Nel blu dipinto di blues
Un blu intenso e profondo è il colore che avvolge gli Stati Uniti a cavallo tra Ottocento e Novecento. Già nel XVII secolo gli anglofoni erano avvezzi all’uso dell’espressione to have the blue devils (“avere i diavoli blu”), riferita ad uno stato d’animo di agitazione, depressione e tristezza provocato dallo stato allucinatorio che segue la crisi di astinenza da alcool – un bel post sbronza con i fiocchi (e con i diavoli blu). Sempre blue era un sinonimo gergale per indicare un ubriaco, così come blu erano le leggi che vietavano la vendita domenicale di alcolici, le Blue Laws.
Dopo la guerra di secessione americana (1861 – 1865) il blu rimane ma le espressioni gergali assumono tutto un altro significato, sempre legato a sentimenti di malinconia, sofferenza e tristezza (to be blue, “essere blu”; to have the blues, “avere i blu”) ma completamente distaccati dall’accezione alcolica precedente. Teniamo in considerazione che questa forma poetico-musicale nasce nel Sud degli Stati Uniti negli anni appena precedenti la guerra di secessione, quindi dal combinarsi di elementi appartenenti alla cultura proletaria rurale afroamericana e quelli derivanti direttamente dalla tradizione musicale colta europea. È da questo momento che l’associazione tra il sentimento blues e il genere musicale in sé diventa inscindibile: l’espressione del sentimento costituisce l’essenza della musica blues.
Il blues non come colore primario, ma una sonorità ibrida che trova le sue radici nei campi di cotone, nei porti e tra la manovalanza nera, tra il rammarico e la nostalgia. I canti di lavoro avvolgono gli Stati Uniti anche negli anni successivi alla guerra, in cui le condizioni degli ex schiavi rimangono in un clima di povertà e soggezione nei confronti dei bianchi (ma quanti colori!). Canti che donano la struttura di chiamata e risposta, call and response, di impronta africana come l’uso di particolari melismi, l’intonazione nasale e l’uso delle note blues: tutti elementi che ci riportano alla musica dell’Africa occidentale e centrale. La “messa in armonia” di questo nascente genere musicale avvenne grazie al contatto con i musicisti neri colti che, nell’Ottocento, cantavano e suonavano nelle chiese e nei templi: è qui che vennero a contatto con l’armonia classica, proprio grazie ai canti religiosi di cui venivano a conoscenza.
La codificazione del genere avviene tra il 1870 e il 1930: una forma musicale e poetica che prevede una sequenza di 12 misure, divisa in tre segmenti ciascuno di quattro misure, con un battito regolare (il più delle volte ternario). La struttura verbale va di pari passo con quella musicale, con strofe che seguono lo schema AAB che prevedono: A – un’affermazione o una domanda, A – una riaffermazione o una nuova domanda, B – la conclusione o la risposta a tutte queste domande. Il tono rimane sempre molto malinconico, intenso, molto emotivo e spesso sarcastico ma mai e poi mai sentimentale; questo anche perché i temi rimangono fortemente legati alla discriminazione razziale, alla povertà, alle gesta di eroi e alle gioie e ai dolori dell’amore, sempre strettamente legate al vissuto del cantante-autore. Per dare enfasi a tutte queste sfaccettature, sono molti gli escamotage utilizzati dai musicisti per rendere in musica tutta questa emotività, come il vibrato, il portamento, il canto “parlato” o addirittura gridato – tutte tecniche vocali atte a caratterizzarne l’efficacia espressiva. In sostanza un tipo di musica vocale in cui i testi devono esprimere insieme disperazione e sollievo nell’esprimere questa pena, dove è il testo a guidare il progredire della frase musicale, spesso a scapito di una sottolineatura ritmica precisa.
Un altro elemento fondamentale di riconoscimento di questo genere è l’uso delle blue notes, a cui le linee melodiche restano fortemente caratterizzate, ossia l’impiego esclusivo di un modo che corrisponde a una gamma maggiore con tre gradi mobili: il 3° maggiore o minore, il 5° giusta o diminuita e il 7° maggiore o minore. Le scale che vengono utilizzate dal cantante, o dagli strumenti solisti sono quasi sempre la scala pentatonica minore – Do, Mib, Fa, Sol, Sib, Do – e la scala blues – Do, Mib, Fa, Solb, Sol, Sib, Do. Questi elementi tecnici fanno sì che si crei una dissonanza tipica del blues tra l’armonizzazione e la melodia che comporta una delle caratteristiche tipiche di questa musica.
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Tra gli strumenti che hanno accompagnato i blues man troviamo inizialmente un elastico inchiodato ad una tavola, utilizzato dai primi musicisti neri freschi di liberazione dalla schiavitù; segue la cigar box, una scatola di sigari con una manico e dalle due alle quattro corde. Scatola di sigari o qualsiasi altro contenitore che fosse in legno o in metallo, con corde abbastanza alte che permettevano un uso particolarmente agevole con la tecnica dello slide (spesso utilizzando un collo di bottiglia per scivolare su e giù). Con questi strumenti rudimentali tutto era lasciato letteralmente in mano al musicista, ai suoi gusti e al suo più o meno buon orecchio musicale. Il passaggio alla chitarra è pressoché naturale.
Un altri strumento principe di questo genere è l’armonica a bocca: i generale parliamo sempre e comunque di strumenti di facile reperibilità e molto economici.
Un’ulteriore evoluzione musicale del blues è dovuta all’utilizzo degli strumenti a ottone da parte dei musicisti neri, così come di generi musicali derivanti direttamente dalla tradizione europea.
A seguire, in un processo del tutto naturale, le pubblicazioni e le prime incisioni danno l’avvio al fenomeno degli standard blues; si avvia anche la commercializzazione che però trova i suoi riscontri solo nel secondo dopoguerra: Memphis e Chicago diventano i due grandi centri musicali, le blues cities. Si moltiplicano gli artisti e con loro gli stili, fino allo sconfinamento del blues nel rhythm and blues e nel rock and roll.
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