Identità di genere, transessualità e diritti LGBT
Il tema che riguarda la comunità LGBT, che comprende lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, è un tema assai sensibile, per via della visione, spesso distorta, che la società ha di questo fenomeno. Vero è che più il tempo passa e più la società (non con poca fatica) cerca di lasciarsi dietro le incrostazioni retrograde figlie di una concezione della vita spesso bigotta e conservatrice, per nulla al passo coi tempi. Per comprendere il fenomeno LGBT (e quello della transessualità nello specifico) è necessario introdurre il concetto di identità di genere. Essa è definita da come ciascun individuo sente di essere ossia il suo sentimento profondo di femminilità o mascolinità, in relazione al ruolo di genere ovvero ciò che è socialmente e culturalmente definito come maschile o femminile e che risponde alla norma sociale e alle credenze condivise dalla maggioranza. L’orientamento sessuale è invece definito dall’attrazione sessuale che ciascuno sente verso uno dei due sessi, o verso entrambi. È evidente perciò che questi tre caratteri sono presenti all’interno di ciascun individuo con combinazioni singolarmente differenti. Legata all’identità di genere è la condizione di “transessuale”, usata per indicare gli individui che sviluppano un’identità di genere definita (maschile o femminile), ma opposta al sesso biologico di nascita, che verrà quindi “corretto” con terapie ormonali o con la chirurgia per adeguare il proprio corpo alla propria identità.
Il processo di transizione è composto da molte fasi: prima fra tutte quella psicologica, con la quale si valuta la situazione e l’impatto che i passi successivi possono avere sulla persona, mentre la seconda fase, quella della terapia ormonale, ha lo scopo di modificare i caratteri sessuali terziari, per quanto possibile, ed inibire manifestazioni fisiche proprie del sesso biologico di appartenenza (erezione, eiaculazione e ciclo mestruale). Successivamente si avrà l’iter legale: la legge 164 del 1982 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso) prescrive che, nel caso la persona interessata richieda la riconversione chirurgica del sesso, trascorsi due anni dall’inizio del percorso psicologico, i professionisti che l’hanno seguita stilino delle relazioni sulla persona stessa e sul percorso effettuato. Queste verranno utilizzate a supporto della richiesta di autorizzazione all’intervento chirurgico che deve essere inoltrata al Tribunale. Successivamente è necessario un secondo ricorso, col supporto della cartella clinica che attesti l’avvenuto intervento, per ottenere la rettifica dei dati anagrafici, a cui segue la lunga attività di correzione di tutta i documenti (patente, titoli di studio, ecc. ecc.). Va però detto che la Cassazione, con la storica sentenza n. 15138 del 2015, ha statuito che il cambio di sesso di una persona non può essere determinato soltanto dall’intervento chirurgico. Anche in mancanza della demolizione e ricostruzione degli organi genitali “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale”, onde per cui la rettificazione di sesso legale non è più subordinata in assoluto alla variazione anatomica del soggetto.
Per quanto attiene la situazione delle coppie omosessuali, non è possibile non citare un altro storico provvedimento legislativo, quello della legge n. 76 del 2016 recante Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. La cosiddetta legge Cirinnà prende spunto dagli annosi dibattiti che hanno spinto in tutta Europa all’approvazione (seppur non uniforme nel tempo e nei modi) di norme che recepissero le istanze della comunità gay. Ciò è avvenuto anche su impulso del Parlamento Europeo, che nel 2007 aveva invitato “tutti gli Stati membri a proporre leggi che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso sesso”. La legge Cirinnà ha introdotto quindi delle unioni fondate su vincoli affettivi ed economici alle quali l’ordinamento riconosce uno status giuridico analogo a quello attribuito al matrimonio e che possono essere costituite tra persone maggiorenni e dello stesso sesso effettuando una dichiarazione all’ufficiale di stato civile. La coppia assume diritti e doveri quasi del tutto simili a quelli del matrimonio (ad esempio l’obbligo alla coabitazione, all’assistenza morale e materiale, a contribuire ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e alla rispettiva capacità di lavoro, sia professionale che domestico), mentre sono stati espunti dalla legge sia l’obbligo di fedeltà che quello di collaborazione, che invece scaturiscono dal matrimonio.
Come previsto per il matrimonio, anche in tema di regime patrimoniale al momento della costituzione di un’unione civile la coppia è chiamata a scegliere tra quello della comunione e quello della separazione dei beni. Oltre a tutto ciò, l’unione civile si differenzia dal matrimonio per altri aspetti. Per prima cosa il cognome di famiglia viene scelto dalla coppia tra quelli dei due uniti, dichiarandolo all’ufficiale di stato civile. Inoltre lo scioglimento dell’unione ha effetto immediato, non essendo prevista l’equivalente della separazione. Altra fondamentale differenza rispetto al matrimonio tra coppie eterosessuali deriva dal fatto che, ad oggi, la legge non contiene l’adozione del figlio minore di un componente della coppia da parte dell’altro (la cosiddetta stepchild adoption), anche se la Cassazione, con la sentenza n. 12962 del 2016, ha dato il via libera all’istituto come garanzia di tutela dell’interesse preminente del minore.
Tanto altro ci sarebbe da fare, come ad esempio una buona legge contro la discriminazione di genere (nel 2013 era stato presento il cd. Ddl Scalfarotto per l’estensione della legge Mancino anche ai crimini motivati dall’identità sessuale della vittima, attualmente fermo al Senato dal 2014), ma come tutti i temi etici resta fermo l’assunto secondo il quale è la società, attraverso un percorso pedagogico, a dover attuare una rivoluzione culturale profonda. Puntare tutto sulle norme giuridiche, seppur importante tassello nel disegno globale, è spesso un approccio fallimentare. Ci auguriamo quindi che in un prossimo futuro la nostra società sia in grado di fare finalmente un salto di qualità sul fronte dei diritti civili e umani fondamentali.
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