciclicamente muta colori, dando nuovo aspetto ai paesaggi e ricordando lo scorrere del tempo.
Rispettare la scansione dei mesi che la luna impone alla natura è la prima regola dei coltivatori diretti come lui, conoscitori del mutare del tempo e delle stagioni, e non è certo una novità che la produzione intensiva che ha fatto seguito all’industrializzazione e al progresso, affermando esigenze di mercato che vogliono quotidianamente cibi freschi disponibili tutto l’anno, sia tra le principali cause del disequilibrio creatosi tra le risorse a disposizione e il numero di persone che abitano il pianeta Terra; ma fattualmente esiste una possibilità per sfamare la popolazione mondiale senza sfruttare la terra oltre l’eccesso?
«Esiste la permacultura, – mi spiega Davide, che da un paio d’anni sta frequentando seminari su questo criterio applicato in agricoltura – che propone un approccio etico alla terra, in vista di uno stile di vita ecosostenibile».
La permacultura, dall’inglese permanent culture (o permanent agriculture), consiste in una strategia di progettazione del territorio, elaborata negli anni ’70 da Bill Mollison e David Holmgren, attraverso lezioni, conferenze e manuali, che parte dall’osservazione dell’ambiente, per una sua organizzazione funzionale finalizzata alla permanenza nel tempo. Nato in un villaggio di pescatori in Tasmania, negli anni ’50 Mollison osservò l’incipiente deterioramento di alcuni ambienti naturali dell’isola natia e la progressiva carenza di risorse; dopo un breve periodo da attivista resistente, dedicò la sua vita all’insegnamento, concentrando le proprie ricerche verso stili di vita sostenibili e ideando con Holmgren questa sorta di disciplina, che raccoglie strategie di produzione etiche elaborate nei più diversificati territori.
«Non ci sono dettami, norme inderogabili prescritte: la permacultura parte dall’osservazione diretta dell’ambiente in cui si vuole vivere, o che si vuole progettare. – continua Davide – Ci sono tre principi etici elaborati da Bill Mollison, che riassumono il punto di vista proposto:
1. cura e rispetto della terra;
2. cura e rispetto degli uomini, delle persone;
3. investimento del surplus (tempo, denaro, materiali) al fine di realizzare gli obiettivi.
In sostanza ci si preoccupa di insediarsi in un ambiente, sfruttandone al massimo le risorse, ma senza mai esaurirle, anzi facendo in modo che si rinnovino ciclicamente».
In primis, la permacultura è una strategia di coltivazione ecologica. Anche Davide è venuto a contatto con le prime nozioni grazie a una coltivatrice diretta che gli ha fornito consigli su come gestire un orto sinergico: «Per orto sinergico s’intende uno spazio coltivato non al solo scopo di nutrirsi, come nel caso delle monocolture settoriali, che separano gli ortaggi per specie, ma al fine di creare un ambiente che, equilibrandosi autonomamente e con un intervento umano minimo, fornisca nutrimento senza debilitare il terreno in cui si trova. Fondamentale è la scelta di piante che creino tra loro un rapporto appunto sinergico, cioè di aiuto reciproco: per fare un esempio concreto, accostando piante di calendula e pomodori si risolve in modo ecologico il problema delle cimici, perché la calendula attira vespe che si nutrono degli afidi dei parassiti del pomodoro. Lo scopo è tanto quello di ridurre l’impatto ambientale al minimo, quanto quello di evitare dispendio inutile di energie e risorse, applicando ad esempio strategie come la pacciamatura e l’uso dei “bancali”. La prima consiste in una copertura in materiale organico (paglia o cartone), una sorta di serra utile a mantenere l’umidità e impedire la crescita delle piante infestanti, che ha il valore aggiunto di concimare il terreno una volta sedimentato. I “bancali” sono invece cunette rialzate, di cui è possibile sfruttare tutta la superficie, concentrando quindi le energie, grazie cui si rafforzano le radici delle piante, costrette a scavare più a fondo per trovare terreno nutriente».
Ascoltando Davide, nella mia mente affiorano ricordi della maestra delle elementari che spiega la grande rivoluzione scaturita dall’introduzione della rotazione delle colture, espressione organizzata della saggezza contadina che si conserva in permacultura in alternanze come quella tra ortaggi e legumi: bisognosi di azoto i primi, azotanti i secondi, si scambiano e condividono sostanze passando attraverso la terra. La permacultura è quindi una sorta di raccolta delle migliori strategie di volta in volta messe in atto dagli uomini nel corso della storia, per insediarsi nei più disparati ambienti con un impatto minimo. Mi chiedo se in questa idea di insediamento vi sia spazio anche per le innovazioni tecnologiche: «Certo! – risponde Davide – Io ad esempio sono molto interessato alla questione delle energie rinnovabili; tra chi frequenta corsi o forum di permacultura, è molto sentita la questione dei pannelli solari, che potrebbero essere una buona fonte energetica, ma sembra ci sia ancora un forte impatto ambientale al momento dello smaltimento, forse anche nella produzione. Ci sono poi moltissime altre fonti ancora da prendere in considerazione!».
Permacultura non è solo agricoltura. Davide mi racconta di quanto esteso possa essere il concetto di permanent culture: «Innanzitutto, è applicabile a qualsiasi tipo di ambiente e clima perché è pensato per ogni area geografica, partendo dalla sua osservazione diretta. In Messico, ad esempio, ho conosciuto un ragazzo che applicava l’urban permaculture: viveva con la figlia in una vecchia casa semiristrutturata con un sistema idrico ad acqua piovana che alimentava l’orto disposto sia sul terrazzamento del tetto sia sfruttando la luce negli interni. Poi non riguarda solo gli orti e la coltivazione: non prevede il vegetarianismo, quindi si occupa anche di allevamento; oltre che della costruzione di abitazioni a basso impatto ambientale e buona resa energetica, ma anche semplici conigli di adattamento di strutture preesistenti per ottimizzarne l’uso, così come di giardini decorativi ecosostenibili. Esiste infine una social permaculture, che si occupa di ristabilire un equilibrio etico sociale tra le persone, secondo principi di condivisione più che di accumulazione, sempre nell’ottica di una corretta dispersione delle energie e delle risorse».
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