Cinquanta sfumature di letteratura kitsch
Facile pensare ai colori solo in termini visivi: «[…] un libro, buono o cattivo, deve piacere dalla copertina», affermava Casanova paragonando ai libri, appunto, la donna; e certo qualsiasi amante della lettura potrà raccontare di almeno un episodio in cui il solo motivo a spingerlo a sfogliare un determinato libro, a leggerne la trama sulle alette, sia stato il colore del dorso di copertina, piuttosto che l’immagine stampata sulla prima.
Come non ricordare, a tal proposito, la brillante invenzione di Lorenzo Montano, che nel 1929 ideò la collana Il Giallo Mondadori? Attraverso la semplice omologazione cromatica dei volumi in collana, la raccolta riuscì non solo a fidelizzare al genere poliziesco ampissime fasce di pubblico, ma addirittura diede essa stessa nuova identità al genere, in Italia rinominato “giallo”. La brevità e familiarità del termine è rivelatrice del suo primissimo pubblico: lettori della prima generazione alfabetizzata in massa, consumatori della neonata società borghese e industriale, ignari delle strategie e delle dinamiche di marketing, pertanto facili prede di slogan diretti e colori vistosi.
A poco meno di cent’anni di distanza dalla creazione della collana Mondadori, il pubblico è certo profondamente cambiato: un secolo di riforme nel sistema scolastico e nella produzione industriale del prodotto librario ha reso possibile l’edizione di una quantità di romanzi inimmaginabile a inizio Novecento, per la cui vendita le strategie pubblicitarie, sempre più palesi al pubblico, hanno progressivamente dovuto affinarsi, di pari passo con una sempre migliore qualità dell’immagine stampata. La centralità attrattiva della copertina non è andata scemando, come ci si poteva aspettare dall’emergere di un pubblico di massa sempre più istruito e critico, bensì ha acquisito nuovi significanti, o ridato vigore ai vecchi. In quest’ultimo senso, un esempio piuttosto palese è dato da un veloce confronto tra le copertine dei classici della letteratura, quand’anche in edizione economica, e dei romanzi di consumo: caratteristiche del primo genere sono le riproduzioni di quadri d’autore, legati all’epoca e all’ambiente descritti nel romanzo; fotografie su carta patinata o disegni grafici spiccano, invece, sulle copertine del secondo genere. Una distinzione netta e individuabile al primo colpo d’occhio.
Più significativo è però il modo in cui è cambiata la titolatura dei libri, divenuta in qualche modo essa stessa “opera letteraria”, al fine di imprimersi più nettamente nella memoria e non confondersi tra i ricordi di altre letture. Fino alla Rivoluzione Industriale, infatti, la nomenclatura dei testi, era estremamente semplice: l’intera letteratura di epoca classica e medievale è fino a oggi titolata con sintesi dei contenuti dei testi o con il nome del protagonista; simili sono state le scelte nei titoli per i poemi cinque e seicenteschi. Per tutto il Settecento e l’Ottocento, i romanzi mutuano quest’attitudine alla sintesi, ma con l’avvento dell’industria e la trasformazione del libro in una merce, anche il titolo acquista un ruolo nuovo: sfavillante al centro della copertina, deve esso stesso essere attraente.
Costretti in un gioco tra detto e non detto, gli autori moderni si cimentano tra perifrasi, metafore, evocazioni che sollecitino l’immaginario dei lettori e la loro curiosità; non è un caso che trovino spesso, nella ricerca di una sintesi perfetta, un facile alleato proprio nei riferimenti cromatici. Una recente conferma del formidabile supporto che l’immaginario di sensazioni evocabili da un colore può fornire alla letteratura viene ancora una volta dal mondo dei best sellers di consumo, da un esempio tra quei successi prima letterari e poi cinematografici, che definiamo prettamente di massa: praticamente impossibile, infatti, non aver sentito almeno citare il titolo delle Cinquanta sfumature di…, che proprio a tre diversi colori affida il senso della propria tripartizione.
Tre colori che, presi tutti assieme (così come nel 2011 è stata pubblicata la prima edizione), sembrano mettere in luce proprio quanto lasciano escluso: Cinquanta sfumature di grigio, poi nero e rosso; nel tentativo di intrecciare tra loro i tre cromatismi, l’occhio immaginifico nella mente del lettore si trova a incespicare in quella sfumatura che resta nel non detto, nell’impronunciato. Negata qualsiasi possibilità di biancore, non c’è rosa; eppure proprio nella letteratura rosa avremmo pensato di collocare questa trilogia, il cui pubblico è in fondo lo stesso dei romanzi d’amore. La scelta cromatica fatta dall’autrice nell’elaborazione del titolo si fa portavoce del suo intento comunicativo: E.L. James parla d’amore, ma non di quell’amore romantico così tipico della narrativa di consumo, bensì di un sentimento complesso e oscuro.
Così l’autrice ci invita ad addentrarci alla scoperta delle sfumature del celato, del taciuto, del proibito; anche se poi in realtà, le prime Cinquanta sfumature di grigio altro non sono che le molteplici sfaccettature di una precisa persona, Mr. Grey appunto, che ha sì fantasie più o meno celate, più o meno torbide, ma è soprattutto un animo tormentato da paure del passato, che l’amore della protagonista femminile tenterà di curare. A conclusione del primo libro, i protagonisti si separano, ma basta la casualità di un incontro per far riaffiorare la passione e avviarci alla scoperta delle Cinquanta sfumature di nero; un titolo che arrovella la mente nella ricerca di tonalità sconosciute, mentre la fantasia scava nei tabù più reconditi, domandandosi cosa chiederà di nuovo l’appetito sessuale di Grey.
Di fatto, nel secondo libro le fantasie del protagonista, esperto master BDSM delle cui abilità crediamo di aver conosciuto un solo accenno, corrispondono in numero esattamente alle sfumature di nero: zero. Per amore della giovane impiegata che ha deflorato, infatti, il protagonista rinuncia al sadomaso e addirittura sceglie di anteporre al proprio piacere quello di lei, che nel frattempo è sempre più interessata all’erotismo alternativo. In questo modo, possono riconciliarsi le anime dei due amanti, unite in matrimonio nei primi capitoli di Cinquanta sfumature di rosso, che tra passaggi quasi polizieschi e reminiscenze d’erotismo, esauriscono infine tutto questo ventaglio cromatico in quell’unica sfumatura che ci sembrava di non trovare, illudendoci si sarebbe persa in abissi di colori ben più curiosi: rosa sono infine le sfumature di rosso e rosa è la trilogia di E.L. James.
Il titolo di questa raccolta, pur non trattandosi di un’opera letteraria di particolare rilievo, consiste in un’astuzia stilistica, i cui frutti sono facilmente riscontrabili nel suo successo di pubblico: nell’illusione di disvelarci ben 150 possibili sfumature dell’umana fantasia erotica, attraverso questa coppia di protagonisti che probabilmente impallidirebbe di fronte alle descrizioni di Petronio delle prestazioni sessuali imposte ai protagonisti del suo Satyricon, l’autrice costringe il lettore a scavare nella propria fantasia e riscoprire il proprio erotismo, grazie a sensazioni che la mera citazione di colori dal carattere intenso ha potuto stuzzicare.
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