La vita a Bruxelles dopo gli attentati
Raccontando i luoghi della storia della guerra che si combatte tra terrorismo islamico e cultura europea, è impossibile non citare Bruxelles, città più e più volte protagonista in questi anni di articoli e telegiornali, illuminata da riflettori che piovono da più direzioni.
In questa florida città, capitale della piccola Monarchia Costituzionale del Belgio, l’Europa ha infatti posto il proprio centro politico e decisionale; qui si incontrano politici da tutto il mondo per prendere accordi, da qui dipartono tutte le direttive rivolte all’Europa come Comunità.
In questo senso, stupisce quasi che i primi attentati non si siano verificati proprio qui, nella culla del potere politico europeo; ma il ruolo di Bruxelles nelle dinamiche dei progetti degli estremisti era di tutt’altro tipo: di cittadinanza belga sono molti degli attentatori e dei programmatori degli attacchi, di cui diversi fermati proprio a Bruxelles.
Bruxelles è oggi contemporaneamente sede del Parlamento Europeo, della Commissione Europea e del Consiglio dell’Unione Europea, rappresentando il luogo delle decisioni sulle misure antiterroristiche, e centro delle preoccupazioni dei politici europei, che accusano il Belgio tanto di essere il paese che fornisce più combattenti alla jihad, quanto di essere uno Stato disorganizzato dal punto di vista della sicurezza.
Una preoccupata attenzione è sempre stata rivolta al quartiere Molenbeek, a dieci minuti dalla Grand Place nel centro di Bruxelles, presunto rifugio di diverse cellule terroristiche. A Molenbeek si raccoglie una delle più coese comunità islamiche: il quartiere conta circa 90̇000 abitanti, di cui l’80% di religione musulmana; in poco meno di 6 km² si contano 22 moschee. Qui è stato arrestato Salah Abdeslam, attentatore di Parigi.
E’ stato invece il quartiere di Maelbeek che ha subito un attacco e ricevuto la sua ferita: il 22 Marzo 2016 un’esplosione distrugge la fermata metropolitana del quartiere, provocando una ventina di morti.
A raccontarci di quel giorno è Olga, ventiquattrenne belga che da quattro anni vive in centro a Bruxelles, a dieci minuti di metro da Maelbeek: «Il giorno dell’attentato, ero a letto quando la mia coinquilina ha bussato alla porta della stanza per dirmi di guardare i giornali. C’era appena stato il primo attacco all’aeroporto. Lei era in panico: avrebbe dovuto prendere un volo il giorno dopo e continuava a pensare che sarebbe potuta essere lì. Un’ora dopo, alle 9 del mattino, c’è stato l’attacco alla stazione metropolitana di Maelbeek. Molte persone prendono la metropolitana per andare al lavoro a quell’ora; era spaventoso pensare che alcuni amici potessero essere lì. Sono rimasta a casa tutto il giorno controllando gli aggiornamenti, chiedendo alle persone se erano al sicuro e rassicurando gli altri che io stavo bene. L’atmosfera a casa era davvero pesante. Avevo un appuntamento quel giorno; volevo andare, ma ho realizzato che non c’erano treni in circolazione».
La risposta della popolazione di Bruxelles, però, è stata immediata; non c’era alcuna intenzione di lasciarsi schiacciare dalla paura suscitata da questi attacchi: «Nel tardo pomeriggio ho letto i messaggi su Facebook di alcuni amici che dicevano di riunirsi in Bourse Square, portando dei gessetti per scrivere messaggi di pace e tolleranza. Ho partecipato e mi ha fatto sentire meglio. È stato bello vedere le persone riunirsi, cantare e portare fiori. L’atmosfera era strana, davvero molto strana: ricca di emozioni!».
Certe ferite non si rimarginano in un giorno, ma Olga ci racconta di come in breve tempo la vita di tutti giorni abbia ripreso il suo ritmo regolare, probabilmente anche grazie alla resistenza pacifica portata avanti dai cittadini di Bruxelles, fin da quella prima serata di Marzo 2016.
«Il giorno dopo l’attentato, – ricorda Olga – i trasporti pubblici erano ancora vuoti. Alcune persone della mia famiglia dovevano venire a Bruxelles per una performance, ma non hanno potuto farlo. Credo però che per le persone che vivono nella città, la vita sia ricominciata abbastanza velocemente. Ad oggi, non noto nessun cambiamento, né è cambiato qualcosa nella mia vita di tutti i giorni. Ma quest’anno ho lavorato con i rifugiati e ho realizzato che sono loro le vere vittime di questi attentati».
Il problema che Olga mette in luce non è di poco conto: se i cittadini di Bruxelles hanno immediatamente risposto al terrore suscitato dagli attentati con spirito di coesione, non così è stato per le decisioni prese dal Governo, volte a contenere l’immigrazione e ridurre le possibilità di asilo. «Per gli immigrati è diventato sempre più difficile ottenere i documenti. – spiega ancora Olga – Le leggi emanate, che pretendono di proteggere la sicurezza nazionale, stanno di fatto disconoscendo i diritti degli stranieri».
Le sue preoccupazioni, sebbene più vaghe, sembrano passare da un livello nazionale ad uno più ampio, quando chiediamo a Olga un’opinione sugli effetti di questi attacchi sulla Comunità Europea: «Non so molto riguardo l’Europa e il terrorismo; non conosco esattamente le misure prese a livello europeo per combattere il terrorismo, quindi non posso dire se sono o meno d’accordo. Tuttavia, da diversi punti di vista, sono decisamente scettica riguardo le politiche europee».
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